Sulla responsabilità dell’amministratore “testa di legno” per occultamento e distruzione di documenti contabili

L’amministratore che sia stato mero prestanome nell’interesse degli effettivi gestori della società risponde del reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74/2000 soltanto in presenza di dolo specifico.

Con la decisione n. 15900 del 18 aprile 2016 la Corte di Cassazione, Terza sezione Penale, ritiene che il dolo specifico non può essere automaticamente presunto sulla base della sola avvenuta realizzazione dell’elemento oggettivo del reato, dovendo, invece, essere dedotto e valutato sulla base della complessiva condotta del soggetto attivo del reato. Il caso. La Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto da un amministratore di società ritenuto responsabile, nei precedenti gradi di giudizio, del reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000. In particolare, costui era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione per aver occultato o distrutto i registri contabili obbligatori. Motivo del ricorso. Il ricorrente, mediante un unico motivo, deduce il vizio di cui all’art. 606 lettere b ed e c.p.p. ritenendo non sussistente il dolo specifico richiesto dall’art. 10 d.lgs. n. 74/2000 vuoi per la manifesta inoffensività della condotta, vuoi per l’esiguità dell’imponibile evaso accertato. Segnatamente, viene rappresentata l’assenza di interesse ad evadere le imposte per un ammontare ridotto, non avendo il ricorrente rivestito, all’epoca dei fatti, alcun ruolo effettivo in società. Nel corso dei precedenti gradi di giudizio costui aveva dimostrato di aver attivamente collaborato con gli inquirenti per rendere disponibili le scritture contabili, indicando anche il commercialista incaricato della loro tenuta, nonché producendo una scrittura privata da cui emergeva il suo ruolo di testa di legno”. Ruolo questo accertato anche dalla Corte di appello. Annullata la sentenza della Corte di appello. I Giudici di legittimità annullano la decisione della Corte di appello osservando come le argomentazioni ivi sviluppate non siano idonee a sorreggere il giudizio di responsabilità secondo i canoni dell’oltre ogni ragionevole dubbio quanto alla sussistenza del dolo specifico richiesto ex lege per la punibilità del reo in relazione alla fattispecie penale contestatagli. Indispensabile il dolo specifico. Chiarisce in dettaglio la Corte che l’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74/2000 è costituito dal dolo essendo necessario che il soggetto agente abbia coscienza e volontà, non solo di occultare o distruggere i documenti contabili, ma anche dell’idoneità impeditiva di tale condotta. La norma in esame richiede, altresì, il dolo specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di conseguire indebiti rimborsi e di consentire l’evasione a terzi. Finalità che – in relazione alla natura di reato di pericolo della fattispecie – non richiede la necessaria realizzazione di tale obiettivo essendo sufficiente, per la presenza del dolo, che la condotta sia così orientata. Ciò nonostante, l’accertamento del dolo specifico deve essere oggetto di precisa valutazione non potendo lo stesso essere presunto, in modo automatico, sulla base della sola avvenuta realizzazione dell’elemento oggettivo del reato, dovendo invece essere dedotto e valutato sulla base della complessiva condotta del soggetto attivo del reato. Sulla prova del dolo specifico nella vicenda dedotta in lite. Continua la Corte di legittimità il proprio ragionamento osservando come, nella fattispecie, i giudici di secondo grado avessero soggettivamente ascritto il fatto al ricorrente sulla base dell’affermazione – per vero tautologica – secondo cui questi, pur essendo una testa di legno”, si sarebbe prestato a svolgere detto ruolo formale sicché non poteva ignorare di essere il diretto responsabile della tenuta delle scritture contabili e della presentazione delle dichiarazioni. Sulla scorta dei suoi precedenti Cass. n. 19116/14 n. 23425/11 , la Suprema Corte ribadisce che la responsabilità penale dell’amministratore di diritto – qual è il ricorrente nel caso in esame – può sì essere affermata rispondendo costui a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento ex artt. 40 c.p. e 2932 c.c., a condizione però che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma penale incriminatrice. Nel caso in esame, invece, nel corso del giudizio è difettato il necessario approfondimento