Il giudice della riparazione deve valutare anche il contegno processuale del richiedente o di eventuali coimputati

Il giudice, nell’accertare la sussistenza del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento restrittivo della sua libertà personale, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura cautelare e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico, nonché del comportamento processuale tenuto dal coimputato.

In tal senso si espressa la quarta sezione della Corte di Cassazione con la sentenza 12709/2016, depositata il 29 marzo scorso, in materia di riparazione per l’ingiusta detenzione. Il caso di specie. La Corte d’Appello di Torino accoglieva parzialmente la domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione patita dal ricorrente, un soggetto straniero accusato dei in relazione a reati di riduzione in schiavitù, tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, in concorso con la propria moglie. Benché il ricorrente fosse stato completamente assolto da ogni addebito contestatogli, il giudice della riparazione riconosceva una riduzione dell’indennizzo, liquidando l’importo di euro 9,000,00, in ragione della ritenuta sussistenza della colpa a carico del richiedente per la condotta tenuta sino al momento in cui aveva deciso di essere sottoposto ad interrogatorio per chiarire la sua posizione in relazione alle accuse che gli venivano mosse. Avverso siffatta determinazione pronunciata dalla Corte territoriale ricorre per Cassazione la difesa dell’interessato, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 314 c.p., per avere il giudicante omesso di valutare la presenza di elementi evidenti circa l’estraneità del ricorrente ai fatti criminosi contestati sin dall’inizio della vicenda giudiziaria che lo avevano coinvolto. D’altro canto, la stessa coindagata, responsabile principale dei delitti oggetto di investigazione, aveva fin da subito chiarito la posizione processuale di entrambi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze con memoria depositata il 1° febbraio 2016 insiste per la conferma dell’ordinanza di parziale accoglimento della Corte d’Appello di Torino. Il ricorso è parzialmente fondato. Premesso che nell’ambito della riparazione per l’ingiusta detenzione il sindacato di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento non può che essere limitato alla correttezza del ragionamento logico – giuridico posto alla base della decisione del giudice, i Consiglieri della IV Sezione evidenziano che in relazione a siffatta tematica rappresenta causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o colpa grave, all’instaurazione od al mantenimento della custodia cautelare articolo 314, comma 1, ult. parte, c.p.p. . L’assenza di tale causa, costituendo presupposto indefettibile al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice indipendentemente dalle deduzioni di parte. In ordine al requisito temporale, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento restrittivo della sua libertà personale, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura cautelare e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico SS.UU. numero 32383 del 27 maggio 2010 . Di talché anche il comportamento processuale improntato alla reticenza, al silenzio o al mendacio può essere valutato quale comportamento valutabile in termini di colpa grave ai fini riparativi, nell’ottica contributiva alla tenuta del quadro indiziario cha ha dato origine alla misura cautelare. Nel caso di specie, sotto questo profilo il provvedimento impugnato è immune da vizi laddove il giudice della riparazione ha individuato il momento da cui calcolare il diritto all’equa riparazione in quello in cui l’indagato decideva di rendere dichiarazioni, tal sì da mutare il complesso accusatorio. Tuttavia, secondo gli Ermellini l’ordinanza impugnata merita censura nel punto in ragione della omessa considerazione delle propalazioni rese dalla coindagata nell’immediatezza dei fatti, idonea a far carpire agli inquirenti, sin da subito e con i dovuti riscontri, la calunniosità delle dichiarazioni dei denuncianti. Per tali motivi, il ricorso viene accolto con rinvio al giudice della riparazione per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 febbraio – 29 marzo 2016, numero 12709 Presidente Bianchi – Relatore Bellini Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Torino con la ordinanza impugnata, in accoglimento parziale della domanda di riparazione per la ingiusta detenzione, patita dal ricorrente I.K. in relazione a ipotesi delittuose di riduzione e mantenimento in schiavitù, tratta di persone in stato di soggezione, favoreggiamento della immigrazione clandestina e sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione ai danni di due concittadine nigeriane, in concorso con la di lui moglie, accuse dalle quali veniva definitivamente assolto con sentenza della Corte di Appello di Torino in data 11.7.2013, riconosciuta una riduzione dell'indennizzo per il concorso di colpa ravvisata in capo al ricorrente per la condotta tenuta fino al momento in cui aveva deciso di essere sottoposto ad interrogatorio per chiarire la sua posizione in relazione agli addebiti, gli liquidava l'importo di € 9.000 a detto titolo 2. Avverso la suddetta ordinanza proponeva ricorso per