Per vendicarsi della ex invia al datore di lavoro foto “a luci rosse”: è molestia idonea a integrare atti persecutori

L’invio al datore di lavoro della vittima di lettera anonima contenente allusioni alla moralità della dipendente nonché foto e DVD che ritraggono la stessa nuda e nell’atto di compiere un rapporto sessuale costituisce molestia idonea a cagionare un grave e perdurante stato d’ansia nella vittima, in relazione all’ampiezza, alla durata e alla carica dispregiativa della condotta criminosa.

E’ quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 12208/2016, depositata il 22 marzo. Il caso. L’imputato era stato condannato per gravi episodi di violenza sessuale, atti persecutori, violenza privata, lesioni personali e ingiurie. Gli addebiti riguardavano condotte nei confronti di una donna con cui aveva avuto una relazione sentimentale di alcuni mesi. Sul piano probatorio. I giudici ritenevano la narrativa della persona offesa attendibile intrinsecamente e comunque riscontrata dalla deposizione dei testi tra cui la polizia giudiziaria e dal referto medico oltre al rinvenimento di una mazza da baseball utilizzata per minacciare la donna nonché di foto compromettenti inviate al datore di lavoro e acquisite agli atti. Cambiamento delle abitudini di vita. La condotta censurata aveva prodotto l’evento richiesto dalla norma incriminatrice in via alternativa nella rosa” di eventi capaci di integrare il delitto de quo gli altri sono, come noto, generare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva oppure costringere ad alterare le abitudini di vita . Con specifico riferimento all’evento del cambiamento delle abitudini di vita, evento ritenuto concretizzato nella vicenda in esame, i giudici ritenevano che andasse considerato il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita a cui la persona offesa aveva sentito di essere stata costretta anziché dare rilevanza ala quantità” di variazioni apportate. L’essenza è la reiterazione non il periodo di tempo in cui le condotte si estrinsecano. Per vero, rileva la Corte di Cassazione, il delitto di atti persecutori è configurabile anche quando le singole condotte sono agite in un arco temporale limitato anche un giorno purché si tratti di atti distinti e autonomi e che la reiterazione di tali atti sia causa effettiva di uno degli eventi previsti dalla fattispecie incriminatrice. Credibilità della vittima. Secondo la Corte di cassazione i giudici di merito hanno vagliato con rigore il profilo della credibilità della persona offesa onde verificare la veridicità del narrato confermato peraltro da elementi significativi di riscontro. Non rileva, a questi fini, che all’interno del periodo di vessazione, la vittima abbia avuto attenuazioni transitorie del malessere in cui ripristinava il dialogo con il persecutore. A proposito di riscontri esterni anche delle conseguenze della condotta . Il datore di lavoro della persona offesa aveva confermato in dibattimento di aver ricevuto una lettera anonima contenente allusioni alla moralità della donna dipendente nonché foto e DVD che ritraevano la stessa nuda e nell’atto di compiere un rapporto sessuale riferiva altresì di averla per ciò licenziata. La Suprema Corte afferma che quelle descritte sono molestie idonee a cagionare un grave e perdurante stato d’ansia nella vittima, in relazione all’ampiezza, alla durata e alla carica dispregiativa della condotta criminosa. Tale stato, peraltro, è correlato all’aggravarsi e consolidarsi, in ambito lavorativo e familiare, della lesione alla riservatezza della persona offesa e alla manipolazione dell’identità personale nei contesti citati, luoghi” in cui, peraltro, si svolge tipicamente la personalità dell’individuo. L’appuntato dei Carabinieri aveva dichiarato di avere constatato la presenza dell’imputato nei pressi dell’abitazione della persona offesa nonché di avere bloccato l’uomo con una mazza da baseball all’interno della propria automobile. Incursione nel contesto familiare e domestico. La cognata della persona offesa aveva riportato la sensazione di terrore della vittima nell’uscire da sola e un episodio specifico, cui aveva personalmente assistito, in cui l’imputato giunto davanti all’abitazione della vittima, aveva minacciato di picchiarla con la mazza. La gelosia legittima il controllo? Perfino lo stesso imputato aveva ammesso di avere regalato alla vittima un cellulare in grado di consentirgli l’ascolto delle telefonate nonché il litigio scaturito da rabbia e gelosia, litigio nel corso del quale aveva minacciato la persona offesa e l’aveva colpita con qualche” schiaffo. Lesioni certificate. Infine, a comprovare le dichiarazioni della persona offesa vi era il certificato medico attestante le lesioni da essa subite. Provare l’evento mediante elementi sintomatici. A giudizio della Suprema Corte, i giudici di merito avevano fatto buon governo dei principi secondo cui la prova dell’evento nel delitto di atti persecutori, segnatamente la causazione di grave e perdurante stato d’ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa persona offesa, dai suoi comportamenti conseguenti la condotta agita nonché dalla condotta stessa considerata sia come astratta idoneità a causare l’evento sia sotto il profilo concreto effettive