Tossicodipendente, senza lavoro e in possesso di quasi 18 grammi di droga: condannato per spaccio

Confermata la condanna 6 mesi di reclusione e 2mila euro di multa. Respinta la tesi del mero uso personale. A rendere illogica questa possibilità sono le pessime condizioni economiche dell’uomo.

Condannato per spaccio. Fatale il possesso di quasi 18 grammi di droga. Respinta la tesi del mero consumo personale decisive le pessime condizioni economiche dell’uomo Cassazione, sentenza n. 12383/2016, sezione Sesta Penale, depositata oggi . Spaccio. Pena dura, seppur mitigata in appello, per l’uomo 6 mesi di reclusione e 2mila euro di multa . Indiscutibile, secondo i giudici, il fatto che la droga a sua disposizione – 17,6 grammi netti tra hashish e marijuana – fosse destinata allo spaccio . Il legale, però, in Cassazione ripropone la linea difensiva del consumo personale . Su questo fronte viene posto in evidenza il modesto quantitativo di droga, compatibile , secondo l’avvocato, con l’uso personale da parte di un soggetto che si è dichiarato assuntore di sostanza stupefacente . Tale visione, però, si rivela però non sufficiente per demolire le valutazioni compiute in Tribunale prima e in Corte d’appello poi, laddove è stata esclusa l’eventualità dell’ uso personale , una volta prese in considerazione le pessime condizioni economiche dell’uomo . Egli, difatti, è privo di lavoro costretto a vivere in una casa occupata abusivamente e i figli sono mantenuti dai suoi genitori . Impensabile, quindi, che l’uomo abbia potuto acquistare per sé la droga, peraltro già suddivisa in quarantadue dosi .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 – 23 marzo 2016, n. 12383 Presidente Paoloni – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. II Tribunale di Roma, all'esito di giudizio abbreviato, ha condannato P.C. alla pena di giustizia per il delitto di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 perché egli deteneva, al fine di cederli a terzi, gr. 17,6 netti di sostanza stupefacente di tipo hashish e marijuana. Su impugnazione dei prevenuto, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, tenuto conto del modesto quantitativo di sostanza, ha rideterminato la pena in sei mesi di reclusione e 2.000,00 euro di multa, considerata la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 e, per essa, l'intervenuto ripristino della previgente normativa, confermando nel resto la prima sentenza. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello propone ricorso per cassazione l'imputato, in proprio, articolando due motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta vizi di motivazione in relazione all'art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309 del 1990. La Corte territoriale avrebbe negato al prevenuto, con motivazione illogica, la concessione del lavoro di pubblica utilità, argomentando dal fatto che il primo fosse gravato da precedente specifico. Deduce il ricorrente come proprio un siffatto precedente, in quanto impeditivo dei riconoscimento dei beneficio della sospensione condizionale della pena, avrebbe dovuto invece dare ingresso al richiesto riconoscimento. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia ancora vizio di motivazione per manifesta illogicità, per avere la Corte di appello ritenuto che la sostanza detenuta fosse destinata alla cessione a terzi nonostante il modesto quantitativo, compatibile con l'uso personale di un soggetto, quale il prevenuto, non dotato di stabile attività lavorativa le modalità della custodia la circostanza che l'imputato avesse dichiarato di essere assuntore di sostanza stupefacente. Considerato in diritto 1.Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e quindi inammissibile. Poiché il lavoro di pubblica utilità di cui all'art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309 del 1990 è espressivo di un trattamento sanzionatorio, nell'alternativa applicazione dello stesso rispetto all'altrimenti ordinaria pena, il giudice deve essere guidato, nel dare ingresso allo stesso, dall'apprezzamento discrezionale di cui ali' art. 133 cod. pen. Pertanto il giudice dei merito assolve adeguatamente all'obbligo della motivazione con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno o più dei criteri indicati nell'art. 133 cod. pen., il che non postula una analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754 . Atteso che la Corte di appello ha argomentato, con motivazione non manifestamente illogica, sulla non accordabilità dell'alternativa forma sanzionatoria congruamente muovendo dall'esistenza di un precedente specifico, va escluso sul punto ogni scrutinio di legittimità. 2. II secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato poiché lo stesso è diretto a censurare gli argomenti già sviluppati dalla Corte di appello sulla integrazione della fattispecie dì detenzione ai fini di spaccio di sostanza, senza evidenziare dei primi manifeste illogicità. La Corte ha comunque argomentato sull'uso non personale dalle pessime condizioni economiche dei C. privo di lavoro, con i figli mantenuti dai propri genitori e costretto a vivere in una casa occupata abusivamente e dal numero totale delle dosi possedute 42 , in tal modo componendo quel quadro valutativo globale al quale la giurisprudenza di questa Corte riconduce il superamento di ogni utilizzo personale della sostanza Sez. 3, n. 46610 del 09/10/2014, Salaman, Rv. 260991 . 3. Il ricorso è pertanto inammissibile ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma, che si stima equo fissare in euro 1.500,00, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condannarla il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.