Già condannato per appropriazione indebita, rischia la bancarotta per distrazione?

La bancarotta fraudolenta per distrazione in ambito societario è figura di reato complessa, che comprende tra i propri elementi costitutivi una condotta di appropriazione indebita del bene distratto, per se stessa punibile ai sensi dell’art. 646 c.p Ne consegue che, per il caso di identità del bene appropriato e distratto, l’agente non risponde di entrambi i reati, ma solo di quello complesso, come stabilito dall’art. 84, comma primo, c.p

Questo l’importante principio statuito dalla Quinta Sezione della Cassazione Penale, con la pronuncia n. 13399/16 depositata il 04 aprile, con cui si è ulteriormente chiarito che, qualora il delitto di appropriazione indebita sia stato oggetto di precedente sentenza di condanna, prima della dichiarazione di fallimento, non è preclusa nel successivo procedimento per bancarotta la contestazione del reato fallimentare, ma in tal caso il giudice deve, in sede di eventuale condanna per tale ultimo reato, considerare assorbito quello sanzionato ai sensi dell’art. 646 c.p., secondo un principio di equità che trova espressione anche nello scioglimento del giudicato sulle pene in caso di riconoscimento della continuazione in fase esecutiva. Il motivo del contendere. La principale questione sottesa alla vicenda in esame riguarda la possibilità che una medesima condotta su un identico bene, che sia già stata ritenuta integrante, con sentenza passata in giudicato, il delitto di appropriazione indebita, possa costituire elemento oggettivo di una nuova imputazione di bancarotta fraudolenta a carico dello stesso soggetto agente. Ritiene infatti il ricorrente che la contestazione a suo carico del medesimo fatto, seppur con diversa qualificazione giuridica in virtù dell’intervenuto fallimento della società, sia preclusa dal principio del ne bis in idem sostanziale. Meriterebbe quindi censura ed annullamento, a parere del ricorrente, la sentenza di merito, secondo la quale l’agente ben può rispondere di entrambi i reati e, dunque, l’intervenuta condanna per appropriazione indebita non è ostativa a quella successiva per bancarotta fraudolenta per distrazione sul medesimo bene. La questione giuridica sottostante. Nella sentenza in commento, la Cassazione si occupa dei rapporti tra il reato di appropriazione indebita, di cui all'art. 646 c.p., e quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui agli artt. 223-216 l.f Più nel dettaglio, gli Ermellini sono chiamati a verificare se l'apprensione di beni aziendali da parte del soggetto incriminato – nonostante il passaggio in giudicato della sentenza di condanna a suo carico per appropriazione indebita – possa rilevare nuovamente al fine di una nuova incriminazione a titolo di bancarotta fraudolenta, se nel frattempo è intervenuto il fallimento dell'impresa. Deve dunque procedersi alla ricostruzione del rapporto tra i reati in parola quale situazione di concorso formale, ovvero di concorso apparente di norme e dunque alla verifica della sussistenza tra i medesimi di un eventuale rapporto di specialità e di qual natura reciproca o meno . La soluzione fornita dalla Corte. Osserva la Cassazione che la soluzione del caso in esame deve essere individuata ricorrendo alla figura del reato complesso, normativamente prevista nella parte generale del codice penale all’art. 84 c.p Il reato complesso consiste, come noto, nel considerare come reato unico più fatti che, singolarmente, integrerebbero altrettanti reati. Orbene, osservano gli Ermellini, la bancarotta fraudolenta per distrazione in ambito societario è figura di reato complessa, che comprende tra i propri elementi costitutivi una condotta di appropriazione indebita del bene distratto, per se stessa già punibile ai sensi dell’art. 646 c.p Nel caso come quello in esame di identità del bene appropriato e distratto, l’agente non deve, dunque, rispondere di entrambi i reati, ma solo di quello complesso, come stabilito dall’art. 84, comma primo, c.p Alla luce di tale assunto, l’intervenuta condanna, seppur passata in giudicato, per appropriazione indebita non preclude, in virtù del principio del ne bis in idem , la contestazione, una volta intervenuto il fallimento della società, del reato complesso di bancarotta fraudolenta per distrazione, che assorbe e ricomprende, quale figura maggiore, quello di appropriazione indebita. Il rimedio è solo nella fase esecutiva. Come si è visto, la Corte ricostruisce la situazione attraverso lo schema del reato complesso, in modo da evitare l'applicazione del principio del ne bis in idem , posto quanto stabilito dall'art. 649 c.p.p., il quale impone il divieto che per uno stesso fatto si svolgano più procedimenti e si emettano più provvedimenti. Se, dunque, la condanna definitiva per il reato meno grave di appropriazione indebita non