Il «doppio binario»: a proposito delle (sconosciute) misure a presidio della pericolosità sociale

In materia di misure di sicurezza, la libertà vigilata può essere applicata in sostituzione dell’assegnazione a casa di cura e custodia anche nei confronti di condannato affetto da vizio parziale di mente quando la misura sia capace, in concreto, di soddisfare esigenze di cura e custodia e, contemporaneamente, di controllo della pericolosità sociale.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 14260 dell’8 aprile 2016. Il caso. La Corte territoriale confermava la sentenza di condanna resa dal tribunale nei confronti di un uomo accusato di tentata violenza sessuale nei confronti di una donna, di violenza privata e molestie nei confronti di un’altra e di molestie nei confronti di ulteriori altre tre donne. Prova delle violenze . Per i giudici il compendio probatorio è solido e si basa sulle dichiarazioni delle persone offese. In particolare, i giudici confermano che non è possibile derubricare la tentata violenza sessuale in atti contrari alla pubblica decenza in quanto emergeva che l’imputato aveva detto alla persona offesa ti prendo . Neppure sussistevano dubbi sulla violenza privata atteso che dalla ricostruzione emergeva che l’imputato si era avvicinato ala vittima con pesanti apprezzamenti sessuali e poi l’aveva strattonata tanto da cagionarle lesioni personali. Circa il fatto previsto dalla legge come reato non residuano incertezze. Vizio di mente? I giudici di merito hanno escluso il vizio totale di mente sulla base delle risultanze della perizia psichiatrica svolta sull’imputato. La Corte d’appello dava pure atto della documentazione prodotta in quella sede che, tuttavia, non mutava le conclusioni. Di qui la conferma del trattamento sanzionatorio compreso il diniego delle circostanze attenuanti generiche in ragione di un precedente penale che gravava sull’imputato nonché l’applicazione della misura di sicurezza in casa di cura e custodia per la durata di un anno. A proposito di misure di sicurezza Le misure di sicurezza, infatti, presuppongono che il fatto sia previsto dalla legge come reato e la pericolosità sociale del soggetto. Eccezioni legislativamente previste al requisito oggettivo riguardano l’ipotesi del reato impossibile e dell’accordo criminoso non eseguito o l’istigazione non accolta a commettere un delitto. e della natura della sanzione. Dopo un tempo in cui la dottrina inquadrava le misure di sicurezza tra le sanzioni aventi natura amministrativa, attualmente, si riconosce la natura di sanzione penale facendo leva sulla natura sostanzialmente afflittiva e sul processo giurisdizionale che scandisce la decisione sull’applicazione della stessa. Destinatari delle misure sono soggetti imputabili e semi-imputabili, se socialmente pericolosi, per i quali la misura si cumula con la pena, dando vita a un doppio binario nonché soggetti non imputabili ai quali la misura si applica in modo esclusivo il vizio di mente totale, infatti, esclude l’imputabilita . Mancata sostituzione misura più adeguata in concreto. L’intervento della Corte Suprema si incentra soprattutto sulla censura relativa alla mancata sostituzione della misura di sicurezza con altra ritenuta più idonea in concreto e meno segregante e richiesta dalla difesa dell’imputato. I giudici di merito, dopo aver riconosciuto il vizio parziale di mente, hanno affermato la pericolosità sociale dell’imputato. Nei motivi di appello la difesa aveva chiesto la sostituzione della misura applicata con la sentenza di primo grado. Conseguentemente, nel ricorso di legittimità è stata censurata la scelta circa la tipologia di misura di sicurezza nonché l’omessa pronuncia sulla richiesta di sostituzione della misura della casa di cura e custodia con la libertà vigilata. Quanto al giudizio di pericolosità la Corte d’appello si è limitata a confermare il giudizio di pericolosità sociale fondato anche sulla documentazione prodotta dagli atti si evinceva un attuale buon compenso psichico legato all’adesione al programma terapeutico e confermando anche la quantificazione della durata della misura. in parte mutato. Ciò risulta contraddittorio nel senso che, da un lato, si è dato atto di un buon progresso da parte dell’imputato, dall’altro, non si è modificata, neppure minimamente, la misura applicata né dal punto di vista