Contraddittorietà dati storici offerti dal denunciante: prova dell’elemento psicologico della calunnia

L’elemento psicologico del reato di calunnia è costituito dalla consapevole innocenza dell’accusato in capo al denunciante. La contraddittorietà del fatto storico narrato, univocamente corroborata da ulteriori dati istruttori, è idonea a dimostrare la sussistenza del profilo soggettivo della condotta calunniosa.

Così ha deciso la Sesta Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza 13034/2016, depositata il 31 marzo scorso, in materia di reati contro l’amministrazione della giustizia e, più specificamente, di calunnia. Il caso di specie. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 7 marzo 2014, conformava il giudizio di condanna formulato in primo grado nei confronti di un soggetto accusato dei reati di cui gli artt. 368 e 369 c.p., unificati dal vincolo della continuazione, rideterminando solo il trattamento sanzionatorio. Nel concreto, l’imputato rispondeva di calunnia ed autocalunnia per le accuse mosse in danno di un maresciallo dei Carabinieri, asserendo di aver versato a questi in tre distinte occasioni la somma complessiva di euro 30.000,00, per garantirgli l’omissione dei controlli durante il periodo di assenza dalla sua abitazione in pendenza di provvedimenti restrittivi della libertà emessi a suo carico. L’imputato, a mezzo dei propri difensori, propone ricorso per Cassazione avverso il provvedimento del Collegio territoriale, lamentando, in primo luogo, l’erronea applicazione delle norme incriminatrici, le quali presuppongono la consapevolezza nell’agente di incolpare falsamente un innocente, non rinvenibile nel caso di specie in ragione dell’assoluzione dell’operatore di polizia giudiziaria per l’insuperabilità dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Ulteriore motivo di doglianza è la carenza di motivazione con riguardo all’entità del danno riconosciuto alla parte civile e liquidato in via equitativa, di cui si era contestato nel gravame di merito la determinazione. Il ricorso merita accoglimento limitatamente al motivo relativo alle statuizioni civili. Invero, gli Ermellini della Sesta Sezione, ritengono pacifico il raggiungimento della prova circa la sussistenza degli elementi specializzanti le fattispecie delittuose contestate all’imputato. Più segnatamente, viene valutato come logico e lineare il percorso argomentativo delineato dalla Corte d’Appello di Firenze in relazione all’individuato profilo soggettivo del delitto contestato al ricorrente, cioè quello di cui all’art. 368 c.p. La tesi difensiva, volta ad escludere siffatto aspetto, non può essere ritenuta condivisibile laddove richiama l’erronea applicazione della legge penale in virtù della indimostrata coscienza e consapevolezza della falsità delle accuse mosse dal prevenuto nei confronti del suo bersaglio. I fatti calunniosi narrati dall’imputato, da cui ha tratto origine il processo a carico del maresciallo dei Carabinieri, sono stati artefatti in modo consapevole nella loro effettiva realizzazione. Di ciò ne è prova la contraddittoria ricostruzione della vicenda fornita dal denunciante, corroborata da altri elementi emersi dalla piattaforma probatoria. Tuttavia, meritando accoglimento la doglianza circa l’assenza di qualunque riferimento alla liquidazione del danno via equitativa, oggetto precipuo di uno dei motivi di appello, la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili e rinvia per un nuovo giudizio sul punto al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 – 31 marzo 2016, n. 13034 Presidente Paoloni – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 07/03/2014, ha confermato la pronuncia di condanna di A. C. An., emessa dal Tribunale di Lucca con provvedimento del 29/05/2012, in ordine alle imputazioni di cui agli artt. 368 e 369 cod. pen., unificate ex art. 81 cod. pen. ed ha rideterminato la sanzione. L'imputazione di calunnia riguarda le accuse mosse da A. in danno del maresciallo dei carabinieri, Cl., di aver da lui ricevuto in tre distinte occasioni la somma complessiva di € 30.000 per garantirgli l'omissione di controlli durante il periodo di sua assenza dall'abitazione, nel corso dell'applicazione di provvedimenti restrittivi a suo carico, a seguito di misure di prevenzione o di natura cautelare, e l'ulteriore accusa si riferisce alla conseguente imputazione di autocalunnia. 