condizioni di tempo e di luogo in cui si è consumata la condotta in addebito . Lettura dei fatti attraverso lo scopo della norma. La norma intende offrire un presidio penale alla persona e alla sua personalità nell’ambito dello svolgimento delle normali e quotidiane relazioni intersoggettive. Ne deriva che atti idonei ad incidere gravemente sulla libertà di autodeterminazione della persona e a comprometterne durevolmente l’equilibrio psichico, fino ad ingenerare timori per la propria incolumità, integrano la fattispecie di atti persecutori, in presenza del requisito della reiterazione espressamente richiesto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 – 22 marzo 2016, n. 12208 Presidente Amoresano – Relatore Mocci Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 18 luglio 2012, C.L.B. veniva condannato dal Tribunale di Salerno alla pena di anni tre di reclusione, per i reati di cui agli artt. 612 bis comma 3° c.p., 81 e 610 c.p., 582 c.p., 594 c.p. e 609 bis c.p All'imputato erano addebitati gravi episodi di violenza sessuale, stalking, lesioni personali, violenza privata ed ingiurie nei confronti di L.S., con la quale aveva avuto una relazione sentimentale dall'aprile all'agosto 2009. Su impugnazione dei L.B., il 13 ottobre 2014 la Corte d'Appello di Salerno confermava integralmente la sentenza di primo grado. Dopo aver passato in rassegna le argomentazioni del Tribunale ed i motivi di appello, la Corte distrettuale sottolineava l'attendibilità intrinseca della narrativa della parte offesa, riscontrata dalla deposizione di tale F., dei testi di PG e dal referto medico, oltre al rinvenimento della mazza da baseball utilizzata per minacciare la vittima e le foto compromettenti inviate al datore di lavoro. 2. Propone ricorso per cassazione il L.B., sulla scorta di sei motivi [art. 606 lett. b , c ed e art. 606 lett. b , c ed e art. 606 lett. b ed e art. 606 lett. b , c ed e art. 606 lett. b ed e art. 606 lett. b ed e ]. Considerato in diritto 1. Con la prima censura, il ricorrente deduce violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 612 bis c.p., violazione ed erronea applicazione dell'art. 499 comma 2° e 3° c.p.p., contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione circa la sussistenza del reato di cui all'art. 612 bis c.p Con riguardo al delitto di atti persecutori, sarebbe mancata la prova in ordine al perdurante e grave stato di ansia o di paura nonché il fondato timore per l'incolumità propria o dei di lei familiari, come d'altronde emergerebbe dalla riappacificazione agli inizi del mese di settembre 2009. Almeno fino a tale data avrebbe dovuto reputarsi esclusa la condotta delittuosa del L.B La ricostruzione dei fatti sarebbe stata alterata da una formulazione suggestiva delle domande poste alla parte offesa nel corso dell'istruttoria dibattimentale, sicché l'esposizione di costei sarebbe stata disordinata, contraddittoria e reticente. In ogni caso, le lesioni, minacce ed offese si sarebbero concretizzate nell'episodio dei 1 agosto 2009. Successivamente alla rottura definitiva dei rapporti, non vi sarebbe stato alcunché di penalmente rilevante lo stesso rinvenimento della mazza da baseball non avrebbe dimostrato di per sé l'utilizzo per la minaccia nei confronti della S 2. Con la seconda doglianza, il ricorrente assume la violazione dell'art. 610 c.p., attraverso il travisamento delle risultanze processuali. La Corte territoriale non avrebbe indicato gli atti idonei ad integrare violenza o minaccia, né il rinvenimento della mazza da baseball avrebbe potuto ritenersi indicativa del reato di violenza privata, anche perché le dichiarazioni della parte offesa sarebbero state vaghe e contraddittorie. 3. II terzo mezzo d'impugnazione è volto a contestare la sussistenza dell'episodio addebitato nell'ottobre 2009. 4. II quarto rilievo attiene al settimo capo d'imputazione ed alla imposizione di rapporti sessuali orali ed anali, mediante l'utilizzo, a scopo costrittivo, di foto che ritraevano la donna nuda, scattate a sua insaputa. La sentenza impugnata non avrebbe esaminato l'attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa, limitandosi al mero richiamo della sentenza di primo grado, senza neppure discutere le dichiarazioni rese sul punto dall'imputato. 5. La quinta lagnanza si appunta sulla sussistenza del fatto denunciato e riportato nel capo 8° dell'imputazione, mentre l'ultima denuncia l'illogicità dei percorso argomentativo adottato per pervenire alla decisione impugnata, alla luce dei comportamento processuale collaborativo e parzialmente confessorio dell'imputato e della non abitualità nella condotta, parametri questi ultimi che avrebbero dovuto condurre al contenimento della pena nei minimi edittali. 6. I predetti motivi sono manifestamente infondati. 