rende improcedibile la contestazione del reato complesso e più grave di bancarotta fraudolenta per distrazione, resta da risolvere il problema di come computare nella eventuale condanna per il delitto di bancarotta quella già intervenuta per appropriazione indebita. La soluzione viene individuata, ma rimessa dagli Ermellini al giudice della esecuzione sarà infatti in quella sede che il ricorrente, una volta divenute definitive entrambe le condanne, con incidente di esecuzione potrà richiedere l’eliminazione della frazione di pena relativa alla appropriazione indebita avente lo stesso oggetto della distrazione. Una giurisprudenza che va consolidandosi . Opportuno evidenziare che la soluzione fatta propria dalla pronuncia in commento pare integrare un orientamento che va sempre più consolidandosi. Anche di recente Cassazione penale, sez. V, 29/10/2014, n. 48743 , infatti, la medesima V Sezione aveva affermato che la condanna irrevocabile per il reato di appropriazione indebita di determinati beni aziendali non preclude nei confronti dell'imputato, dopo l'intervento della dichiarazione di fallimento della società, l'esercizio dell'azione penale per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione degli stessi beni, in quanto, pur trattandosi di fattispecie tra loro strutturalmente diverse, i rispettivi elementi costitutivi danno luogo ad un reato complesso ex art. 84 c.p., che determina l'assorbimento del reato di appropriazione indebita in quello di bancarotta. Un orientamento dunque che può considerarsi oggi consolidato nella giurisprudenza di legittimità alla luce dei più risalenti precedenti cfr. Sez. V, 18/11/2008, n. 4404, e Sez. V, 04/04/2003, n. 37567 . ma che non convince tutti. Sotto il profilo ontologico non sembra possibile revocarsi in dubbio che la materialità essenziale del fatto appare identica, concretizzandosi nell'appropriazione del bene, con correlata distrazione dello stesso dall'originaria destinazione, in un caso con la sottrazione della disponibilità della res al legittimo titolare, nell’altro caso con la sottrazione della medesima alla sua funzionale destinazione di garanzia a tutela dei creditori della società. Tuttavia, osserva autorevole dottrina, ciò integrerebbe un rapporto di specialità bilaterale, che escluderebbe, dunque, l'applicazione dello schema del reato complesso e del criterio dell'assorbimento. Infatti, secondo tale impostazione, ciascuna delle due fattispecie contiene elementi esclusivamente propri, ma estranei rispetto all'altro modello legale. Ad esempio, si segnala l’elemento soggettivo rappresentato dal fine specifico dell'ingiusto profitto, previsto dal legislatore per l'appropriazione indebita, ma non per la bancarotta fraudolenta patrimoniale, che viene, infatti, integrata anche dal mero dolo eventuale. La questione, dunque, appare lungi dall’essere completamente e definitivamente acclarata.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 febbraio – 4 aprile 2016, n. 13399 Presidente Rotundo – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. C.M. , CH.Ch. e T.S. rispondono, a seguito di doppia sentenza conforme di condanna, del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento della Sinet srl dichiarato dal tribunale di omissis , per avere, quali extranei, concorso con soggetti separatamente giudicati nella distrazione di risorse liquide del complessivo importo di circa 406.000 Euro, ottenute mediante accensione di due conti correnti a nome della poi fallita presso la Banca delle Marche agenzia di omissis , di cui era direttore il T. , accensione finalizzata all’anticipazione del portafoglio commerciale costituito da false fatture, il cui controvalore era stato prelevato in contanti o in forma di assegni circolari da persone incaricate dal C. e dal Ch. , il primo, titolare di una società di diritto sammarinese Trade& amp Share Consulting srl , il secondo suo collaboratore. 2. Il procedimento investe una parte della più complessa vicenda relativa all’acquisizione della Sinet da parte del gruppo affaristico facente capo a A.G. e collaboratori, finalizzata alla distrazione di risorse acquisite anche attraverso attività truffaldine e al fallimento della società, cui erano preposti amministratori teste di legno, talora sotto falsa identità. 3. C. e Ch. con ricorsi sostanzialmente sovrapponibili, a firma dello stesso difensore, articolano due motivi. 4. Con il primo deducono violazione di legge in relazione all’art. 223, commi 1 e 2, cod. proc. pen., e vizio di motivazione in punto sussistenza dell’elemento soggettivo del reato osservando che il C. aveva operato come consulente aziendale tale essendo l’attività svolta dalla società sammarinese a lui riferibile, e Ch. avrebbe fatto una sola comparsa presso Banca Marche su incarico del C. , mentre le dichiarazioni del coimputato separatamente giudicato L.B. formale amministratore di Sinet relative all’erogazione di un finanziamento da parte di Banca Marche di 400.00 Euro con l’intermediazione del C. ma non del Ch. , erano prive di riscontri, e irrilevanti quelle di G.R. in ordine all’emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte di società operanti con Banca Marche. 5. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in quanto i fatti contestati integrerebbero se mai, in presenza di prove sufficienti, il reato di truffa nella quale i due ricorrenti avrebbe concorso stante l’inesistenza riferita dalla G. delle operazioni sottostanti alle fatture da lei stessa materialmente compilate al fine di consentire la fuoriusc. a di somme dai conti presso Banca Marche. 6. Nell’ambito dello stesso motivo si censura anche il trattamento sanzionatorio sotto il profilo del richiamo ai precedenti penali, insussistenti o almeno non recenti e non gravi, e alla condotta processuale di non particolare pregio. 7. Il T. , nel ricorso personale, dopo un’ampia premessa sulla ricostruzione della vicenda processuale nei gradi precedenti, articola tre motivi. 8. Con il primo deduce violazione di legge in relazione ad una serie di norme, tra le quali gli artt. 40 cpv e 112 nn. 1 e 2 cod. pen., 657 cod. proc. pen., 219 comma 1 n. 1 e 223, comma 2, legge fall 9. La doglianza, dopo il richiamo a pronunce di questa corte relative tra l’altro alla bancarotta impropria da operazioni dolose nonché al dolo dell’ extraneus in quella per distrazione, si appunta sulla qualificazione come bancarotta fraudolenta di determinati comportamenti senza l’individuazione delle ragioni per le quali il T. avrebbe avuto la coscienza e volontà di favorire la distrazione di somme dalla società poi fallita a danno dei creditori. 10. Il secondo motivo lamenta violazione del principio del ne bis in idem essendo già intervenuta condanna del ricorrente per gli stessi fatti diversamente qualificati. 11. Il terzo motivo investe la violazione dell’art. 133 cod. pen. e il correlato vizio di motivazione sul punto del diniego delle generiche in considerazione delle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese dal T. nel procedimento per truffa ed appropriazione indebita, e della mancata valutazione dei parametri di individualizzazione della sanzione. Considerato in diritto 1. I ricorsi di C. e Ch. costituiscono mera riproposizione di doglianze puntualmente esaminate e motivatamente disattese nella sentenza impugnata, e sono comunque manifestamente infondati. 2. Il profilo della sussistenza dell’elemento psicologico del reato, investito dalle censure di violazione di legge e vizio di motivazione, risulta nuovamente ancorato dai ricorrenti al mero dato formale della qualifica di consulente aziendale del C. , per essere tale l’attività propria della società sammarinese a lui riferibile, e all’unica comparsa di Ch. presso Banca Marche su incarico del C. , trascurando che, secondo le valutazioni di merito condotte in sentenza in termini appropriati, quindi incensurabili, e comunque neppure argomentatamente criticate, essi conoscevano il ruolo fittizio del L. amministratore di Sinet il quale materialmente movimentava i conti che agiva su direttive altrui alle quali essi stessi partecipavano mettendo a disposizioni loro società per emissione di fatture per operazioni inesistenti da monetizzare. 3. È poi decisivo in punto consapevolezza e volontà degli imputati di contribuire alle distrazioni degli autori del reato proprio, il rilievo della corte territoriale, con il quale pure i ricorrenti hanno evitato di confrontarsi, circa il transito su conti della società sammarinese cui erano interessati sia C. che il suo braccio destro Ch. , e il successivo dirottamento su conti lituani, delle risorse messe a disposizione di Sinet da Banca Marche istituto di credito locale, operante lontano dalla piazza della società poi fallita attraverso lo sconto di fatture per operazioni inesistenti, unica modalità operativa di Sinet, come confermato dalle teste G. , dipendente di Trade& amp Share Consulting srl. 4. Con il che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, risultano riscontrate le dichiarazioni del coimputato separatamente giudicato L.B. e rilevanti quelle della teste G.R. . 5. Manifestamente infondato è poi l’assunto di cui al secondo motivo dei ricorsi in esame che, nel prospettare la qualificabilità dei fatti cont. ti come truffa, trascura l’orientamento di questa corte, da cui non vi sono ragioni per discostarsi, secondo il quale il delitto di bancarotta fraudolenta concorre con quello di truffa, sia perché l’obiettività giuridica delle distinte ipotesi delittuose è diversa, sia perché l’ iter criminis della seconda si esaurisce con l’acquisizione di beni mediante mezzi fraudolenti, mentre il fatto dell’imprenditore truffaldino, che sottragga successivamente alla garanzia patrimoniale le entità economiche illecitamente acquisite al suo patrimonio, costituisce un’azione distinta ed autonoma, punita a titolo di bancarotta fraudolenta, se viene dichiarato il fallimento Cass. 39610/2010, 42635/2004 . 