2. Nell'interesse di A. ha proposto ricorso l'avv. C. M 2.1 Con un primo motivo si eccepisce erronea applicazione delle norme incriminatrici, che presuppongono consapevolezza nell'agente dell'innocenza dell'incolpato, e nel caso di specie non può ritenersi pienamente raggiunta, essendo seguita l'assoluzione dell'accusato, in ragione dell'insuperabilità del ragionevole dubbio. Richiamata la circostanza che per giungere all'accertamento di responsabilità, bisogna aver acquisito che l'agente avesse certezza dell'innocenza dell'incolpato, si richiamano le circostanze di fatto generatrici del processo, assumendo l'impossibilità di accedere a tale verifica. In particolare, si segnala la mancanza di un movente alle accuse false, in un arco temporale in cui l'interessato era in detenzione domiciliare ed operando la denuncia si autoaccusava del reato di corruzione del pubblico ufficiale per atto contrario ai doveri di ufficio, condotta che poteva giustificarsi solo con la convinzione di essere nel giusto, confermata dalla ricchezza di elementi di fatto forniti a sostegno delle proprie ricostruzioni. Si segnala inoltre l'inidoneità della valutazione di incapacità dell'odierna parte offesa di incidere sulla situazione di libertà dell'interessato, per ragioni di competenza territoriale, e conseguentemente l'inutilità di garantire a questa il pagamento per un'azione che non poteva assicurare, circostanza la cui cognizione non rientrava con certezza nell'ambito delle conoscenze accessibili al ricorrente, che aveva sin da subito dato conto di fare affidamento sui contatti che il denunciato aveva con i suoi colleghi. La ragionevole convinzione della bontà dell'accordo poteva essersi radicata nell'interessato, per effetto della mancanza di controlli durante il suo allontanamento dal luogo ove era tenuto a permanere in forza di provvedimenti giudiziali, per recarsi all'estero, carenza realizzatasi le tre volte in cui si era verificato tale allontanamento. Si contesta la valutazione operata in sentenza della rilevanza dell'effettuazione dei controlli presso l'abitazione del denunciante nel periodo nel quale egli si era allontanato dall'Italia, poiché quel che rileva, non essendogli pervenuto alcun provvedimento che lo mettesse in condizione di conoscere dell'esecuzione di verifiche, e che questi poteva ragionevolmente ritenere l'efficacia dell'accordo illecito che si assume raggiunto con il pubblico ufficiale. Si segnalano inoltre le prove acquisite nel procedimento che hanno confermato il possesso da parte del ricorrente, dalla data in cui sono stati indicati i fatti, di ingenti somme di denaro il suo effettivo allontanamento per Praga nel periodo di esecuzione dei provvedimenti restrittivi la circostanza che, ad alcune iniziali perplessità, era poi seguita la rassicurazione che poteva svolgere il viaggio programmato le poco chiare ritrattazioni del teste che, nel corso delle indagini aveva affermato di aver sentito di dazioni di denaro in favore di un maresciallo la richiesta di proroga delle indagini formulata dal P.m. di Pistoia, in relazione alle accuse mosse nei confronti del pubblico ufficiale, nella quale si dava conto dell'insussistenza di elementi di radicale smentita di quanto denunciato. 2.2. Con ulteriore motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al riconoscimento della recidiva contestata, stante la mancanza di connessione tra i reati in esame, e quelli per i quali l'interessato ha riportato condanna, ed in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, per effetto delle condizioni personali dell'interessato nel periodo in cui avrebbe consumato il reato contestato. 