in ordine alla configurabilità di tale dolo specifico atteso che la decisione della Corte di appello, basata sulla mera presunzione secondo cui il ricorrente – per il solo fatto di essere un prestanome nell’interesse degli effettivi gestori – non poteva ignorare di essere il diretto responsabile della tenuta delle scritture contabili e della presentazione delle dichiarazioni fiscali, non è sufficiente a sorreggere una condanna dovendosi individuare elementi di natura diversa da quelli presuntivamente così indicati che supportino il fine specifico di cui alla norma penale incriminatrice. Da qui il rinvio alla Corte di appello affinché colmi il deficit motivazionale uniformandosi all’enunciato principio di diritto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 marzo – 18 aprile 2016, n. 15900 Presidente Amoresano – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 13/05/2014 la Corte d’appello di ANCONA confermava la sentenza del Tribunale di Pesaro del 15/02/2011 che aveva condannato G.G. alla pena di mesi 6 di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, per il reato di cui all’art. 10, d.lgs. n. 74 del 2000 occultamento o distruzione di tutti i registri contabili obbligatori nonché della fattura n. 4 del 2004 emessa nei confronti di tale M.S. , contestato come accertato in data 13/11/2008. 2. Ha proposto ricorso il G.G. a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1 . Deduce, con tale unico motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b ed e cod. proc. pen., in relazione al dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice. In sintesi, si duole il ricorrente in quanto non sussisterebbe il dolo specifico richiesto dall’art. 10 citato sia per la manifesta inoffensività della condotta sia per l’imponibile esiguo pari ad Euro 2300,00 oltre IVA il ricorrente non avrebbe avuto alcun interesse ad evadere le imposte per un ammontare così esiguo e riguardante redditi non percepiti, non rivestendo all’epoca alcun ruolo nella società ciò sarebbe comprovato anche dal comportamento del ricorrente il quale si sarebbe attivamente adoperato per far si che le scritture contabili rientrassero nella materiale disponibilità degli inquirenti, indicando il commercialista incaricato della tenuta della contabilità all’epoca dei fatti, nonché producendo scrittura privata da cui emergeva il suo ruolo di testa di legno , riconosciutogli dalla Corte d’appello la sentenza sul punto sarebbe del tutto priva di motivazione, limitandosi a ritenere il ricorrente consapevole di aver contribuito al disegno degli effettivi amministratori, senza motivare però su quale base si fosse pervenuti alla conclusione della consapevolezza di tale contributo. Considerato in diritto 3. La sentenza dev’essere annullata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia essendo fondato il motivo di ricorso. 4. Ed invero, la sentenza impugnata motiva in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico così sviluppando il proprio percorso argomentativo a nel 2004 la società formalmente amministrata dal ricorrente aveva effettuato operazioni attive per Euro 128.745,00, senza presentare le dichiarazioni fiscali per le annualità successive 2004, 2005 e 2006 b il ricorrente, nominato amministratore il 14 gennaio 2005, non era stato in grado di esibire in sede di verifica le scritture, essendosi riusciti comunque a ricostruire il volume degli affari, limitatamente all’anno 2004, solo grazie al fatto che i clienti avevano fatto valere gli sgravi fiscali per le ristrutturazioni degli impianti per l’anno 2004 c non era stata provata la cessazione dell’attività dopo l’assunzione della carica di amministratore da parte del ricorrente d le scritture contabili erano esistenti, in quanto erano state restituite dal commercialista della società missiva del 25/02/2005 e l’obbligo di tenuta cessa solo dopo formalizzata la cancellazione dal registro delle imprese, peraltro mai avvenuta f non avendo la società presentato le dichiarazioni fiscali per tre annualità consecutive, la scopo dell’occultamento delle scritture contabili era appunto quello di sottrarre al Fisco le operazioni svolte dalla società g il ricorrente era una testa di legno e si era prestato in tal senso, come emerso da una scrittura privata, ma non poteva ignorare di essere il diretto responsabile della tenuta delle scritture contabili e della presentazione delle dichiarazioni h non aver fatto quanto sopra, secondo la Corte d’appello, non sarebbe indice di negligenza, ma di volontario e consapevole contributo ad attuare il disegno perseguito dai soci effettivi che, non volendo comparire, avevano in animo di svolgere l’attività in maniera poco lecita. 