Nessun differimento dell’esecuzione della pena se l’infermità fisica non è proprio grave

Lo stato morboso del condannato legittima il rinvio dell’esecuzione della pena solo se vi è una prognosi infausta quoad vitam oppure se il soggetto con lo stato di libertà possa giovarsi di cure e trattamenti indispensabili, non praticabili in stato di detenzione.

Così si espressa la Prima Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza 11598, depositata il 18 marzo scorso, in materia di esecuzione della pena e della compatibilità delle condizioni di salute col regime carcerario. La fattispecie. Con ordinanza del 13 marzo 2014 il Tribunale di Sorveglianza di Palermo rigettava la richiesta di differimento dell’esecuzione della pena per grave infermità, proposta nell’interesse di un detenuto, disponendo che lo stesso continuasse ad espiare la pena in Casa Circondariale con annesso centro clinico mediante sottoposizione a grande sorveglianza. Il soggetto interessato, all’epoca, doveva scontare ancora una pena pari ad anni quindici, mesi sei e giorni ventinove di reclusione, in virtù di sentenza di condanna per i reati di violenza sessuale, lesioni e maltrattamenti in danno della figlia minore. L’istanza di differimento veniva avanzata ai sensi del combinato disposto dagli artt. 648 c.p.p. e 146 e 147 c.p., per grave infermità fisica del detenuto per effetto della quale le condizioni di salute erano incompatibili con lo stato di detenzione domiciliare ex articolo 47-ter, comma 1 ter, Ord. Penumero il condannato, infatti, era detenuto presso il centro diagnostico terapeutico della Casa Circondariale di Messina . Il Tribunale di Sorveglianza siculo, sulla scorta delle perizie medico legali acquisite e della relazione del UEPE di Trapani, concludeva che l’istante , in relazione alla patologia di cui risultava portatore, era pienamente assistito e sottoposto ai dovuti controlli. Tra l’altro, la pericolosità del richiedente, il lontano fine pena, la mancanza di resipiscenza e la compatibilità delle condizioni di salute col regime detentivo all’interno di case circondariali con annessi centri diagnostici e terapeutici inducevano, necessariamente, al rigetto della richiesta di differimento dell’esecuzione della pena. Avverso siffatta ordinanza propone ricorso per Cassazione direttamente l’interessato, illustrando una serie di doglianze difensive, tra cui, in particolare, la violazione dell’articolo 606, comma 1, lett. e c.p.p., in relazione agli artt. 146 e 147 c.p. e all’articolo 192 c.p.p., cioè per travisamento della prova ed errore di motivazione. Secondo il ricorrente il Tribunale di Sorveglianza avrebbe erroneamente percepito e valutato le risultanze delle perizie medico-legali e della documentazione acquisita su richiesta della difesa. Detenzione domiciliare per rieducare e reinserire I Giudici della Suprema Corte di Cassazione non accolgono i motivi di doglianza proposti dal detenuto. Preliminarmente, nella pronuncia in commento, viene ribadito che, mentre la detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalità la rieducazione e il reinserimento sociale del condannato, il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, ex articolo 147 numero 2 c.p., mira ad evitare che l’esecuzione della pena avvenga in contrasto col diritto alla salute ed il senso di umanità ed afferisce a situazioni talmente gravi da connotarsi come incompatibili col regime di detenzione inframuraria anche all’interno di ospedali civili o altri luoghi esterni di cura. Tanto premesso, ad avviso dei ricorrenti, l’ordinanza del Giudice di prima istanza è priva di vizi motivazionali o violazioni di legge il giudicante, nella specie, dopo aver compiuto una completa disamina della documentazione acquisita, in particolare di quella sanitaria, ha ritenuto che lo stato di salute dell’istante non è tale da integrare le condizioni di cui all’articolo 147 c.p., anche in relazione alla situazione familiare e di pericolosità sociale del medesimo. D’altro canto, il condannato, già detenuto in una casa circondariale con centro diagnostico e terapeutico, riceve ogni cura adatta e necessaria rispetto al proprio stato patologico. Non essendovi, quindi, malattie implicanti prognosi infausta quoad vitam, non può che condividersi il percorso argomentativo delineato dal Tribunale di Sorveglianza di Palermo.