2.3. Si denuncia inoltre carente argomentazione con riguardo all'entità del danno riconosciuto alla parte civile e liquidato in via equitativa, di cui si era stata contestata nel gravame di merito la determinazione. Anche l'avv. E. Au. ha depositato ricorso nell'interesse di A. 3.1. Con un primo motivo si deduce contraddittorietà e carenza di motivazione con riferimento all'applicazione dell'art. 99 comma 4 cod. pen In proposito nel ricorso, dopo aver riportato testualmente le argomentazioni volte ad escludere la correlazione dei fatti contestati con la dimostrazione di una maggiore pericolosità dell'imputato, presupposto della ritenuta recidiva, si lamenta la mancata analisi e confutazione dei motivi posti a sostegno di tale prospettazione a cura della difesa, mentre contraddittoriamente, nel determinare la sanzione in maniera più favorevole per l'interessato, la sentenza dà conto della considerazione delle condizioni di fatto, che logicamente, avrebbero dovuto condurre ad escludere anche l'applicazione dell'aumento per la recidiva, invece confermata nei suoi effetti si osserva sul punto che non è dato ravvisare nel corpo della motivazione neppure un'argomentazione implicita al riguardo, ritenuta imprescindibile, anche in considerazione della circostanza che l'elisione dell'aggravante avrebbe prodotto l'accertamento di estinzione del reato per prescrizione, intervenuta in epoca precedente al giudizio di appello. 3.2. Con ulteriore motivo si deduce omessa motivazione riguardo al motivo d'appello formulato con riferimento alla pronuncia civile di liquidazione del danno non patrimoniale in favore del danneggiato costituito nel procedimento. 4. L'avv. A. R., che si qualifica difensore di fiducia dell'A., ha depositato motivi nuovi di ricorso con atto depositato il 19/02/2015. 4.1 Si deduce omessa notifica dell'estratto della sentenza impugnata a mani dell'interessato personalmente che era stato dichiarato contumace, e sulla base degli atti non aveva mai eletto domicilio, circostanza che doveva imporre, in assenza della consegna personale, la notifica al difensore ai sensi dell'art. 157 comma 8 cod. proc. pen Si chiedeva quindi la trasmissione degli atti alla Corte d'appello di Firenze per l'esecuzione dell'incombente. 4.2. Si deduce illogicità della motivazione ove fa riferimento alle difformi versioni dei fatti rese dal ricorrente, considerazione che non aveva tenuto conto della naturale evoluzione delle dichiarazioni acquisite nel corso delle indagini a fronte dei punti fermi delle ricostruzioni sugli elementi determinanti, quali l'entità complessiva delle dazioni eseguite. 4.3. Erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla dichiarata mancata offerta di prove dei fatti denunciati, attribuita all'odierno ricorrente, con una inversione dell'onere della prova, attinente al diverso oggetto relativo ai fatti contestati al pubblico ufficiale che si assume ingiustamente accusato, quando la verifica in questo procedimento doveva riguardare la consapevolezza da parte del denunciante della falsità delle sue accuse. 4.4. Si deduce manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui la sentenza conferisce rilievo alla diversa competenza territoriale del maresciallo accusato, che poteva ritenersi accertata solo per una parte dell'azione consumata nel 2004, mentre era stata confermata quanto all'ulteriore periodo e non aveva considerato le specifiche giustificazioni rese al riguardo dall'imputato o l'alternativa ipotesi di un millantato credito da parte del carabiniere, che ben avrebbe potuto sostenere, pur in assenza di concrete possibilità di un intervento di questi, il patto illecito cui A. aveva fatto riferimento. Anche i limitati riscontri ricercati nel corso del giudizio con riguardo ai controlli eseguiti nel corso dell'esecuzione delle misure restrittive di natura domiciliare imposte aii'A., non hanno considerato la circostanza che il patto riguardava l'omissione di tali verifiche durante le assenze del ricorrente per recarsi a Praga, non tutto il periodo della limitazione della sua libertà. 