Il domicilio coatto va inteso in senso restrittivo

In tema di evasione dagli arresti domiciliari, agli effetti dell'art. 385 c.p. deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell'imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà.

Lo ha ribadito la Sesta sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16098, depositata il 19 aprile 2016. Il domicilio coatto Il fine primario e sostanziale della misura coercitiva degli arresti domiciliari è quello di impedire i contatti con l'esterno ed il libero movimento della persona, quale mezzo di tutela delle esigenze cautelari, che può essere vanificato anche dal trattenersi negli spazi condominiali comuni. La Suprema Corte di Cassazione conferma dunque il consolidato orientamento per cui, in tema di arresti domiciliari, agli effetti dell'art. 385 c.p., per abitazione deve intendersi il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell'imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà. e nel caso della detenzione domiciliare. La nozione restrittiva di domicilio coatto è applicabile anche alla diversa fattispecie della detenzione domiciliare. In particolare, ai fini dell'ottemperanza alla misura della detenzione domiciliare art. 47- ter l. 26 luglio 1975 n. 354 , la nozione di abitazione e delle relative pertinenze, dalla quale la persona ammessa alla misura alternativa non può allontanarsi, è circoscritta alla dimora in cui il soggetto svolge la propria vita domestica e privata e ai luoghi dalla stessa immediatamente raggiungibili senza soluzione di continuità spaziale. L'abitazione dalla quale la persona in stato di arresti o detenzione domiciliari non può allontanarsi deve intendersi unicamente come il luogo in cui il soggetto svolge la propria vita domestica e privata, con esclusione di appartenenze aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non siano strettamente attigui o pertinenti annessi all'abitazione. Non può invece invocarsi la più estesa nozione civilistica di pertinenza art. 817 c.c. , sì da poter fare considerare come pertinenza dell'abitazione, ai fini penalistici, anche un orto non immediatamente contiguo all'abitazione medesima, bensì raggiungibile da questa previo attraversamento della strada e del fondo di un vicino, giacché, ai fini dell'apprezzamento di condotte potenzialmente elusive del regime cautelare o espiatorio degli arresti o detenzione domiciliari, non può prescindersi dalle esigenze applicative connesse a siffatto regime, in virtù delle quali è indispensabile che i controlli della polizia giudiziaria periodicamente o saltuariamente esperibili sulla presenza o reperibilità dell'imputato nel luogo di custodia domiciliare assumano le valenze dell'immediatezza e della non aleatorietà. Tali esigenze sarebbero infatti senz'altro frustrate laddove si consentisse l'allontanamento del soggetto dallo spazio definito dalla sua stretta abitazione o dalle sue immediate adiacenze senza alcuna frattura spaziale , sia pure per recarsi per un breve tempo in un luogo senz'altro vicino quale, ad esempio, un orto, sia pure non contiguo , ma non visibile dalla dimora né raggiungibile in altro modo, se non uscendo dall'alloggio e dopo un percorso di diversi metri. Sempre in tema di detenzione domiciliare, va rammentato che la previsione di cui all'art. 47- ter , comma 1- ter , ord. penit., introdotta dall'art. 4, comma 1, lett. a l. 27 maggio 1998 n. 165, secondo cui, quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 c.p., il Tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre l'applicazione della detenzione domiciliare , ha la chiara finalità di colmare una lacuna della previgente normativa, per la quale, in presenza dei presupposti di fatto indicati negli artt. 146 e 147 c.p., s'imponeva un'alternativa secca tra carcerazione e libertà senza vincoli. L'innovazione viene quindi a configurare la polifunzionalità del regime detentivo che è mirato, per un verso, all'esigenza di effettività dell'espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi per altro verso ad una esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanità, quale è quella costituita dalla detenzione domiciliare e a termine, da disporsi in presenza di una negativa condizione soggettiva del condannato che non ne consenta la piena liberazione che deriverebbe dall'applicazione degli istituti di cui ai richiamati artt. 146 e 147 c.p È pertanto da escludere, avuto riguardo anche alla chiara lettera della disposizione in questione, che essa possa trovare applicazione sulla base di presupposti diversi da quelli che potrebbero dar luogo al rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 marzo – 19 aprile 2016, n. 16098 Presidente Paoloni – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Catanzaro ha parzialmente riformato quella emessa dal Tribunale di Castrovillari il 07/05/2013, ribadendo la responsabilità di G.T. in ordine al reato di evasione dagli arresti domiciliari art. 385 cod. pen. , riducendo la pena inflittagli in primo grado alla misura finale di un anno di reclusione, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti ge neriche ritenute equivalenti alla contestata recidiva. 