qualitativo né da quello quantitativo . Non solo. Rileva la Corte che i giudici territoriali non hanno risposto in ordine alla richiesta di sostituzione con la misura della libertà vigilata. La libertà vigilata. È una misura non detentiva in cui avviene l’affidamento al servizio sociale e che consiste in un complesso di prescrizioni a contenuto variabile, positivo o negativo, tese ad impedire la commissione di nuovi reati e a facilitare il reinserimento sociale. La misura coniuga le esigenze di difesa sociale e l’assistenza al soggetto sottoposto alla misura. Gli insegnamenti della Corte costituzionale in tema di scelta della misura. Alcuni arresti della Corte costituzionale intervenuta sulla legittimità costituzionale di talune norme che disciplinano le misure di sicurezza hanno stabilito che deve essere evitato ogni automatismo nell’applicazione delle misure di sicurezza a carattere detentivo. Queste misure sono da evitare tutte le volte in cui un’altra, meno drastica e non segregante come ad esempio la libertà vigilata accompagnata da prescrizioni del giudice , si riveli in grado di soddisfare in concreto le esigenze di cura e tutela della persona interessata. Tale principio, dapprima pronunciato con riferimento al ricovero in ospedale psichiatrico, è stato richiamato dalla Corte costituzionale anche per l’assegnazione in casa di cura e custodia. Favor per misura meno drastica, più elastica e non segregante. Nell’occasione della sentenza sulla legittimità della norma che regola il ricovero in ospedale psichiatrico, la Corte costituzionale ha censurato il vincolo rigido imposto al giudice di disporre la misura detentiva anche quando una meno drastica, più elastica e non segregante si riveli idonea ad evitare occasione di nuovi reati assolvendo alla funzione di neutralizzare la pericolosità sociale e contemporaneamente soddisfare esigenze di cura e tutela del soggetto interessato. Censurato ogni automatismo. Quando si decide delle sorti della libertà individuale, come noto, ogni automatismo è bandito. Così è anche per l’applicazione di una misura di sicurezza segregante e totale perché viola esigenze essenziali di protezione dei diritti della persona e, nella specie, il diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost. La Corte costituzionale ha, pertanto, concluso per la rimozione dell’automatismo, autorizzando il giudice ad adottare la misura in concreto idonea a soddisfare esigenze di cura e tutela della persona e, contemporaneamente, idonea al controllo e contenimento della pericolosità sociale. Anche per la casa di cura e custodia. Il divieto di automatismo è stato esteso anche alla misura della casa di cura e custodia per effetto di altro intervento della Corte costituzionale perché trattasi di misura parimenti detentiva e segregante. È stato evidenziato che non sussistono significative differenze tra le due misure detentive e che vi è sostanziale identità concettuale tra vizio di mente totale e parziale, differendo questi solo per la diversa incidenza quantitativa esercitata sulla capacità di intendere e di volere esclusa o diminuita . Dall’omessa motivazione Nel caso di specie la Corte territoriale ha omesso di motivare in ordine alla richiesta di sostituzione della misura di sicurezza ignorando i postulati espressi dalla Corte costituzionale al riguardo. all’annullamento con rinvio sul punto. La misura di sicurezza della libertà vigilata può essere applicata in luogo della misura dell’assegnazione a casa di cura e custodia anche nei confronti di condannato affetto da vizio parziale di mente se, in concreto, la misura sia capace di soddisfare esigenze di cura e custodia e, contemporaneamente di controllo della pericolosità sociale. Circa il diniego delle attenuanti generiche la Suprema Corte ha affermato che è sufficiente che il giudice indichi ragioni plausibili a sostegno del rigetto della richiesta senza che ciò comporti puntuale contestazione o invalidazione degli elementi su cui la richiesta di fonda.