4.5. Si contesta da ultimo, alla luce della pronuncia n. 185 del 2015 della Corte Costituzionale, che la recidiva ritenuta sia concreta espressione della più accentuata colpevolezza e maggiore pericolosità specifica dell'interessato, e possa idoneamente sostenere l'aumento di pena applicato nella specie, posto che i precedenti più recenti risultanti a suo carico riguardano fattispecie del tutto autonome. Considerato in diritto 1. Il ricorso merita accoglimento limitatamente alle censure proposte riguardo alla pronuncia sulle statuizioni civili. 2. Ponendo i motivi proposti in ordine logico, si deve in primo luogo rilevare la tardività del rilievo attinente alla pretesa irregolare comunicazione della sentenza d'appello all'interessato formulato con motivi nuovi dal nuovo difensore dell'A., avv. R Al di là del fondamento in fatto del dato denunciato, risulta tempestivamente proposto il gravame di legittimità da ben due difensori di fiducia, in mancanza di denuncia di tale elemento, sicché i motivi di ricorso aggiuntivi proposti dal professionista nominato più di recente dall'interessato revocati i precedenti incarichi, non potevano che muoversi nell'alveo dei motivi già proposti sul punto per tutte Sez. 6, n. 6075 del 13/01/2015, Comitini, Rv. 262343 , per effetto della decadenza verificatasi sul punto, in conseguenza della maturazione del termine massimo per proporre impugnazione. Né risulta indicato, a fronte di un ricorso di legittimità pendente, l'interesse alla corretta notifica personale della sentenza d'appello, poiché non è stato prospettato che l'iniziativa dei precedenti difensori di fiducia sia stata assunta nella totale ignoranza della pronuncia impugnata da parte del diretto interessato, adempimento la cui mancanza gli avrebbe precluso la formulazione di propri autonomi motivi di ricorso. La circostanza non risulta espressa nella memoria, e ciò comporta il rilievo di un ulteriore motivo di inammissibilità dell'eccezione in rito proposta, che non esplicita lo specifico interesse all'adempimento che si assume omesso, che avrebbe potuto rinvenirsi nella rappresentazione di motivi di impugnazione non coltivati dai suoi difensori, che I'A. avrebbe voluto inserire nel nuovo ricorso la circostanza dovrebbe sfociare nella richiesta di essere rimesso in termini per l'impugnazione personale, mentre la memoria si limita a circoscrivere l'istanza alla sollecitazione dell'esecuzione dell'adempimento omesso. In tale atto non risulta neppure dedotta la mancata conoscenza dell'esito del giudizio di appello, circostanza di difficile configurazione, a fronte di impugnazione proposta nei termini da ben due difensori di fiducia. Le circostanze evidenziate privano di consistenza l'eccezione in rito proposta, in relazione alla cui fondatezza a fronte delle richiamate condizioni di inammissibilità, risulta conseguentemente irrilevante qualsiasi ulteriore indagine di merito. 3. Con riferimento alla denunciata violazione di legge, attinente all'applicazione della norma incriminatrice, è del tutto pacifico che l'accertamento di responsabilità per il reato di calunnia impone che si verifichi la piena consapevolezza, da parte del denunciante, dell'innocenza dell'incolpato, elemento sul quale l'analisi delle sentenze di merito consente di accertare raggiunta la piena prova, al di là dell'equivocabile espressione finale, di seguito riportata, utilizzata a conclusione dell'analisi dei fatti nella pronuncia d'appello, sulla quale si sono incentrate le critiche del P.g. in sede di udienza e della difesa. Si deve in argomento rilevare la particolare analiticità al riguardo della pronuncia di primo grado, ampiamente richiamata dal giudice d'appello, anche in quanto non concretamente contestata, con riferimenti agli approdi istruttori su cui è fondata, rispetto ai quali si delineano esclusivamente ricostruzioni alternative ed ipotetiche, estranee all'ambito di analisi rimesso a questa Corte, quali le possibilità di fraintendimenti da parte dei verbalizzanti, elementi che per la verità gli stessi ricorrenti non evidenziano essere emersi, per lo meno in chiave dubitativa, nel corso dell'esame in contraddittorio. In