6. Del pari visibilmente priva di spessore la doglianza relativa al trattamento sanzionatorio giustificato, tra l’altro, con il richiamo ai precedenti penali, la cui portata è solo genericamente svalutata nei ricorsi. 7. La declaratoria di inammissibilità dei ricorsi nell’interesse di C. e Ch. determina le statuizioni di cui al’art. 616 cod. proc. pen. ivi compresa, essendo la pronuncia ascrivibile a colpa, la condanna a favore della Cassa delle Ammende della somma che si ritiene adeguata di Euro 1000. 8. Il primo motivo del ricorso T. è generico laddove addebita alla sentenza di non aver individuato le ragioni per le quali l’imputato avrebbe avuto la coscienza e volontà di favorire la distrazione di somme dalla società poi fallita a danno dei creditori, a fronte della precisa indicazione da parte dei giudici di merito, non contestata, di circostanze sintomatiche della situazione soggettiva del T. , direttore dell’agenzia di Banca Marche, quali la scarsa cura della realizzazione delle formalità per l’individuazione del soggetto operante sul conto l’amministratore L. , t. di legno , l’intermediazione di un soggetto estraneo alla Sinet il C. , la lontananza della banca dalla piazza di operatività della Sinet, idonei a mettere in sospetto qualunque bancario onesto e diligente. Alle quali va aggiunto il fatto, pure evidenziato dai giudici di merito, che le somme uscivano dal conto per essere trasferite su altri conti riferibili all’intermediario. Senza contare che T. , come subito oltre si evidenzierà, è stato condannato in via definitiva per il concorso nell’appropriazione indebita delle stesse somme oggetto di distrazione. 9. Il secondo motivo è infondato laddove lamenta violazione del principio del ne bis in idem essendo già intervenuta condanna del ricorrente per gli stessi fatti diversamente qualificati. 10. Va premesso che la bancarotta fraudolenta per distrazione in ambito societario artt. 216 comma 1 e 223 comma primo del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 è figura di reato complessa, che comprende tra i propri elementi costitutivi una condotta di appropriazione indebita del bene distratto, per se stessa punibile ai sensi dell’art. 646 cod.pen 11. Ne consegue che, per il caso di identità del bene appropriato e distratto, l’agente non risponde, a differenza di quanto ritenuto dalla corte territoriale, di entrambi i reati, ma solo di quello complesso, come stabilito dall’art. 84 comma primo cod. pen Qualora il delitto di appropriazione indebita sia stato oggetto di sentenza di condanna prima della dichiarazione di fallimento, non è preclusa nel successivo procedimento per bancarotta la contestazione del reato fallimentare, ma in tal caso il giudice deve, in sede di eventuale condanna per tale ultimo reato, considerare assorbito quello sanzionato ai sensi dell’art. 646 cod. pen., secondo un principio di equità che trova espressione anche nello scioglimento del giudicato sulle pene in caso di riconoscimento della continuazione in fase esecutiva Cass. 48743/2014, 37298/2010, 4404/2009, 37567/2003 . 12. Nella specie T. risulta condannato per concorso in appropriazione indebita di beni, tra i quali rientrano le somme contestate come distratte nel presente procedimento, con sentenza del Gup Tribunale di Urbino 16-4-2009 che ha riqualificato ai sensi dell’art. 646 cod. pen. fatti già contestati come truffa, sentenza confermata in appello il 2-22012 e divenuta definitiva a seguito di pronuncia di questa corte del 7-5-2013. 13. Alla stregua della giurisprudenza sopra richiamata, la pronuncia definitiva per il reato meno grave non rende improcedibile la bancarotta fraudolenta, né dà da luogo a bis in idem, determinando invece l’assorbimento in questa reato complesso ex art. 84 cod. pen. dell’appropriazione indebita relativa agli stessi beni. 14. Assorbimento che il T. potrà far valere in sede esecutiva con conseguente richiesta di eliminazione della frazione di pena relativa all’appropriazione indebita avente lo stesso oggetto della distrazione. 15. Il terzo motivo è manifestamente infondato laddove investe il diniego di attenuanti generiche, per contro già concesse in regime di equivalenza, del tutto aspecifico laddove lamenta la mancata valutazione dei parametri di individualizzazione della sanzione. 16. Il rigetto del ricorso del T. determina il carico delle spese del procedimento. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi di C.M. e Ch.Ch. che condanna singolarmente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta il ricorso di T.S. che condanna al pagamento delle spese processuali.