cassazione la difesa del I. deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 314 c.p.p. assumendo che il giudice della riparazione non aveva considerato elementi di decisiva rilevanza che avrebbero dovuto rappresentare all'autorità giudiziaria procedente la calunniosità delle dichiarazioni provenienti dalle asserite persone offese fin da epoca coeva alla adozione della misura e che comunque la riduzione della indennità del ricorrente non risultava assolutamente giustificata dalla condotta processuale del ricorrente laddove l'altra indagata, O.C., che costituiva la principale accusata per i fatti per cui era stata emessa cautela, a fronte del ruolo meramente ausiliario del I., aveva chiarito la posizione processuale di entrambi in epoca di molto anteriore a quella da cui i giudici della riparazione avevano fatto decorrere il diritto del ricorrente ad essere ristorato e pertanto sotto questo profilo chiedeva che il diritto alla riparazione a favore di questi fosse anticipata alla data in cui la O. aveva reso tutti i chiarimenti volti a evidenziare la loro estraneità dai fatti contestati 3. Si costituiva il Ministero della Economia e delle Finanze con memoria depositata in data 1.2.2016 e chiedeva che venisse confermata la ordinanza dei giudice della riparazione. Considerato in diritto 1. II ricorso è parzialmente fondato e deve essere accolto nei limiti di cui alla motivazione. Nel procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione, il sindacato del giudice di legittimità sull'ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l'ottenimento del beneficio. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull'esistenza e la gravità della colpa o sull'esistenza del dolo v. da ultimo, Sezioni unite, 28 novembre 2013, numero 51779, Nicosia . L'articolo 314 comma I c.p.p. prevede al primo comma che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave . In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, rappresenta causa impeditiva all'affermazione del diritto alla riparazione l'avere l'interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all'instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare articolo 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. penumero l'assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all'equa riparazione, deve essere accertata d'ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte cfr. sul punto questa sez. 4, numero 34181 del 5.11.2002, Guadagno, rv. 226004 . In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell'ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa - e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all'indennizzo, ai sensi dell'articolo 314, primo comma, cod. proc. penumero - non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell' id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo Sez. Unite numero 43 del 13.12.1995 dep. il 9.2.1996, Sarnataro ed altri, rv. 203637 . Poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall'articolo 43 cod. penumero , deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo comma dell'articolo 314 cod. proc. penumero , quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'autorità giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso sez. 4, numero 43302 del 23.10.2008, Maisano, rv. 242034 . Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice, nell'accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell'incidenza causale del dolo o della colpa grave dell'interessato rispetto all'applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico Sez. Unite, numero 32383 del 27.5.2010, D'Ambrosio, rv. 247664 . 2. Invero il giudice di legittimità ha altresì stabilito che anche il comportamento processuale, improntato alla reticenza, al silenzio o al mendacio, pure riconosciuto legittimo dal legislatore in quanto espressione dell'esercizio del diritto di difesa, possa comunque essere valutato, sulla base del diverso piano prognostico che sovraintende il procedimento di cui all'articolo 314 e ss. c.p.p., quale comportamento valutabile in termine di colpa grave a fini riparativi e pertanto quale fattore impeditivo del diritto alla riparazione della ingiusta detenzione quando esso si inserisca, come nella specie, in termini contributivi alla tenuta del quadro indiziario che ha dato luogo alla adozione o al mantenimento della misura detentiva sez.III, 2.4.2014 numero 29967, Bertuccini sez.IV, 9.11.2011 numero 44090, Messina 18.11.2008 numero 47047, Marzola 12.11.2008 numero 47041, Calzetta e altri . 3. D'altra parte nel caso in specie viene in considerazione la circostanza che l'indagato è portatore di una conoscenza esclusiva, idonea a scagionarlo o comunque a fornire i necessarie chiarimenti sulle circostanze, ignote agli inquirenti, che stanno alla base della prospettazione accusatoria e pertanto la scelta di non fornire immediatamente tali chiarimenti, pure legittimo nell'ambito della strategia difensiva perseguita, integra altresì un fatto di mancato contrasto agli elementi di accusa, sinergico alla tenuta dei quadro indiziario e idoneo a ritardare l'accertamento dei fatti da parte dell'autorità giudiziaria. Sotto questo profilo pertanto non è errato il ragionamento svolto dalla corte territoriale nella parte in cui ritiene di dovere limitare la riparazione al periodo successivo a quella in cui ebbe inizio una utile attività di contrasto della prospettazione accusatoria che si fondava sulle dichiarazioni delle due asserite persone offese dai gravi reati ascritti alla coppia di coniugi nigeriani, imputando a colpa dei ricorrente la custodia da questi sofferta fino alla decisione di rispondere alle domande degli inquirenti. 