Chi fa uso di sostanze stupefacenti può invocare la scriminante speciale, se…

Relativamente al reato di favoreggiamento personale che commette l'acquirente di modiche quantità di sostanza stupefacente per uso personale, il quale, sentito come persona informata sui fatti, si rifiuta di fornire alla polizia giudiziaria informazioni sulle persone da cui ha ricevuto la droga, è applicabile l'esimente di cui all'art. 384 c.p. se, in concreto, le informazioni richieste possono determinare nei suoi confronti un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore, anche se determinato dall'applicazione delle misure sanzionatorie previste dall'art. 75 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.

Lo ha stabilito la seconda sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14520, depositata il 7 aprile 2016. La giurisprudenza in tema di scriminante speciale ex art. 384 c.p La scriminante di cui all’art. 384 c.p. è un’ipotesi speciale di stato di necessità, la quale, a parte alcune caratteristiche distintive, esige che il pregiudizio minacciato non possa altrimenti evitarsi se non con un’azione che, di regola, costituisce reato. Nel caso di un testimone che debba rendere la sua deposizione nel procedimento a carico di un prossimo congiunto, questi deve essere preventivamente informato della facoltà di astenersi, ai sensi dell’art. 199 c.p.p Quid juris , quando questi, pur avvertito della suddetta facoltà, abbia comunque deposto affermando il falso o negando il vero? In risposta a tale interrogativo, si è sviluppato un notevole contrasto nella giurisprudenza di legittimità. Secondo l’orientamento negativo, la causa di esclusione della punibilità per il delitto di falsa testimonianza, prevista per chi ha commesso il fatto al fine di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore non opera se il testimone, pur avvertito della facoltà di astenersi, abbia comunque deposto affermando il falso o negando il vero, atteso che la facoltà di astenersi concede al potenziale teste una scelta, facendo venire meno l’inevitabilità del nocumento derivante da una testimonianza veritiera, e perciò uno dei presupposti presi in considerazione dal citato art. 384 c.p. ai fini dell’esclusione della punibilità. In senso contrario, la Suprema Corte ha stabilito che la causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p. è applicabile anche quando il prossimo congiunto dell’imputato abbia operato la scelta di non avvalersi della facoltà di astenersi dal testimoniare, in quanto la suddetta causa, che trova la sua giustificazione nell’istinto alla conservazione della propria libertà e del proprio onore nemo tenetur se detegere . Essa presuppone una situazione di necessità, nettamente distinta da quella prevista in via generale dall’art. 54 c.p. poiché non richiede che il pericolo non sia stato causato dall’agente, nella quale il nocumento alla libertà e all’onore è evitabile solo con la commissione di uno dei reati contro l’amministrazione della giustizia. Ne consegue che l’obbligo legale di testimoniare o anche la libera scelta di farlo nell’ipotesi in cui non si eserciti, ove prevista, la facoltà di astenersi, non incidono sull’operatività della suddetta esimente”. Chiamate a risolvere tale contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione aderendo all’opzione negativa, hanno stabilito che la causa di esclusione della punibilità per il delitto di falsa testimonianza, prevista per chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore, non opera nell’ipotesi in cui il testimone abbia deposto il falso pur essendo stato avvertito della facoltà di astenersi. Secondo la Suprema Corte, la situazione descritta nel comma I dell’art. 384 costituisce una ipotesi speciale della causa di giustificazione dello stato di necessità ex art. 54 c.p. , sicché è configurabile pienamente la punibilità del prossimo congiunto che, ritualmente avvertito della facoltà di astenersi, scelga di deporre in tal caso, quindi, assume la qualità di teste al pari di qualsiasi altro soggetto, con tutti gli obblighi connessi a tale veste, in applicazione dell’art. 198 c.p.p., essendo per sua scelta, venute meno le ragioni che giustificavano la tutela della sua posizione. Tra tali obblighi, vi è, in primo luogo, quello di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte. Affermare il contrario, osserva la Corte, darebbe luogo ad una figura di testimone con facoltà di mentire del tutto incompatibile con il sistema processuale e con pericolosi riflessi in termini di deresponsabilizzazione