La Cassazione fissa alcuni limiti al sequestro per equivalente

In tema di reati tributari commessi dai legali rappresentanti della persona giuridica, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto può essere disposto sui beni personali degli amministratori solo nell’ipotesi in cui il profitto non sia più nella disponibilità della persona giuridica, dunque all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato.

Questo il principio di diritto riaffermato dalla Terza Sezione della Cassazione Penale, con la sentenza n. 15099/2016, con la quale ha, altresì, affermato che il divieto di sequestro anche per equivalente e pignoramento di trattamenti retributivi, pensionistici ed assistenziali, in misura eccedente un quinto del loro importo al netto delle ritenute, costituisce regola generale dell’ordinamento processuale, stante la riconducibilità dei predetti trattamenti nella misura di 4/5 del loro importo all’area dei diritti inalienabili della persona tutelati dall’art. 2 Cost Il caso in esame. La pronuncia in commento trae origine da un sequestro per equivalente finalizzato alla confisca in danno del legale rappresentante di una società, resosi responsabile della violazione dell’art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000. Oggetto del provvedimento ablativo era dunque stato il patrimonio personale, o meglio nella disponibilità, del soggetto sottoposto ad indagini, che ricopriva la qualifica di Presidente del Consiglio di Amministrazione allorché il delitto di omesso versamento IVA si era perfezionato. Il provvedimento di sequestro era stato confermato dal Tribunale del riesame, avverso l’ordinanza del quale propone ricorso per cassazione l’indagato. Due i motivi di doglianza dedotti dal ricorrente. Con il primo motivo l’indagato lamenta l’assenza di motivazione nel provvedimento del Tribunale del riesame circa l’effettiva, concreta e circostanziata impossibilità di procedere al sequestro dei beni della società beneficiaria dell’evasione fiscale, accertamento che costituisce presupposto imprescindibile per dare corso al sequestro per equivalente finalizzato alla confisca dei beni dell’amministratore. Con un secondo motivo, lamenta il ricorrente che oggetto del provvedimento di sequestro prodromico alla confisca era stato anche l’intera somma giacente su un libretto postale, provento esclusivamente di un trattamento pensionistico di cui era titolare l’indagato, che non poteva essere oggetto di alcun provvedimento ablativo se non nel limite di 1/5 dell’intero importo erogato al netto delle ritenute. Sul punto il Tribunale del riesame, che si era limitato ad evidenziare come non fosse necessario, nel caso di sequestro per equivalente, alcun nesso di pertinenzialità fra il reato commesso ed i beni o il denaro da sottoporre a vincolo, non aveva, pertanto, fornito alcun risposta e motivazione allo specifico motivo di impugnazione. La natura residuale del sequestro per equivalente. Come noto, in linea di principio, il sequestro per equivalente può ritenersi legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile e, dunque, non possa essere disposto il sequestro diretto del profitto del reato. Tuttavia il Tribunale del riesame aveva rigettato la doglianza proposta sul punto dall’indagato, evidenziando come, in sede penale, non fosse necessaria una preventiva escussione del patrimonio della società, beneficiaria del profitto del reato fiscale, alla ricerca del medesimo, ben potendosi disporre immediatamente il sequestro per equivalente di qualunque bene o denari fossero rinvenuti nella disponibilità dell’indagato, cui risultava attribuito lo stesso reato. È proprio sul punto che interviene la censura della Cassazione che, accogliendo le argomentazioni del ricorrente, evidenzia come detto principio sia stato superato dalla nota pronuncia a Sezioni Unite Gubert e dalla conforme giurisprudenza successiva. Secondo tale più recente giurisprudenza, è vero che non sussiste alcun obbligo per la pubblica accusa di provvedere alla preventiva ricerca di beni, liquidità o altri cespiti costituenti il profitto del reato della persona giuridica da sottoporre a sequestro diretto, allorché risulti ex actis l’incapienza del patrimonio dell’ente è, tuttavia, altrettanto vero che, per procedere al sequestro per equivalente di beni personali degli amministratori, è necessario che il profitto non sia più nella disponibilità della persona giuridica, sulla base di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente, che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato. Poiché nel caso in esame, dal provvedimento del Tribunale del riesame, non risultava in alcun modo che si fosse valutata, allo stato degli atti, l’incapienza del patrimonio della persona giuridica, il provvedimento viene annullato, con rinvio, sul punto. La sequestrabilità di stipendi e