Chiacchiere e santini per approcciare le vittime: condannata la finta suora

Ripetuto costantemente lo stesso schema argomenti religiosi per conquistare la fiducia di persone anziane. Così la donna è riuscita ad entrare nelle case delle vittime e a portare via denaro e oggetti preziosi. Evidente l’impiego di un mezzo fraudolento per mettere a segno i colpi.

Siciliana d’origine, base logistica a Roma, operatività in tutt’Italia. Diversi i colpi messi a segno dalla finta suora, sempre sfruttando la fede religiosa delle vittime, tutte donne anziane. Logico catalogare i furti compiuti come aggravati dall’utilizzo di un mezzo fraudolento”. Indiscutibile la condanna a ben 3 anni e 7 mesi di reclusione Cassazione, sentenza n. 12963, Sezione Quarta Penale, depositata il 31 marzo 2016 . Schema. Ben quattro gli episodi contestati alla donna, tutti compiuti in Toscana, suo nuovo territorio di caccia. Elemento comune il canovaccio utilizzato – come già nel Lazio – per avvicinare le vittime argomenti religiosi per prender confidenza con le anziane e carpirne la fiducia, tanto da riuscire ad accompagnarle a casa, entrare con loro nell’abitazione e portar poi via denaro e oggetti preziosi. E ogni volta la donna si è presentata come suora , puntando su questo elemento per rassicurare le sue potenziali vittime. Tutto ciò ha spinto i giudici di merito a ritenere evidente la colpevolezza della finta suora. E tale valutazione è condivisa anche dai Magistrati della Cassazione, alla luce della constatazione che ella ha riproposto sempre lo stesso schema , ossia scelta delle vittime tra persone anziane e utilizzo di argomenti e oggetti a sfondo religioso , come i ‘santini’, per riuscire a conquistarne la fiducia . Inequivocabile, e seriale, il modo di operare della donna. Assolutamente logico, quindi, parlare di furti aggravati . E corretta la condanna, confermata in maniera definitiva, a 3 anni e 7 mesi di reclusione e 500 euro di multa .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 27 gennaio – 31 marzo 2016, n. 12963 Presidente D’Isa – Relatore Cappello Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza dei Tribunale di Firenze, appellata dall'imputata R.S. G., già condannata per sei episodi di furto aggravato, ha assolto la stessa dai capi a ed e della rubrica per non aver commesso il fatto, rideterminando la pena in anni 3 mesi 7 di reclusione ed euro 550,00 di multa per i restanti 4 episodi. 2. L'imputata ha proposto ricorso per cassazione personalmente, deducendo violazione di legge e vizio motivazionale, in relazione alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni delle pp.oo. e vizio motivazionale in ordine al trattamento sanzionatorio. Considerato in diritto 1. II ricorso va rigettato per infondatezza dei relativi motivi. 2. La Corte territoriale ha ritenuto provate le condotte sulla scorta delle dichiarazioni delle pp.oo. e del riconoscimento fotografico dalle stesse effettuato. Inoltre, quel giudice ha valorizzato le modalità di perpetrazione dei delitti, tutti posti in essere avvalendosi l'agente di argomenti di natura religiosa per abbordare le sue vittime, secondo uno schema abituale, nonché la circostanza che, all'atto dei suo arresto, la stessa era stata trovata in possesso, oltre che della refurtiva sottratta ad O.M. [p.o. del reato sub f della rubrica, posto in essere sempre sfruttando argomenti di tipo religioso, fatto ammesso dalla R. con restituzione del maltolto, a seguito del suo arresto in flagranza , anche di numerosi opuscoli religiosi e figurine rappresentanti immagini sacre. Quanto al capo b - un furto in abitazione consumato ai danni della p.o. B. - costei aveva raccontato di essere stata fermata per strada da una donna che le aveva detto di essere una suora e che l'aveva intrattenuta con argomenti di tipo religioso, seguendola fin dentro casa. Qui la donna aveva iniziato ad aprire cassetti e così la denunciante le disse di andare via. La donna si era allontanata, ma la B. si accorgeva della sparizione di alcune gioie. In sede di denuncia, la p.o. aveva fornito una descrizione della donna circa 45-50 anni di età, capelli brizzolati, robusta . Successivamente convocata, la B. aveva poi riconosciuto, nell'album fotografico, la R. come la donna che l'aveva derubata, affermando di averne visto la foto sul quotidiano La Nazione dei 