4. II ragionamento della Corte territoriale peraltro risulta illogico nella parte in cui, pure a fronte di una posizione del ricorrente assolutamente dipendente da quella moglie O.C. che dalle due denuncianti era indicata essere la persona che aveva curato la tratta delle due giovani Nigeriane, concorrendo con il marito alla introduzione clandestina delle predette in territorio italiano e curando e sfruttando personalmente, quale lenone e locatrice di un appartamento abitato da una di esse, la loro attività di meretricio, la riparazione viene ancorata all'interrogatorio disvelatore del ricorrente, piuttosto che a quello, più circostanziato perché maggiormente informato, della di lui moglie O.C. la quale aveva tenuto i contatti con le due connazionali, affittando l'appartamento per il canone di € 300 e relazionandosi con le stesse anche quando il marito era stato all'estero per un periodo nel corso dell'anno 2009. Invero dall'insieme delle circostanze riportate dal giudice della riparazione appare evidente che era la coimputato O. a essere sostanzialmente il bersaglio delle dichiarazioni, poi rivelatesi false da parte delle giovani nigeriane, laddove era la O. ad essere indicata come colei cui era stata venduta una di esse - U.A. - da alcuni connazionali, quella che praticava riti Woo doo e la costringeva a prostituirsi, che faceva propri i proventi del meretricio e la picchiava l'altra persona offesa O.O. riferiva che era stato il fratello della O. a farla giungere a Torino con la promessa che la sorella l'avrebbe assunta come baby sitter, mentre la O. le aveva fatto ottenere asilo politico sotto falso nome e la aveva ospitata nella propria abitazione fino a costringerla a prostituirsi. La posizione del I. veniva indicata dalle persone offese come subalterna anche se complice a quanto realizzato dalla O Orbene, in tale prospettiva la parte ricorrente ha rappresentato come l'attività collaborativa con gli inquirenti iniziò in epoca molto precedente all'interrogatorio del marito, laddove la stessa venne interrogata in data 27.6.2011 rendendo esplicitazione di tutte le circostanze relative ai rapporti con le due connazionali accusatrici ed evidenziando tutte le incongruenze della loro versione, condotta che se da un lato non valse la rimessione in libertà di essa stessa e del marito, venne positivamente valorizzata dal giudice della riparazione che, a fronte di analoga richiesta risarcitoria proveniente dalla donna a seguito della pronuncia assolutoria della Corte di appello di Torino, ebbe a indicare proprio la data del 27.6.2011 come quella da cui fare decorrere il periodo di detenzione ritenuta illegittima nei suoi confronti. Appare peraltro di tutta evidenza che, nell'ambito di una indagine unitaria a carico di entrambi i coniugi, ove la posizione processuale dell'odierno ricorrente era evidentemente subordinata all'esame di quella della moglie, la quale come detto era ritenuta dall'accusa delle giovani nigeriane l'artefice originaria e principale della loro immigrazione clandestina, tratta, condizione di soggezione, sfruttamento e sottoposizione a violenza, non può ritenersi colpevole il ritardo con cui lo I. ebbe a difendersi, chiedendo di essere sottoposto ad interrogatorio, se in epoca di molto risalente la moglie, che era portatrice della conoscenza della principale trama delle relazioni con le accusatrici, aveva ampiamente e prioritariamente rivelato circostanze e manifestato incongruità nelle accuse idonee, propria per le ragioni di interdipendenza tra le due posizioni processuali, a riflettersi positivamente sulla valutazione del marito odierno ricorrente. Il vizio motivazionale pertanto consiste appunto nella incongruenza dei dati riportati dal giudice del riesame in premessa della ordinanza impugnata, con la conclusione di avere ancorato l'entità della riparazione alla scelta processuale del ricorrente di farsi interrogare in un secondo momento, senza considerare la circostanza, pure risultata documentalmente, che gli inquirenti erano in grado di valutare diversamente la posizione dello I. fin dall'interrogatorio reso dalla moglie di questi, coimputata negli stessi reati e snodo centrale, per gli elementi circostanziali sopra riferiti, delle relazioni tra le giovani nigeriane accusatrici ed entrambi i coimputati fatti oggetto delle accuse poi risultate false. Si impone pertanto l'accoglimento del ricorso e l'annullamento della ordinanza riparatoria con rimessione alla Corte di Appello di Torino per nuova valutazione della misura dell'indennità riparatoria in ragione del contegno processuale tenuto da imputato dello stesso reato, la cui posizione processuale risulta essere concorsuale e interdipendente rispetto a quella del soggetto, anch'egli sottoposto a cautela, il quale propone la domanda riparatoria. P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Torino cui rimette anche il regolamento delle spese per il presente giudizio.