pensioni. Anche il secondo motivo di ricorso proposto dall’indagato merita accoglimento. Osservano, infatti, gli Ermellini che il Tribunale del riesame non aveva, invero, fornito alcuna soluzione al problema della prevalenza delle norme che impongono il sequestro per equivalente, su quelle che limitano nella misura di 1/5 ogni pignoramento o sequestro delle somme percepite a titolo di stipendi ovvero pensioni. La questione della non necessaria sussistenza di un vincolo pertinenziale tra quanto si sottopone a sequestro per equivalente ed il reato commesso non risolve, infatti, la questione della prevalenza dell’una o dell’altra norma. Sul punto, è tranchant l’argomento degli Ermellini il divieto di sequestro e pignoramento di trattamenti retributivi, pensionistici ed assistenziali, in misura eccedente un quinto del loro importo al netto delle ritenute, costituisce regola generale dell’ordinamento processuale, stante la riconducibilità dei predetti trattamenti nella misura di 4/5 del loro importo all’area dei diritti inalienabili della persona tutelati dall’art. 2 Cost., che prevale sulle norme che disciplinano il sequestro per equivalente. Anche sul punto, pertanto, l’impugnata ordinanza viene annullata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 marzo – 12 aprile 2016, n. 15099 Presidente Fiale – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 22/09/2014, depositata in data 30/09/2014, il tribunale del riesame di NAPOLI confermava il decreto di sequestro preventivo per equivalente disposto con ordinanza del GIP del medesimo tribunale in data 3/06/2014, avente ad oggetto la somma di Euro 2.094.388 o di beni di valore equivalente nella disponibilità dell’indagato, nei cui confronti è stato iscritto procedimento penale per il reato di cui all’art. 10 ter, d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione all’omesso versamento IVA relativamente al periodo di imposta 2010 per l’importo c.s. indicato. 2. Ha proposto ricorso M.R. a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la ordinanza predetta con cui deduce due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b e c , cod. proc. pen., sotto il profilo della violazione di legge in relazione agli artt. 322 ter e 240 c.p., 125 e 321 c.p.p., 1, comma 143, legge n. 244 del 2007 e 111, comma sesto, Cost In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto, sostiene il ricorrente, nella richiesta di riesame la difesa aveva eccepito che ex art. 322 ter c.p., il sequestro per equivalente poteva ritenersi legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato fosse impossibile richiamando la giurisprudenza di questa Corte sul punto, da ultimo espressa dall’autorevole insegnamento delle Sezioni Unite Gubert e da decisioni ad esse successive, sostiene il ricorrente che, nel caso in esame, il sequestro a carico dell’amministratore sarebbe stato ipotizzabile solo all’esito del concreto, specifico e documentato controllo della sussistenza dei beni presso la società, nella specie inesistente i giudici del riesame, investiti della questione, avrebbero invece motivato sostanzialmente elidendo la censura, affermando che l’onere di previa escussione del patrimonio societario non incombe sulla giurisdizione nel corso del procedimento penale, potendo l’organo che procede all’accertamento del fatto-reato aggredire, ai fini della successiva confisca, qualsiasi bene riconducibile al responsabile persona fisica delle condotte contestate vi sarebbe quindi conclusivamente un vizio assoluto di motivazione circa l’effettiva, concreta e circostanziata impossibilità di procedere al sequestro dei beni della società beneficiata dall’evasione fiscale, al fine di dar corso al sequestro per equivalente sui beni dell’amministratore. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b e c , cod. proc. pen., sotto il profilo della violazione di legge in relazione agli artt. 2, d.p.R. n. 180 del 1950, 125 e 321 c.p.p., 104 disp. Att. C.p.p., 111, comma sesto, Cost In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza in quanto, sostiene il ricorrente, nella richiesta di riesame era stata censurata la violazione dell’art. 2 del d.p.r. citato essendo stato eseguito il sequestro anche sul libretto postale acceso dall’indagato con l’esclusivo fine di riscuotere la pensione erogata dall’INPS, essendovi espressamente obbligato dalla normativa antiriciclaggio l’esecuzione del sequestro, in parte qua, si appaleserebbe illegittima perché sul libretto postale confluisce esclusivamente detto trattamento pensionistico, che in quanto tale non sarebbe sequestrabile se non nei limiti del quinto del relativo importo, come ribadito anche dalla giurisprudenza di questa Corte la motivazione del tribunale del riesame, sul punto, sarebbe censurabile in quanto, da un lato, ritiene che l’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla difesa si riferisca all’ipotesi di confisca per equivalente per ipotesi di reato contro la P.A. e, dall’altro, afferma che ciò che rileva è la corrispondenza tra quanto sequestrato e quanto evaso, sicché qualora il profitto tratto da taluno dei reati per cui è prevista la confisca per equivalente è costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano da delitto e siano confluite nell’effettiva disponibilità dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare detta motivazione avrebbe anche in questo caso eluso di esaminare la censura, restando infatti intatta la violazione del principio di insequestrabilità delle pensioni oltre il limite di legge, non soltanto perché il precedente giurisprudenziale evocata dalla difesa era pertinente in quanto afferente al profilo dell’illegittima esecuzione del sequestro oltre detto limite di legge non rilevando l’ipotesi di reato per cui si procede, ma anche perché, da un lato, non era mai stato sostenuto dalla difesa che le somme sequestrate dovessero derivare dal delitto e, dall’altro, perché era stato evidenziato che proprio per la caratteristica delle perequivalenza, il sequestro in esame non avrebbe potuto essere eseguito su somme impignorabili ed insequestrabili, come confermato dalla giurisprudenza di legittimità evocata in ricorso. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. 4. Quanto al primo motivo, con cui si censura l’ordinanza in quanto il sequestro per equivalente poteva ritenersi legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato fosse impossibile, è sufficiente rilevare come la motivazione del provvedimento impugnato si presenti sul punto non corretta giuridicamente, richiamando un principio nel senso che l’onere di previa escussione del patrimonio societario non incombe sulla giurisdizione nel corso del procedimento penale, potendo l’organo che procede all’accertamento del fatto-reato aggredire, ai fini della successiva confisca, qualsiasi bene riconducibile al responsabile persona fisica delle condotte contestate affermato da una decisione di questa Corte Sez. 3, n. 7138 del 27/01/2011 - dep. 24/02/2011, Mazzitelli, Rv. 249398 che è ovviamente da ritenersi non più attuale a seguito dell’arresto delle richiamate Sezioni Unite Gubert e dalla giurisprudenza successiva ed invero, è stato chiarito che al fine di poter disporre la confisca diretta del profitto nei confronti della persona giuridica è pur sempre necessario che risulti la disponibilità nelle casse societarie di denaro da aggredire, non sussistendo un obbligo per la Pubblica Accusa di dover provvedere alla preventiva ricerca di liquidità o cespiti anche nel caso in cui risulti ex actis l’incapienza del patrimonio dell’ente Sez. 3, n. 6205 del 29/10/2014 - dep. 11/02/2015, Mataloni e altro, Rv. 262770 , puntualizzandosi ulteriormente, da un lato, che in tema di reati tributari commessi dai legali rappresentanti della persona giuridica, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto può essere disposto sui beni personali degli amministratori solo nell’ipotesi in cui il profitto o i beni ad esso direttamente riconducibili non sia più nella disponibilità della persona giuridica Sez. 3, n. 30486 del 28/05/2015 - dep. 15/07/2015, Antenucci, Rv. 264392 e, dall’altro, che in tema di reati tributari, il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per equivalente , invece che in quella diretta , all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto nelle casse della società o per ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la trasformazione, incombendo, invece, al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta Sez. 3, n. 1738 del 11/11/2014 - dep. 15/01/2015, Bartolini, Rv. 261929 . Orbene, facendo coerente applicazione di tali principi di diritto, il tribunale avrebbe dovuto accertare se, come eccepito dal ricorrente, vi fosse l’effettiva, concreta e circostanziata impossibilità di procedere al sequestro dei beni della società beneficiata dall’evasione fiscale, al fine di dar corso al sequestro per equivalente sui beni dell’amministratore nella specie, i giudici del riesame, al di là di un richiamo ai principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite Gubert, si limitano a evidenziare che il P.M. avrebbe indicato nella richiesta di sequestro che non era possibile individuare in rerum natura il profitto direttamente ed immediatamente derivante dagli illeciti oggetto di imputazione, derivandone la ricorrenza di tutte le condizioni necessarie per poter aggredire con sequestro preventivo ai fini della confisca per equivalente dei beni che sono risultati essere nella disponibilità dell’indagato M.R. quale l.r. della Groupe S.p.A Ora, a parte la enigmatica affermazione che il tribunale attribuisce al PM ricorrente circa la mancata individuazione del profitto derivante dall’art. 10 ter, d.lgs. n. 74 del 2000 profitto sicuramente coincidente con il mancato versamento dell’IVA dichiarata e non corrisposta alla scadenza prevista dalla legge al 27/12 dell’anno successivo a quello di imposta, ossia il 2010 , ciò che è mancato nel caso di specie è proprio la valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato nulla è dato desumere dal provvedimento impugnato circa gli esiti di tale accertamento, circostanza necessaria, secondo quanto più volte affermato da questa Corte, al fine di ritenere legittima l’aggressione del patrimonio del l.r. per illeciti tributari, segnatamente per quello di cui di discute. 