2. Avverso la sentenza ha proposto impugnazione l'imputato, che deduce vio lazione di legge e vizio di motivazione, allegando di essere stato sorpreso dal controllo in uno spazio esterno antistante l'abitazione, a sua volta inserita in uno stabile di proprietà esclusiva della propria famiglia e come tale costituente spazio privato della medesima e parte integrante del domicilio coatto, cui doveva rite nersi pienamente autorizzato ad accedere. Il ricorrente deduce, inoltre, lo stesso vizio con riferimento al dolo del reato di evasione, non avendo nutrito il benché minimo intento di sottrarsi ai controlli di legge, in quanto rimasto in area di pertinenza esclusiva dell'abitazione stabilita come luogo di svolgimento degli arresti domiciliari. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e come tale deve essere rigettato. 2. Nell'articolare le proprie doglianze, il ricorrente ha evocato l'istituto della pertinenza, riferito al luogo di dimora individuato per l'esecuzione degli arresti domiciliari di cui all'art. 284 cod. proc. pen. La tesi da lui sostenuta è che non sussiste il reato di cui all'art. 385, comma 3 cod. pen. e lo stesso si può dire per quello di cui all'art. 47-ter, comma 8 l. n. 354 del 1975 quando lo spazio o l'ambiente accessorio costituiscano pertinenza esclusiva” dell'abitazione o comunque del luogo prescelto per l'esecuzione degli arresti o della detenzione domiciliari. La tesi è infondata per un duplice ordine di ragioni. La prima attiene alla difficoltà obiettiva di individuare in maniera precisa il rap porto di natura pertinenziale tra l'abitazione e lo spazio o il vano o l'ambiente accessorio. La difficoltà nasce in primo luogo dalla divaricazione esistente tra la nozione civilistica di pertinenza art. 817 cod. civ. e quella propria della legislazione edilizio - urbanistica, definita originariamente dall'art. 7, comma 2, lett. a del d.l. n. 9 del 1982 conv. nella l. n. 94 del 1982, norma oggi abrogata per effetto dell'art. 136 L lett. e del testo unico d.P.R. n. 380 del 2001, che all'art. 3 lett. e.6 la disciplina in base a criteri sensibilmente diversi. Ai sensi del codice civile si definiscono, infatti, pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa, senza costituirne parte integrante e senza rappresentarne elemento indispensabile per la sua esi stenza, ma in guisa da accrescerne l'utilità e il pregio”, dove il vincolo rispetto al bene principale dipende essenzialmente dalla volontà del proprietario ovvero di colui che su di esso vanta un diritto reale. La nozione di pertinenza urbanistica ha, invece, peculiarità sue proprie, le quali postulano che il manufatto abbia una propria individualità, che sia oggettiva mente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittima mente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ri dotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti” ex plurimus tra le più recenti v. Sez. 3, sent. n. 2768 del 21/12/2005, dep. 2006, Nardini, Rv. 233303 Sez. 3, sent. n. 25669 del 30/05/2012, Zeno e altro, Rv. 253064 La nozione di pertinenza ai fini della disciplina urbanistico - edilizia risulta, dunque, più ristretta di quella civilistica ma per quanto qui interessa, poiché il manufatto definibile come tale può trovarsi indifferentemente in rapporto di continuità o discontinuità spaziale rispetto a quello principale si pensi ai garage realizzati secondo la procedura semplificata prevista dall'art. 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122 a condizione che vengano ubicati nel sottosuolo delle aree di pertinenza di immobili già esistenti o su apposite aree condominiali, caso espres samente considerato da Sez. 3, sent. n. 29080 del 26/02/2013, PM in proc. Gullo, Rv. 256669 , la relativa ubicazione appare astrattamente suscettibile di ampliare, in maniera anche notevole, lo spazio legittimamente praticabile dal soggetto ristretto agli arresti domiciliari o in regime di detenzione domiciliare all'interno del manufatto principale. La differente portata delle ricordate nozioni di pertinenza rende, perciò, chiaro che in assenza di specifiche prescrizioni al riguardo contenute nell'ordinanza cau telare o nel provvedimento del giudice di sorveglianza , una generalizzata equi parazione di tale categoria di beni al regime del domicilio coatto comporterebbe difficoltà interpretative nell'esecuzione della misura nonché obiettive disfunzioni nell'effettuazione dei controlli, oltre tutto con ulteriore aggravio dell'intrinseca