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 28 gennaio - 8 aprile 2016, n. 14260 Presidente Rosi Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 25 giugno 2014, la Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova, con la quale S.E.D.P. era stato condannato in relazione ai reati di cui agli artt. 56, 609 bis cod.pen., commesso in Genova il 21/07/2012 ai danni di M.E. capo 1 , artt. 610, 660 cod.pen., commessi in omissis ai danni di R.C. capo 2 , art. 660 cod.pen. commesso il omissis ai danni di L.L. capo 3 , art. 660 cod.pen. commesso il omissis ai danni di C.J. capo 4 e artt. 660 cod.pen. A.F. commesso il omissis capo 5 . In particolare, il giudice di secondo grado ha confermato la solidità del compendio probatorio posto a base della sentenza di primo grado, costituito, in primis, dalle dichiarazioni delle persone offese M.E. con riguardo al reato di tentata violenza sessuale capo 1 R.C. con riguardo al reato di violenza privata e molestie capo 2 come diversamente qualificato l’originaria imputazione L.L. e C.J. in relazione ai reati di molestie e V.E. con riferimento al capo 5 . La Corte d’appello, dopo aver concordato sulla ricostruzione dei fatti per come effettuata dal giudice di primo grado ed averla fatta propria, ha riportato sommariamente, nella parte motiva della sentenza, la ricostruzione fattuale, per poi passare direttamente a rispondere alle singole censure difensive in relazione ad ogni singolo episodio delittuoso. Segnatamente, in risposta a queste, ha confermato, richiamando le dichiarazioni di M.E. sul comportamento tenuto dal ricorrente, l’univocità degli atti si da configurare il tentativo di violenza sessuale e non il diverso reato di atti contrari alla pubblica decenza evidenziando come la pronuncia della frase ti prendo unita al comportamento tenuto escludeva la più lieve ipotesi di reato ha dato rilievo alla circostanza che R.C. era stata avvicinata dal ricorrente con pesanti apprezzamenti sessuali e poi era stata strattonata, tant’è che aveva riportato lesioni personali ha richiamato, infine, gli elementi probatori risultanti dalla sentenza di primo grado a smentita delle censure sull’identificazione del ricorrente per il reato di molestie, commesso ai danni di L.L. e C.J. , ed ha confermato la qualificazione giuridica dello stesso che non richiede necessariamente la ripetitività delle condotte. Con riguardo al reato di cui al capo 5 ha riferito il giudice d’appello che analogo episodio veniva descritto da V.E. . La corte territoriale ha, poi, disatteso le censure sul mancato riconoscimento del vizio totale di mente, ha richiamato le conclusioni del giudice di primo grado, fondate sulle risultanze della perizia psichiatrica ed ha dato atto che a documentazione prodotta in udienza nel giudizio di appello non mutava le conclusioni. Infine ha confermato il trattamento sanzionatorio, ivi compreso il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in ragione del precedente penale, e l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in casa di cura e custodia per la durata di anni uno. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’Avv. Alfredo Pesce, difensore di fiducia di S.E.D.P. , e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione di cui all’art. 601 comma 1, lett. e cod.proc.pen. per carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del tentativo di violenza sessuale capo 1 , commessa ai danni di M.E. per non aver la corte risposto alla doglianza prospettata nei motivi di appello in ordine all’univocità degli atti 2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge penale e il vizio di motivazione di cui all’art. 601 comma 1, lett. b ed e cod.proc.pen. per carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei reati di molestie e violenza privata commessi ai danni di R.C. capo 2 non essendo stata posta in essere alcuna coartazione nei confronti della vittima sicché sarebbe insussistente il reato di violenza privata 2.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione di cui all’art. 601 comma 1, lett.e cod.proc.pen. per carenza di motivazione in ordine al capo 5 laddove la sentenza fa riferimento a V.E. mentre la persona offesa è A.F. 2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge penale di cui all’art. 601 comma 1, lett. b cod.proc.pen. in ordine alla configurazione del reato di molestie negli episodi di cui ai capi 3 e 4 2.5. Con il quinto motivo deduce il vizio di motivazione di cui all’art. 601 comma 1, lett.e cod.proc.pen. per carenza di motivazione sulla tipologia della misura di sicurezza disposta dal primo giudice e sulla richiesta di sostituzione della misura di sicurezza della casa di cura di custodia con la libertà vigilata 2.6. Con il sesto motivo deduce il vizio di motivazione di cui all’art. 601 comma 1, lett.e cod.proc.pen. in relazione alla carenza di motivazione sul diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. Considerato in diritto 4. Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti. 5. Preliminarmente osserva il Collegio che, come più volte affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione cfr da ultimo Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, Mairajane, Rv. 261839, Sez. 6, n. 48428 del 08/10/2014, Barone, Rv. 261248 quando le sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni c.d. doppia conforme , la struttura della motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, cosicché è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello con la precisazione che l’integrazione della motivazioni tra le due conformi sentenze è possibile solo se nella sentenza d’appello sia riscontrabile un nucleo essenziale di argomentazione, da cui possa desumersi che il giudice del secondo grado ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo giudice ed ha disatteso puntualmente le censure mosse nei motivi di appello. La motivazione per relationem è dunque legittima quando 1 faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione 2 fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione 3 l’atto di riferimento venga allegato, trascritto, riprodotto nel suo contenuto o sia comunque conoscibile all’interessato e contenga un supporto argomentativo da cui risulti il controllo del giudice dell’impugnazione Sez. 6, n. 48428 del 08/10/2014, Barone, Rv. 261248 . Peraltro, va rilevato che l’ambito e la misura della necessaria autonoma motivazione del giudice d’appello è altresì correlata alla qualità e consistenza dei motivi di appello, per cui laddove questi ultimi si limitano ad censure generiche, inconsistenti, pretestuose della sentenza di primo grado, su cui il primo giudice ha adeguatamente argomentato, è consentito il richiamo alla prima sentenza, diversamente quando i motivi propongono critiche puntuali e specifiche alla sentenza di primo grado, il giudice d’appello ha il dovere di adeguata e autonoma valutazione, sussistendo il vizio di motivazione sindacabile ex art. 606 comma 1, lett. e cod.proc.pen. nel caso di mero richiamo alla prima sentenza senza che il giudice si sia fatto carico della motivazione sull’inconsistenza delle censure mosse. Così ricostruito l’ambito cognitivo e del sindacato del vizio di motivazione ex art. 606 comma 1 lett. e cod.proc.pen. da parte del giudice di legittimità, ribadita la legittimità della motivazione per relationem , nei termini sopra indicati, occorre procedere alla verifica del rispetto dei principi sopra affermati nel caso concreto. 6. Il Collegio premette che procede, dapprima, all’esame dei motivi sulla responsabilità penale del ricorrente in relazione ai reati di tentata violenza sessuale, violenza privata e molestia e, poi, alla valutazione dei motivi in ordine all’applicazione della misura di sicurezza perché diverse sono le conclusioni. Ciò posto, quanto ai motivi n.ri 1,2, e 4, dalla lettura della sentenza impugnata emerge in maniera chiara come la corte territoriale, anche laddove ha fatto proprie le motivazioni del giudice di primo grado, ha proceduto alla autonoma verifica della coerenza logica di tutto il percorso argomentativo ed ha puntualmente risposto alle censure devolute in appello. Infatti, il giudice di appello, con una tecnica di redazione della sentenza per nulla censurabile, ha riportato la ricostruzione dei fatti riferita a ciascuno dei reati ed ha, di seguito, risposto alle singole censure svolte in relazione a ciascun capo di imputazione esponendo le ragioni per cui ha disatteso le stesse. Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che, diversamente da quanto sostenuto nei motivi di ricorso, ad ogni singola censura la Corte d’appello ha puntualmente risposto a pag. 5 i giudici hanno disatteso il motivo n. 1 escludendo il comportamento - ritenuto dalla difesa - meramente esibizionista nel comportamento del ricorrente e confermando la configurazione di tentata violenza sessuale a pag. 6 hanno disatteso il motivo numero richiamando la condotta di costrizione che aveva anche cagionato lesioni personali a R.C. a pag. 7 il motivo n. 4 sulla configurazione della condotta di cui all’art. 660 cod.pen. vedi supra paragrafo n. 1 del ritenuto in fatto . Va, poi, rilevato che le doglianze riproponevano questioni inerenti alla ricostruzione fattuale e alla qualificazione giuridica già proposte nei motivi di appello, sicché il richiamo alla sentenza di primo grado e le risposte alle censure svolte sono congrue e pienamente sufficienti e il risultante complesso motivazionale è immune dal vizio di illogicità e/o contraddittorietà sindacabile nel giudizio di legittimità. Dunque non sono fondati il primo, secondo e quarto dei motivi di ricorso. 