5. Quanto al secondo motivo - in cui è censurata la violazione dell’art. 2 del d.p.r. n. 180 del 1950 essendo stato eseguito il sequestro anche sulle somme depositate sul libretto postale acceso dall’indagato con l’esclusivo fine di riscuotere la pensione erogata dall’INPS, esecuzione del sequestro, in parte qua , illegittima perché la somma esistente sul predetto libretto postale non sarebbe sequestrabile se non nei limiti del quinto del relativo importo come ribadito anche dalla giurisprudenza di questa Corte -, la motivazione del tribunale del riesame si appalesa parimenti non corretta giuridicamente, atteso che a parte l’irrilevanza dell’affermazione secondo cui la giurisprudenza citata dalla difesa non sarebbe pertinente in quanto riferentesi alla confisca per equivalente per ipotesi di reato contro la P.A. come se il problema dell’impignorabilità fosse diverso a seconda del delitto da cui provengono le somme sequestrande , è errato in diritto quanto sostenuto dal tribunale del riesame. Ed invero, va qui ricordato che il D.P.R. n. 180 del 1950, art. 1 stabilisce che Non possono essere sequestrati, pignorati o ceduti, salve le eccezioni stabilite nei seguenti articoli ed in altre disposizioni di legge, gli stipendi, i salari, le paghe, le mercedi, gli assegni, le gratificazioni, le pensioni, le indennità, i sussidi ed i compensi di qualsiasi specie che Io Stato, le province, i comuni, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e qualsiasi altro ente od istituto pubblico sottoposto a tutela, od anche a sola vigilanza dell’amministrazione pubblica comprese le aziende autonome per i servizi pubblici municipalizzati e le imprese concessionarie di un servizio pubblico di comunicazioni o di trasporto nonché le aziende private corrispondono ai loro impiegati, salariati e pensionati ed a qualunque altra persona, per effetto ed in conseguenza dell’opera prestata nei servizi da essi dipendenti . Il Tribunale del riesame ha affermato pag. 4 che ciò che rileva in questa fase è la corrispondenza tra quanto sequestrato e quanto evaso, sicché qualora il profitto tratto da taluno dei reati per cui è prevista la confisca per equivalente è costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano da delitto e siano confluite nell’effettiva disponibilità dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare richiama a tal fine Sez. 3, n. 1261 del 25/09/2012 - dep. 10/01/2013, Marseglia, Rv. 254175 . Trattasi, tuttavia, di richiamo improprio al principio affermato da tale decisione, in quanto ciò di cui si discute va nel caso in esame, non era il tema dell’accertamento del nesso di pertinenzialità tra il reato ed il bene nella specie, denaro da confiscare, quanto, piuttosto, la legittimità dell’esecuzione del sequestro per equivalente per intero su somme di denaro provenienti da trattamenti pensionistici oltre il limite di legge del quinto. Orbene, sul punto, questa Corte ha già chiarito Sez. 2, sentenza n. 12541 del 17 marzo 2014, non massimata Sez. 1, sentenza n. 41905 del 23 settembre 2009, CED Cass. n. 245049 Sez. 6, sentenza n. 25168 del 16 aprile 2008, CED Cass. n. 240572 Sez. 2, n. 15795 del 10/02/2015 - dep. 16/04/2015, Intelisano, Rv. 263234 , e l’orientamento merita di essere ribadito, che il divieto di sequestro e pignoramento di trattamenti retributivi, pensionistici ed assistenziali in misura eccedente un quinto del loro importo al netto delle ritenute, costituisce regola generale dell’ordinamento processuale, stante la riconducibilità dei predetti trattamenti nella misura di 4/5 del loro importo netto all’area dei diritti inalienabili della persona tutelati dall’art. 2 Cost Il provvedimento impugnato, emesso in violazione dei predetti limiti legali, dovrebbe, pertanto, essere annullato - oltre che per la, assorbente, ragione, di cui al 4 - anche limitatamente al sequestro della somma eccedente un quinto dell’importo depositato sul libretto in contestazione. 6. L’ordinanza dev’essere, dunque, annullata, con rinvio al tribunale del riesame di Napoli per nuovo esame, tenendo conto dei principi affermati da questo Collegio ai paragrafi 4 e 5. P.Q.M. La Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di NAPOLI.