5. Osserva il Collegio come le argomentazioni sviluppate dalla Corte d’appello, pur corrette quanto alle emergenze processuali, non sono tuttavia idonee a sorreggere il giudizio di responsabilità, secondo i canoni dell’oltre ogni ragionevole dubbio, quanto alla sussistenza del dolo specifico normativamente richiesto per la punibilità del reo in relazione alla fattispecie penale contestatagli. Ed invero, l’elemento soggettivo del delitto in esame è costituito dal dolo occorrerà che il soggetto agente abbia coscienza e volontà, non solo di occultare o distruggere i documenti contabili, ma, per di più - aderendo all’indirizzo interpretativo che identifica nell’impossibilità di ricostruire i redditi o il volume d’affari una modalità della condotta - dell’idoneità impeditiva di tale condotta. La norma richiede, inoltre, il dolo specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, di conseguire indebiti rimborsi ovvero di consentire l’evasione a terzi, finalità che, proprio in relazione alla natura di reato di pericolo della presente fattispecie, non richiede, poi, la necessaria realizzazione di questo obiettivo essendo sufficiente, per la presenza del dolo, che la condotta sia così orientata. È tuttavia necessario che la presenza del dolo specifico deve formare oggetto di una specifica valutazione, non potendo lo stesso essere presunto, in modo automatico, sulla base della sola avvenuta realizzazione dell’elemento oggettivo del reato, dovendo essere dedotto e valutato sulla base della complessiva condotta del soggetto attivo del reato. Orbene, nel caso in esame, la Corte territoriale ascrive soggettivamente il fatto al ricorrente sulla base dell’affermazione, in sé però tautologica, secondo cui questi, pur essendo una testa di legno in quanto nominato in data 14 gennaio 2005 dunque l’anno successivo a quello in cui sarebbero state poste le operazioni imponibili non dichiarate , si sarebbe prestato - come del resto riconosciuto da una scrittura privata acquisita in giudizio - a svolgere detto ruolo formale da quanto sopra si giunge ad affermare che l’imputato non poteva ignorare di essere il diretto responsabile della tenuta delle scritture contabili e della presentazione delle dichiarazioni. Affermazione, questa ovvia, ma che si scontra con la natura specifica del dolo normativamente richiesto ai fini della punibilità dell’agente. Invero, come già affermato da questa stessa Sezione Sez. 3, sentenza n. 19116 del 2014, ric. Tafili, non massimata , muovendo dal dato incontestabile sedendo cui il reato de quo richiede quale elemento soggettivo il dolo specifico, ne discende che la responsabilità penale dell’amministratore di diritto - qual è il ricorrente nel caso in esame - può sì essere affermata, posto che risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento ex artt. 40, cpv. c.p., e art. 2/92 c.c., ma a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto della norma penale incriminatrice v., sul punto Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011 - dep. 10/06/2011, Ceravolo, Rv. 250962 . Orbene, nel caso in esame, ciò che difetta è proprio il necessario approfondimento in ordine alla configurabilità del dolo specifico normativamente richiesto ai fini della perseguibilità penale della condotta prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, atteso che l’affermazione della Corte territoriale basata sulla presunzione secondo cui questi, per il sol fatto di essere prestanome nell’interesse degli effettivi gestori della società, non poteva ignorare di essere il diretto responsabile della tenuta delle scritture contabili e della presentazione delle dichiarazioni fiscali per le tre annualità indicate non è sufficiente a sorreggere una condanna, dovendosi individuare elementi di natura diversa da quelli presuntivamente indicati dalla Corte territoriale, che supportino il fine specifico richiesto dalla norma penale incriminatrice. 6. La sentenza dev’essere pertanto annullata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, territorialmente competente quale giudice di rinvio, perché colmi il deficit motivazionale e si uniformi al principio di diritto enunciato da questa Corte nel 5. P.Q.M. La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di PERUGIA.