7. Il terzo motivo di ricorso è fondato con riferimento al profilo della carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione al capo 5 . Ed infatti nella sentenza impugnata pag. 7 i giudici fondano l’affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all’art. 660 cod.pen. sulla base delle dichiarazioni di V.E. , genericamente indicate, senza specificazione del loro contenuto così da non poterlo verificare in relazione al capo di imputazione che indica quale persona offesa A.F. e non V.E. . 8. Il quinto motivo di ricorso in relazione alla carenza di motivazione sulla tipologia della misura di sicurezza disposta dal primo giudice e omessa pronuncia sulla richiesta di sostituzione della misura di sicurezza della casa di cura di custodia con la libertà vigilata è fondato. 9. Il giudice di primo grado prima e la Corte d’appello poi hanno applicato, in conseguenza del riconosciuto vizio parziale di mente e della affermata pericolosità sociale del ricorrente, la misura di sicurezza, di cui all’art. 219 cod.pen., del ricovero in una casa di cura per la durata di anni uno. La difesa del ricorrente aveva, nei motivi di appello, avanzato richiesta di sostituzione della misura con la libertà vigilata e la riduzione della durata pag. 4 della sentenza . La Corte d’appello non ha risposto con motivazione adeguata sul punto limitandosi a confermare il giudizio di pericolosità sociale fondato, anche, sulla documentazione prodotta in udienza dalla difesa dell’imputato nella quale si dava atto dell’ attuale buon compenso psichico dello S. legato all’adesione al programma terapeutico, ed ha conseguentemente confermato la quantificazione della misura di sicurezza . La Corte d’appello ha, in modo contradditorio, confermato la durata della misura di sicurezza del ricovero in casa di cura e di custodia, come determinata dal primo giudice, pur dando atto della situazione descritta dalla documentazione prodotta, da cui emergeva una situazione psichiatrica di buon compenso e adesione al programma terapeutico che è il contraddizione con la conferma della durata. Ma soprattutto, la Corte d’appello non ha dato alcuna risposta alla richiesta di applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata in luogo del ricovero in casa di cura e custodia e, più in generale, non ha fatto corretta applicazione della legge alla luce dei pronunciamenti della Corte Costituzionale. 10. Sotto il profilo della scelta delle misure di sicurezza, rileva il Collegio, che, per effetto di ripetute pronunce della Corte Costituzionale, da ultimo la sentenza n. 208 del 9/7/2009 e dalle ordinanze nn. 226, 341 e 287 del 2008, è principio ormai consolidato quello dell’esclusione di ogni automatismo nell’applicazione delle misure di sicurezza a carattere detentivo, quando una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata, accompagnata da prescrizioni stabilite dal giudice medesimo, si riveli capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata . Tale principio, già affermato con la sentenza n. 253 del 2003 della Corte Costituzionale in relazione alla misura di sicurezza del ricovero nell’ospedale psichiatrico giudiziario, di cui all’art. 222 cod.pen., è stato espressamente richiamato dal Giudice delle legge, con la sentenza n. 208 del 2009, con riferimento all’applicazione del ricovero in caso di cura e di custodia di cui all’art. 219 cod.pen Al riguardo, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 253 del 2003, che ha dichiarato l’illegittimità costituzione dell’art. 222 cod.pen., nella parte in cui non consente al giudice, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente ed a far fronte alla sua pericolosità sociale, aveva, in motivazione censurato il vincolo rigido imposto al giudice di disporre comunque la misura