ed ineliminabile disparità di trattamento connessa alle variegate tipologie di abita zione di cui ciascun interessato può in concreto disporre e indicare come domi cilio coatto o luogo di detenzione domiciliare. Il secondo motivo è che la piena equiparazione stabilita dall'ordinamento tra arresti domiciliari e custodia cautelare in carcere art. 284, comma 5 cod. proc. pen. richiede che la misura domiciliare si svolga, per quanto possibile, secondo modalità analoghe rispetto a quelle proprie della misura intra muraria, dovendosi pertanto dare esclusiva rilevanza allo spazio fisico delimitato dall'unità abitativa domicilio indicata dall'interessato ed autorizzata dal giudice, mimesi in senso giuridico e giustificata dal favore per le esigenze di vita ed affettive dell'indagato o del condannato dello spazio concluso tipico della detenzione in ambito peniten ziario, suscettibile come tale di consentire eccezioni unicamente in relazione a quegli ambiti parzialmente aperti balconi, terrazzi o scoperti cortili interni, chiostrine e simili ma costituenti parte integrante dell'unità immobiliare di riferi mento. 3. Il tema dell'estensione del domicilio coatto non è, peraltro, nuovo ed è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, venendo in genere risolto in termini non dissimili da quelli sopra indicati, nel senso che per abitazione deve intendersi il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza, quali aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non ne costituiscano parte integrante, Sez. 6, sent. n. 3212 del 18/12/2007, dep. 2008, PM in proc. Perrone, Rv. 238413 Sez. 6, sent. n. 15741 del 07/01/2003, Favero, Rv. 22680 Sez. 6, sent. n. 9988 del 09/07/1993, Iovanovic, Rv. 196177 in fatti specie riguardante roulotte ubicata all'interno di campo nomadi e non massimate Sez. 6 sent. del 25/01/2012, Di Liberto e Di Tullio Sez. 6 sent. dei 11/07/2012, Graziano Sez. 6 sent. del 24/09/2012 Momodou Sez. 6 sent. del 05/02/2013, Di Nino . Limitate eccezioni sono state individuate nei casi in cui sussista continuità spa ziale tra abitazione ed ambito accessorio, affermandosi così che non può essere escluso dal concetto di abitazione un'area condominiale, un giardino o un cortile che non presentino soluzioni di continuità con la medesima” Sez. 6, sent. n. 4143 del 17/01/2007, Bompressi, Rv. 236570 e Sez. 6 del 10/07/2014, Sgura non massimata , con previsione di un'ulteriore eccezione all'eccezione per cui le aree in questione vanno escluse se di libero e accesso ed uso da parte di altri come i condomini o a fortiori i terzi” Sez. 6 del 25/09/ 2014, Peritore non massimata . Quanto alla specifica rilevanza dei concetto di pertinenza, è stata frequente mente valorizzata a contrario la nozione di stretta pertinenza”, nel senso che l'abitazione dalla quale la persona sottoposta alla misura degli arresti domi ciliari non deve allontanarsi va intesa soltanto come il luogo in cui il soggetto conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra apparte nenza del tipo di aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili, che non siano di stretta pertinenza dell'abitazione stessa” Sez. 6, sent. n. 5770 del 10/02/1995, Chimenti, Rv. 201670 Sez. 6, sent. n. 11000 del 04/10/1994, Bulgarini, Rv. 199932 . Più raramente ai fini dell'esclusione tout court della responsabilità per art. 385 cod. pen. si è fatto, invece, ricorso alla nozione di pertinenza esclusiva” Sez. 1, sent. n. 17962 del 30/03/2004, Maritan, Rv. 228292 , categoria al pari in verità di quella di stretta pertinenza” di dubbia origine normativa ed incerta applica zione sul piano pratico. Dal punto di vista, invece, funzionale e in senso maggiormente restrittivo del concetto di abitazione destinata allo svolgimento degli arresti domiciliari, è stato stabilito che il fine primario e sostanziale della misura coercitiva [ ] è quello di impedire i contatti con l'esterno ed il libero movimento della persona, quale mez zo di tutela delle esigenze cautelari, che può essere vanificato anche dal tratte nersi negli spazi condominiali comuni” Sez. 6, sent. n. 4830 del 21/10/2014, PM in proc. Capkevica, Rv. 262155 . Il quid pluris dell'interpretazione qui adottata consiste, pertanto, nel fatto che, al di là dell'innegabile rigorismo giustificato dalle citate ragioni di ordine sistema tico, essa esime l'interprete da qualsiasi verifica in ordine allo statuto proprie tario dei cd. spazi accessori diversi da quelli sopra indicati, in quanto irrilevante ai fini della configurabilità dei reato, ferma evidentemente restando la possibilità di apprezzare la specificità del caso ai fini della concreta determinazione del trat tamento sanzionatorio. 2. Al rigetto dell'impugnazione segue, come per legge, la condanna del ricor rente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.