del dichiarante. Da ultimo, non sarebbero neppure richiamabili, in favore della soluzione affermativa, i rapporti tra il primo e secondo comma dell’art. 384 c.p., in quanto riguardanti due sfere di applicazione diverse le quali inducono a ritenere che le due norme sono alternative e non si possono combinare. e nel caso di falsa testimonianza. Come è noto, il reato di falsa testimonianza rientra fra quelli scriminati ai sensi dell’art. 384, comma secondo, del codice penale. Tale speciale esimente è conseguenza del mancato rispetto de presupposti tipici per l’acquisto delle qualità considerate nella predetta disposizione, fra cui appunto quella di testimone. Orbene, nel caso di un soggetto che non doveva né poteva essere escusso quale teste, in quanto tenuto a deporre su fatti dai quali avrebbe potuto emergere una responsabilità penale del dichiarante, la falsa testimonianza proveniente da quest’ultimo è da ritenersi scriminata, perché assunta in difetto dei necessari presupposti di legge segnatamente, per violazione del secondo comma dell’art. 198 c.p.p. . Nondimeno nulla vieta di poter configurare, a carico del determinatore del falso testimone non punibile, una diretta responsabilità, sulla base della medesima norma incriminatrice di parte speciale art. 372 c.p. , quale autore della condotta posta in essere dall’esecutore materiale dell’illecito. Affinché ciò possa avvenire, occorre peraltro che, dall’istruttoria dibattimentale, emerga la prova di un’esplicita condotta di determinazione, tale da far insorgere nel determinato” un proposito criminoso prima inesistente.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 gennaio – 11 aprile 2016, numero 14520 Presidente Fiandanese – Relatore Diotallevi Considerato in diritto Con sentenza 3475/2011 la Corte d'Appello di Palermo -III Sez. Penumero - confermava la condanna irrogata a I.C. alla pena di un anno e mesi sei di reclusione, per il delitto - di falsa testimonianza - ex articolo 372 c.p. commesso in data 25/03/2009, deponendo come teste, nel processo a carico di Piombino Giuseppe, imputato di detenzione illecita di sostanza stupefacente. La Corte territoriale riteneva fondata la non applicabilità dell'articolo 384 c.p. - nei delitti contro l'attività giudiziaria - poiché l'ipotesi di non punibilità in esso previsto doveva intendersi limitata ai soli casi di necessità di salvare sé od altri da grave ed inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore, circostanze insussistenti nel caso di specie, a giudizio della Corte. Avverso tale sentenza ricorreva l'imputato I.C., il quale - con un unico motivo di ricorso - lamentava la violazione dell'articolo 606 lett. b ed e per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'esimente di cui all'articolo 384 c.p. Il ricorrente censurava la motivazione della Corte territoriale per contraddittoria e carenza di motivazione. Richiamava a tal fine I' orientamento prevalente della Suprema Corte in base al quale la causa di non punibilità prospettata all'articolo 384 c.p. si applica alla persona che ha negato l'acquisto per il consumo di sostanza stupefacente per sfuggire il rischio derivante dall'applicazione nei suoi confronti, delle sanzioni amministrative ex articolo 75 d.P.R. numero 309/1990 evidenziava inoltre, come la stessa Corte d'appello avrebbe motivato in maniera perplessa in ordine alla effettiva consumazione dei reato. Con sentenza del 5 giugno 2013, la VI Sez. della Suprema Corte di Cassazione annullava con rinvio alla Corte d'Appello di Palermo, la sentenza impugnata richiedendo una nuova valutazione sulla sussistenza della causa di esclusione della punibilità ex articolo 384 c.p. La Suprema Corte premessa l'insussistenza di motivi di dubbio, in base alle valutazioni espresse dalla Corte di merito, circa il fatto che il ricorrente, quale acquirente della droga, avesse già consegnato denaro allo spacciatore, sottolineava la necessità di valutare in concreto l'applicazione dell'articolo 75, del d.P.R. numero 309/1990, una volta realizzatosi l'acquisto e la possibilità della sussistenza degli elementi per l'applicazione dell'esimente in questione. Alla Corte d'Appello di Palermo quale giudice di rinvio, spettava dunque il compito di valutare se lo sviluppo dell'azione avesse comportato o meno il concreto rischio - in capo all'imputato - di essere sottoposto alle sanzioni amministrative dell'articolo 75 del d.P.R. numero 309/1990 conseguente personali negative per l'imputato. La Corte di rinvio premesso che la fattispecie criminosa ormai doveva ritenersi