10/06/2013. Quanto al capo c - un furto in abitazione ai danni di A.C.G. - l'imputata aveva abbordato la p.o. all'interno dell'edificio dove si trovava la sua abitazione, spacciandosi per una nuova inquilina del medesimo palazzo. La donna era riuscita con una scusa ad entrare in casa della A., allontanandosene dopo circa un quarto d'ora, ma la p.o. - allorché l'imputata si era allontanata - aveva visto un'ombra dileguarsi e constatato subito dopo l'asportazione di tutti i gioielli custoditi nella camera da letto. Dal che la A. aveva dedotto che l'imputata aveva effettivamente lasciato la casa, consentendo però ad un complice di farvi immediato rientro. Anche la A. aveva operato un riconoscimento fotografico, dopo aver dichiarato alla P.G. di avere visto la foto della R. sul quotidiano La Nazione del 10/06/2013. Infine, la Corte ha ritenuto provato anche il furto perpetrato ai danni delle pp.oo. B. e B. G., consumato sempre attraverso la tecnica dell'abbordaggio delle vittime con argomenti di tipo religioso. Anche in questo caso, la donna era stata identificata a mezzo di riconoscimento fotografico e una delle pp.oo., B. G., aveva affermato di avere visto la sua foto sul quotidiano La Nazione . La R. era stata ammessa in casa delle vittime e aveva agito in modo che costoro non si avvedessero dell'azione delittuosa contemporaneamente posta in essere da un complice. B. G., inoltre, aveva descritto la ladra come una donna di circa 45 anni, di corporatura robusta. Quanto all'aggravante della minorata difesa, essa è stata ricollegata alla qualità delle vittime, tutte persone anziane, la cui fiducia era stata carpita attraverso gli oggetti religiosi mostrati. 3. Con il ricorso, l'imputata ha contestato la ritenuta attendibilità delle pp.oo., essendo state costoro suggestionate dalla visione della foto della R. pubblicata sul quotidiano La Nazione , prima di effettuarne la individuazione fotografica, trattandosi di soggetti che lo stesso giudice aveva definito facilmente suggestionabili. La ricorrente, inoltre, ha ridimensionato il valore accordato dal giudice all'elemento della similitudine tra i reati, assumendone l'inidoneità a rafforzare una motivazione carente. Ha poi censurato la dosimetria della pena, con riferimento alle circostanze attenuanti generiche e all'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. [avuto riguardo al capo f dell'imputazione, reato confessato dall'imputata all'udienza di convalida del suo arresto, con risarcimento del danno morale alla p.o. e restituzione della refurtiva]. 4. Le censure sono tutte infondate. Le stesse propongono una rilettura del materiale probatorio, di spessore peraltro schiacciante, rispetto a quella analitica, logica e coerente che ne ha dato il giudice del merito, rilettura intesa a svalorizzare la rilevanza del modus operandi e del riconoscimento effettuato dalle pp.oo. Del tutto correttamente, invece, la Corte territoriale ha ritenuto fondamentale lo schema, pressoché rituale, seguito dalla R. nel consumare i delitti, rappresentato dalla scelta delle vittime e dall'utilizzo degli stessi argomenti a sfondo religioso. Peraltro, l'arresto in flagranza per il reato sub f costituisce la chiave di lettura inconfutabile di tale canovaccio e giustamente la Corte d'appello ne ha sottolineato la rilevanza al pari del ritrovamento, nell'occorso, di materiale di tipo religioso. La motivazione si sottrae anche alle ulteriori censure, segnatamente concernenti la ritenuta attendibilità delle pp.oo., rispetto alla quale è stata ritenuta del tutto irrilevante la circostanza che le vittime avessero riconosciuto la R. sul quotidiano La Nazione , alla luce della costante conferma delle dichiarazioni da costoro rese sin dall'inizio. Quanto, infine, alla dosimetria della pena, la Corte di merito ha ampiamente motivato in ordine al diniego delle generiche, avuto riguardo ai precedenti penali dell'imputata, relativi a delitti contro il patrimonio commessi in varie parti d'Italia, quanto alla attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., avendo inoltre dato atto della irritualità della richiesta, solo tardivamente formulata, e in ogni caso della inadeguatezza della somma offerta rispetto ai danni, anche non patrimoniali, risarcibili. 5. Al rigetto del ricorso segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.