particolare, nella pronuncia di primo grado si chiarisce la scansione delle dichiarazioni accusatorie svolte da A. nei confronti del maresciallo Cl., con riferimento ai tempi in cui sarebbero stati effettuati i pagamenti e le difformità registrate al riguardo proprio dal succedersi delle ricostruzioni provenienti dallo stesso imputato, che non ha saputo fornire egli stesso dei dati di certezza, sulla base dei quali operare i successivi approfondimenti è stato dato conto delle specifiche analisi svolte sugli elementi ulteriori, ed in particolare delle verifiche sulle ingerenze eventualmente realizzate dal Cl. sulla sua squadra, al fine di programmare i controlli, per escluderne l'esecuzione a carico della persona da cui, secondo la prospettazione, sarebbe stato retribuito si è dato conto dell'esito negativo della prova testimoniale acquisita per verificare l'oggettiva realizzazione dell'episodio, narrato da A., inerente ad un cambio assegni effettuato per versare il contante a Cl. in occasione dell'ultimo pagamento, di cui è stata, ancora una volta, esclusa la verificazione, oltre che della circostanza che avrebbe dovuto attestare la conoscenza da parte di amici di A. dell'accordo illecito che avrebbe consentito il suo allontanamento temporaneo dal territorio italiano. Da ultimo nella pronuncia di primo grado è stata segnalata, ad ulteriore contestualizzazione di una falsità della ricostruzione non priva di uno scopo, anche la presenza di un movente a tali false ricostruzioni, così corroborando ulteriormente, ancorché in modo eccedente l'onere dimostrativo, la verifica della falsità delle accuse, e la piena consapevolezza di tale artificiosità da parte del suo autore. Tali analitici elementi sono stati ripetutamente richiamati nella pronuncia di appello, anche al fine di contrastare la fondatezza della tesi difensiva, che escludeva la sussistenza del reato, sulla base di una pretesa indimostrata consapevolezza, da parte del ricorrente, della insussistenza del reato denunciato. In particolare, in quel contesto si prospettava che, date per accertate le dazioni di denaro, si dovesse escludere la loro incidenza nello sviamento dell'attività di controllo in danno di A., quando in realtà la pronuncia di primo grado aveva chiaramente, ed in maniera non superata dalle deduzioni di merito svolte dalla difesa, dato conto dell'insussistenza del primo principale requisito, costituito dall'indimostrato intervento degli illeciti pagamenti. Tale situazione, riguardando non la consapevolezza da parte del suo autore della qualificazione giuridica dei fatti quali illecito e quindi elementi di natura valutativa, che potrebbero assumere rilievo escludente della responsabilità cfr. da ultimo Sez. 6, n. 50254 del 13/11/2015, P.C. in proc. Parodi, Rv. 265751 , ma, a monte, la loro effettiva realizzazione, su cui non possono crearsi fraintendimenti nella coscienza del singolo consociato, ancorché non dotato di specifiche cognizioni giuridiche, permette di ritenere come pienamente dimostrato l'elemento psicologico costitutivo del delitto di calunnia, che deve individuarsi nella coscienza dell'innocenza dell'incolpato, nella specie fondata sulla contraddittorietà dei dati storici ricostruttivi offerti dallo stesso denunciante, univocamente corroborata da tutti gli ulteriori elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria, su cui risulta eseguita l'analisi infatti è del tutto pacifico che l'ingiustificata attribuzione come vero di un fatto di cui non si è accertata la verificazione presuppone la certezza nel denunciante della falsa accusa dell'incolpato nello stesso senso Sez. 6, n. 26819 del 27/04/2012, P.M. in proc. Leoni e altri, Rv. 253106 . In tale contesto il richiamo contenuto nella pronuncia di appello, attinente alla mancata dimostrazione della realtà delle accuse a carico del maresciallo Clemente, non attribuisce un improprio onere di dimostrazione della propria innocenza all'imputato, ma dà conto, in maniera riassuntiva, di quanto analiticamente emerso nel corso dell'istruttoria di primo grado, valutato con