consumata con l'acquisto della sostanza stupefacente da parte dell'imputato e il conseguente rischio di incorrere nella irrogazione delle sanzioni amministrative conseguenti, ha affrontato il problema se tale situazione potesse comportare un nocumento nella libertà o nell'onore al prevenuto, tale da consentire l'applicabilità dell'articolo 384 c.p. La Corte d'Appello di Palermo ha ritenuto che l'onore dell'imputato fosse già stato oggetto di nocumento in passato, in ragione delle condanne pronunciate a suo carico, e quindi era da considerarsi pregiudicato già all'epoca della falsa testimonianza contestatagli, anche perché in relazione al suo status di tossicodipendenza non sono state fornite allegazioni specifiche idonee a comportare una compromissione della normale situazione esistenziale e lavorativa a seguito dell'applicazione delle misure previste dall'articolo 75 del citato d.P.R. La Corte territoriale, quindi, ha nuovamente confermato la sentenza di primo grado, condannando l'imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali, ritenendo inoltre non applicabili le circostanze attenuanti generiche proprio perchè l'I. risulta già gravatoda precedenti penali in materia di droga. Avverso tale sentenza ricorre - per mezzo del proprio difensore di fiducia - l'I., il quale lamenta, nuovamente, una violazione dell'articolo 606 lett. b ed e c.p.p. per un'erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'esimente ex articolo 384 c.p. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale si è limitatata a confermare la sentenza di primo grado senza approfondire realmente la questione, né la corte avrebbe posto in essere alcuna adeguata attività di ufficio idonea ad approfondire l'onere di allegazione - del soggetto sentito come teste - al fine di rendere disponibili gli elementi sulla base dei quali valutare l'esimente invocata. Ritenuto in diritto Il ricorso è infondato. Ritiene la Corte che, nel caso di specie, deve trovare applicazione il consolidato principio giurisprudenziale espresso dalle SS.UU., in base ai quale non si è in presenza di una situazione che comporta un'automatica esigibilità dell'esimente ex. articolo 384, comma primo, c.p. ma l'applicabilità dei suoi presupposti, e cioè la gravità del nocumento, deve essere valutata alla luce delle risultanze acquisite e di eventuali allegazioni dell'interessato . Sezioni Unite sent. numero 21832/2007 . Nel caso in oggetto - analogo a quello esaminato dalle Sezioni Unite - grazie al certificato penale, è stato rilevato che l'I. è stato destinatario di una prima condanna definitiva per il reato di cui all'articolo 73 del d.P.R. 309/90 e di un'altra condanna irrevocabile, per lo stesso reato. Ed invero, le Sezioni Unite hanno evidenziato chiaramente il principio di diritto in base al quale l'esimente di cui all'articolo 384, co. 1, c.p., [si applica] ove ricorra la situazione ivi contemplata necessità di salvarsi da grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore . [ ] Va tuttavia precisato che in tal caso l'applicazione dell'esimente non è automatica, ma subordinata alle condizioni previste dall'articolo 384 C.P., ed in particolare alla gravità dei pregiudizio, che deve essere verificata in concreto, alla stregua delle risultanze acquisite e di eventuali allegazioni dell'interessato, non comportando di per sé una breve sospensione dell'accesso ad autorizzazioni amministrative il carattere della gravità se non quando venga ad incidere in maniera rilevante sul lavoro, le attività o la vita di relazione del soggetto. Con specifico riferimento al pregiudizio per la reputazione è stato correttamente affermato - riprendendo un risalente indirizzo giurisprudenziale - che la necessità di evitare il pericolo del grave nocumento nell'onore deve essere valutata dal giudice in modo non assoluto ma relativo, avendo riguardo, cioè, alla personalità dell'autore dell'illecito in relazione all'ambiente in cui egli vive ed alla considerazione che riscuote nella comunità Le Sezioni Unite hanno poi affermato che quanto alla pretesa applicazione dell'esimente di cui all'articolo 384, co. I, c.p., sotto il profilo del danno alla reputazione non merita censura la motivazione della sentenza impugnata, che ha escluso il pregiudizio per l'onore dei soggetto in ragione dei due precedenti penali per delitto, di cui uno in materia di stupefacenti”. Nel caso di specie correttamente è stato applicato lo stesso principio. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna i! ricorrente al pagamento delle spese processuali.