detentiva tale è il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario ex art. 215, primo comma, n. 3, cod. pen. anche quando una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata, che è accompagnata da prescrizioni imposte dal giudice di contenuto non tipizzato e quindi anche con valenza terapeutica , idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati art. 228, secondo comma, cod. pen. , appaia capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale . L’automatismo nell’applicazione di una misura di sicurezza segregante e totale imposto pur quando in concreto la stessa misura di sicurezza appaia inadeguata, viola esigenze essenziali di protezione dei diritti della persona, nella specie del diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione , ed ha concluso affermando la necessità di eliminare l’accennato automatismo, consentendo che, pur nell’ambito dell’attuale sistema, il giudice possa adottare, fra le misure che l’ordinamento prevede, quella che in concreto appaia idonea a soddisfare le esigenze di cura e tutela della persona, da un lato, di controllo e contenimento della sua pericolosità sociale dall’altro lato . Il principio enunciato di divieto di automatismo che caratterizzava l’applicazione della misura di sicurezza ex art. 222 cod.pen., è stato ribadito nella sentenza n. 367 del 2004 della Corte, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 206 cod. pen., nella parte in cui non consente al giudice di disporre, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una misura di sicurezza non detentiva, prevista dalla legge, idonea ad assicurare alla persona inferma di mente cure adeguate ed a contenere la sua pericolosità sociale e, per quanto qui di interesse, con la sentenza n. 208 del 2009 nella quale i Giudici delle leggi hanno esteso il principio del divieto di automatismo anche con riferimento alla misura di sicurezza del ricovero in casa di cura e di custodia che è, a sua volta, misura di sicurezza detentiva e quindi segregante art. 215, comma secondo, n. 2, cod. pen. , evidenziando, anche in questo caso, la violazione del principio di ragionevolezza e del diritto alla salute come svolte, in particolare, nella sentenza n. 253 del 2003, in assenza di differenze significative tra le due misure di sicurezza detentive, e richiamando il rilievo della dottrina della sostanziale identità concettuale tra vizio totale e vizio parziale di mente, il cui unico elemento differenziatore consiste nella diversa incidenza quantitativa esercitata sulla capacità d’intendere e di volere, esclusa nel caso di cui all’art. 88 cod.pen. e soltanto diminuita nel caso di cui all’art. 89 cod.pen 11. La Corte d’appello ha confermato l’automatismo dell’applicazione della misura del ricovero in casa di cura e di custodia, ha omesso di rispondere alla precisa richiesta di applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, senza tener conto dei recenti interventi in materia della Corte Costituzionale. 12. La sentenza impugnata deve essere annullata sul punto e il giudice del rinvio, nell’emettere un nuovo giudizio, dovrà tener conto del principio di diritto secondo cui la misura di sicurezza della libertà vigilata può essere applicata, in luogo della misura dell’assegnazione ad una casa di cura e di custodia, anche nei confronti del condannato affetto da vizio parziale di mente, se in concreto detta misura sia capace di soddisfare le esigenze di cura e tutela della persona e di controllo della sua pericolosità sociale e, pertanto dovrà verificare se la misura di sicurezza della libertà vigilata sia in concreto idonea a soddisfare le esigenze di cura e tutela di S.E.D.P. , da un lato, di controllo e contenimento della sua pericolosità sociale, dall’altro lato. 13. Infine, infondato è il sesto motivo avendo la Corte d’appello motivato il diniego con riferimento, ai sensi dell’art. 133 cod.pen., ai precedenti penali di S.E.D.P. . L’esclusione risulta adeguatamente motivata tenuto conto che è sufficiente che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda così, ex plurimis, Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610 , onere adempiuto dalla corte territoriale. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 5 ed alla tipologia della misura di sicurezza con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova. Rigetta nel resto.