6.1. La valutazione delle prove a sostegno della versione della parte offesa, come effettuata dalla Corte territoriale al fine di ricostruire gli eventi contestati, è logica e congrua e non incorre in alcun vizio di legittimità. Ai fini della individuazione dei cambiamento delle abitudini di vita, quale elemento integrativo del delitto di cui all'art. 612 bis cod. pen., la sentenza impugnata ha mostrato di considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita, a cui la vittima ha sentito di essere costretta, e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate. D'altronde, il delitto di atti persecutori è configurabile anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto, anche di una sola giornata, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice [Sez. 5, n. 33563 dei 16/06/2015 dep. 29/07/2015 Rv. 264356]. II fatto - provato ex actis ed ammesso dallo stesso imputato - dei 1 agosto 2009 sarebbe dunque in ogni caso sufficiente a integrare il reato contestato. Né può essere particolarmente indicativa di una qualche contraddizione circa l'attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima dei reato la circostanza che, all'interno dei periodo di vessazione, la persona offesa abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere, in cui ha ripristinato il dialogo con il persecutore [Sez. 5, n. 5313 dei 16/09/2014 dep. 04/02/2015 Rv. 262665]. 6.2. Tutte le doglianze contenute nel ricorso attaccano, sotto vari profili, la credibilità della parte offesa. Osserva peraltro la Corte che i giudici di merito hanno convincentemente corroborato la veridicità delle affermazioni della S., mediante il richiamo a significativi elementi di riscontro. In primo luogo, la deposizione del suo datore di lavoro, che ha effettivamente dichiarato di aver ricevuto una lettera anonima, contenente allusioni sulla moralità della donna, nonché foto ed un DVD che ritraevano la medesima nuda e nell'atto di compiere un rapporto sessuale, tanto da averla in un primo momento licenziata. Si tratta indubbiamente di molestie idonee a cagionare - per l'ampiezza, durata e carica dispregiativa della condotta criminosa - un grave e perdurante stato d'ansia nella persona offesa, correlato all'aggravamento e consolidamento, in ambito lavorativo oltre che familiare, della lesione della sua riservatezza e della manipolazione dell'identità personale nel contesto familiare e lavorativo. In secondo luogo, la deposizione dell'appuntato dei Carabinieri che, a seguito dell'intervento su richiesta da parte della S., aveva constatato la presenza dell'imputato nei pressi dell'abitazione della donna, così come, in precedenza, lo stesso L.B. era stato bloccato nelle vicinanze di un centro commerciale ed, all'interno della sua auto, era stata rinvenuta la citata mazza da baseball. In terzo luogo, le affermazioni della cognata della vittima, M.P.F., circa la sensazione di terrore della S. nell'uscire da sola e circa l'episodio specifico del 3 ottobre 2009, al quale aveva assistito personalmente, allorquando il L.B., davanti all'abitazione della parte offesa, aveva minacciato di picchiarla con la mazza. In quarto luogo, le ammissioni dello stesso imputato, in merito al regalo del cellulare in grado di consentirgli l'ascolto delle telefonate della donna ed al litigio, scaturito da motivi di rabbia e gelosia, nel corso dei quale egli l'aveva minacciata e poi colpita con qualche schiaffo. Da ultimo, è stato correttamente valorizzato il certificato medico dei 1 agosto 2009, attestante le lesioni subite dalla S Insomma, sia il Tribunale sia la Corte d'Appello hanno pienamente seguito i principi fissati da questa Corte secondo cui, in tema di atti persecutori, la prova dell'evento dei delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata [Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014 dep. 03/12/2014 Rv. 261535 Sez. 5, n. 24021 dei 29/04/2014 dep. 09/06/2014 Rv. 260580 Sez. 6, n. 20038 del 19/03/2014 dep. 14/05/2014 Rv. 259458]. Anche la censura avverso il diniego di riduzione della pena s'infrange sulla considerazione che la motivazione della sentenza impugnata illustra, in modo sia pur sintetico, le ragioni del rigetto gravità dei fatti e mancanza di qualunque autocritica . La manifesta infondatezza dei motivi determina l'inammissibilità del ricorso, ex art. 606 comma 30 c.p.p A tale proposito, giova sottolineare che i reati di cui ai capi 2 , 4 e 5 si sono prescritti il 1 febbraio 2016, ma la declaratoria di inammissibilità per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione. intervenuta nelle more dei procedimento di legittimità [Sez. U, Sentenza n. 32 del 22/11/2000 Cc. dep. 21/\2/2000 Rv. 217266 e, da ultimo, Sez. 2, Sentenza n. 28848 dell'8/05/2013 Ud. dep. 08/07/2013 Rv. 256463]. Tuttavia, il mutato quadro legislativo - a seguito dei D.Lvo 15 gennaio 2016 n. 8 - con la depenalizzazione della fattispecie dell'ingiuria, impone l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente alle condotte di ingiuria, di cui ai capi 5 e 6 , perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Conseguentemente, dalla pena comminata in primo grado i cui passaggi sono dettagliati alla pag. 18 e confermata integralmente in appello, devono essere espunti giorni 30 di reclusione, corrispondente all'aumento di giorni 15 per ciascuna delle due ipotesi di ingiuria contestate P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente ai fatti di ingiuria, di cui ai capi 5 e 6 , perché non sono previsti dalla legge come reati ed elimina la pena per essi inflitta di gg. 30 di reclusione. Dichiara inammissibili i motivi di ricorso. In caso di diffusione dei presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d. Igs. 196/03 in quanto imposto per legge.