motivazione coerente da quel giudicante, e ritenuto, per l'effetto, non superabile dalle generiche deduzioni della difesa. Invero i motivi di ricorso si incentrano sull'equivoco generato dal seguente riferimento testuale contenuto nella sentenza d'appello la ricostruzione effettuata in primo grado .non consente certamente di poter affermare che, dei fatti attribuiti al maresciallo Cl. sia stata accertata la realtà, da ciò quindi derivando la piena sussistenza dell'elemento psicologico” inciso che, per vero, sottolinea quanto ampiamente documentato nella pronuncia di primo grado, in ordine alla mancanza di conferme ai fatti denunciati, sotto l'aspetto dei plurimi indicatori concreti offerti, che ne attestavano l'insussistenza storica, e non conteneva, in senso contrario a quanto esposto nel ricorso, l'impropria attribuzione dell'onere della prova della veridicità della denuncia all'A Conseguentemente si deve concludere che i rilievi in argomento si limitano a reiterare autonome deduzioni di merito, che prescindono dalla natura degli accertamenti svolti, e dalle risposte alle obiezioni difensive proposte dal giudice d'appello al riguardo, poiché non segnala né violazioni di legge in punto di valutazione delle prove, né la persistenza di aporie ricostruttive rispetto a dati irriducibilmente antitetici. 4. Di assoluta genericità risulta il motivo di impugnazione inerente alla sollecitazione all'esclusione della recidiva, su cui la Corte territoriale ha omesso l'esame. In realtà, a fronte di una compiuta argomentazione espressa nella pronuncia di primo grado al riguardo, fondata sulla gravità e tipologia simile delle violazioni risultanti nel certificato penale a carico dell'interessato, il motivo di gravame risulta privo di esplicazione, limitandosi alla richiesta di una diversa valutazione delle specifiche circostanze di fatto evidenziate nella pronuncia impugnata, quale la mancanza di un intento vendicativo nei confronti del maresciallo denunciato e di caratterizzazione specifica dei precedenti in tema di misure di prevenzione, che non permetteva di confermare il giudizio di maggiore pericolosità la circostanza esonerava il giudice d'appello dall'obbligo di una motivazione specifica all'atto in cui l'intero complesso argomentativo della sentenza negava fondamento di fatto alle allegazioni richiamate, mentre ulteriori emergenze, astrattamente favorevoli all'interessato, quali il decorso del tempo rispetto alla consumazione dei fatti, hanno costituito oggetto di autonoma valutazione ai sensi dell'art. 133 cod. pen. che individua criteri autonomi di analisi e non si pone, conseguentemente, in contraddizione con la decisione in punto di recidiva. Né a diversa conclusione può pervenirsi per effetto della recente pronuncia della Corte Costituzionale citata nei motivi aggiunti, in quanto in essa la Corte si è limitata ad escludere qualsiasi automatico aumento di pena per effetto delle circostanze concrete a giustificazione dell'aggravante, mentre nella specie è presente una valutazione di merito da parte del primo giudice, confermata attraverso la convalida degli elementi di fatto su cui era fondata, in grado d'appello. 5. A diversa conclusione deve invece pervenirsi per quel che attiene il capo civile della sentenza, in relazione al quale, a fronte di una liquidazione equitativa del danno intervenuta in primo grado, si lamentava nell'atto di appello la mancata acquisizione di prove idonee a corroborare l'intervenuta determinazione, argomento del tutto ignorato nella sentenza, che non opera alcun riferimento, neppure indiretto, alle acquisizioni al riguardo, in relazione al quale deve riscontrarsi il vizio di motivazione lamentato. Per l'effetto, disposto l'annullamento di tale capo della sentenza, si deve rinviare al giudice civile competente in grado d'appello la decisione sul punto. 6. Il ricorso va quindi rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alle statuizioni civili, e rinvia per nuovo giudizio sul punto al giudice civile competente per valore in grado di appello. Rigetta nel resto il ricorso.