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 aprile 2015 – 18 marzo 2016, n. 11598 Presidente Cortese – Relatore Tardio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 13 marzo 2014 il Tribunale di sorveglianza di Palermo ha rigettato la richiesta di differimento dell’esecuzione della pena per grave infermità, avanzata nell’interesse di M.S. , disponendo che lo stesso continuasse a espiare la pena in Casa circondariale con annesso centro clinico e fosse sottoposto a grande sorveglianza in considerazione dei riferiti propositi autosoppressivi . 1.1. Il Tribunale premetteva che - l’istante era in atto detenuto presso il Centro diagnostico terapeutico della Casa circondariale di Messina in esecuzione della pena di anni dodici, mesi sei e giorni ventinove di reclusione, la cui fine era fissata per 11 settembre 2025, costituente il residuo della maggiore pena di anni quindici di reclusione, inflittagli con sentenza del 29 marzo 2011 del Tribunale di Trapani, definitiva il 29 gennaio 2013, per i reati di maltrattamenti, lesioni aggravate e violenza sessuale continuata in danno della moglie e per i reati di violenza privata e violenza sessuale continuata e aggravata in danno della figlia minore, oltre a essere gravato da precedenti penali per reati commessi tra il 1994 e il 2005 - l’istanza proposta era diretta a ottenere, in base al combinato disposto degli artt. 684 cod. proc. pen., 146 e 147 cod. pen., il differimento dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, per effetto della quale le condizioni di salute erano incompatibili con lo stato di detenzione nelle forme della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen 1.2. L’ordinanza illustrava i contenuti della documentazione prodotta dalla difesa ovvero acquisita perizia medico-legale svolta dal tenente colonnello medico dott. G.A. , su incarico del G.i.p. del Tribunale di Palermo, il 19 dicembre 2005 perizie medico-legali redatte dal dott. A.G. , specialista cardio-vascolare e medico-legale, nell’ambito del procedimento n. 122/06 Lib. in data 24 febbraio 2006 e 6 aprile 2006, su incarico del Tribunale del riesame di Palermo consulenza di parte del 26 giugno 2013, redatta dalla psicologa dott.ssa I. a seguito della operazioni svolte 11 maggio 2013 e l’8 giugno 2013 presso la Casa circondariale di Trapani consulenza di parte del 5 luglio 2013, redatta dal dott. Ma.Gi. a seguito della visita dell’istante, effettuata il 4 maggio 2013 presso la stessa Casa circondariale formulava osservazioni critiche, con riguardo alle indicate consulenze di parte, quanto alle conclusioni di natura psichiatrica, anche richiamando una successiva e più recente consulenza psichiatrica disposta durante il ricovero dal 19 al 28 agosto 2013 presso l’Ospedale OMISSIS , quanto alla riferita perdita di peso anche alla luce della stessa documentazione prodotta dalla difesa, e quanto alla sindrome di Marfan, la non certezza della cui diagnosi era suffragata dalla relazione di dimissione dall’Ospedale civico di del 28 marzo 2006, dove l’istante era stato ricoverato per accertamenti ed esami diagnostici dal 16 al 28 marzo 2006 rilevava che l’istante, mentre era sempre stato sotto controllo medico da quando si trovava detenuto, come emergeva dal ripercorso esame delle molteplici visite specialistiche e degli esami diagnostici svolti, non era stato sottoposto ad alcun documentato controllo medico nel periodo 2006/2013, trascorso in stato di libertà. 1.3. Il Tribunale, che dava conto delle due recenti relazioni sanitarie redatte dai responsabili degli uffici sanitari delle Case circondariali di e di il 2 agosto 2013 e il 7 dicembre 2013, della relazione comportamentale della Casa circondariale di dell’11 novembre 2013 e della relazione dell’UEPE di del 13 novembre 2013, rilevava, conclusivamente a ragione della decisione, che l’istante - in relazione alla patologia di cui risultava portatore - era pienamente assistito e sottoposto ai dovuti controlli, e che la sua pericolosità, il lontano fine pena 1 settembre 2025 , l’assoluta mancanza di resipiscenza e la compatibilità delle attuali condizioni di salute con il regime di detenzione presso una casa circondariale con annesso centro diagnostico terapeutico inducevano a rigettare sia la richiesta di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena ex artt. 684 cod. proc. pen. e 146, comma 1, n. 3, cod. pen., non vertendosi nella relativa ipotesi, sia la richiesta di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena ex art. 147, comma 1, n. 2 cod. pen., in difetto dei presupposti di legge. Con la stessa ordinanza il Tribunale disponeva la permanenza dell’istante in Casa circondariale con annesso centro clinico e la prestazione al medesimo di quanto necessario per la sua condizione attuale. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, con atto personale, l’interessato Mo. , che ne chiede l’annullamento sulla base di due motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 146 e 147 cod. pen. e all’art. 192 cod. proc. pen Secondo il ricorrente, il Tribunale è incorso nel travisamento della prova e delle stesse richieste avanzate con l’istanza introduttiva, commettendo gravi errori motivazionali. 2.1.1. Il primo errore è correlato all’affermazione del Tribunale che egli non è affetto dalla sindrome di Marfan, che ha, invece, sviluppato sin dalla nascita, pervenendo, attraverso un travisamento dei fatti e un capovolgimento delle risultanze mediche e peritali, al rilievo della possibilità per esso ricorrente di continuare a espiare la pena presso una casa circondariale con annesso centro clinico, senza alcun approfondimento diagnostico e l’ausilio di un perito appositamente nominato, anche omettendo di considerare che egli si trovava già il 13 marzo 2014 presso la Casa circondariale di e non presso un Centro diagnostico terapeutico. Il ricorrente, che ripercorre l’analisi della documentazione svolta dal Tribunale e rappresenta l’espresso giudizio di incompatibilità delle sue condizioni di salute con il regime di custodia cautelare, cui è pervenuto il dott. A.G. in sede di giudizio di riesame, evidenzia che detto giudizio è stato condiviso dal Tribunale del riesame che, nella sua ordinanza dell’11 aprile 2006, ha ritenuto sussistere un’attenuazione delle esigenze cautelari, valutando le sue condizioni di salute in rapporto alla ingravescenza della sua malattia e alla indicata incompatibilità. L’assunto del Tribunale è, inoltre, smentito, ad avviso del ricorrente, dal diario clinico, emergendo dallo stesso la sindrome di Marfan, diagnosticata all’atto delle sue dimissioni dall’Ospedale di . Trattandosi di sindrome, che, in quanto patologia di carattere autosomico dominante , è una malattia genetica di natura degenerativa, non evolvibile positivamente come è dimostrato dalla natura progressiva del deficit quasi totale del visus e dal coinvolgimento cardiovascolare, non si sarebbe potuto ritenere compatibile, allo stato, in assenza di ogni accertamento specialistico, il regime carcerario, ritenuto, invece, incompatibile nel 2006 con uno stadio meno conclamato della stessa malattia. 2.1.2. Altro errore motivazionale e di travisamento degli atti riguarda, secondo il ricorrente, l’affermazione che egli non è affetto da patologie cardiache, invece indicate nella relazione redatta dal sanitario della Casa circondariale di Messina del 7 dicembre 2013, riportata nella stessa ordinanza. 2.1.3 Ulteriore errore riguarda la sottovalutazione della consulenza tecnica di parte quanto alla sua perdita di peso, essendo le osservazioni del Tribunale contraddette dalla lettura del diario clinico e dalla ripetuta diagnosi, operata dai sanitari, del suo decadimento psico-fisico. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d ed e , cod. proc. pen Secondo il ricorrente, il Tribunale ha errato nel non dar corso alla perizia medico-legale a fronte delle perizie svolte nel giudizio di merito prodotte alla difesa, delle caratteristiche degenerative della sua malattia e della richiamata relazione sanitaria del 7 dicembre 2013, oltre a non avere reso alcuna motivazione in ordine alla non esecuzione del suo sollecitato espletamento. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso per la sua infondatezza. Considerato in diritto 1. Il ricorso, infondato o inammissibile nelle proposte doglianze e deduzioni, deve essere rigettato. 2. Si premette in diritto che questa Corte ha più volte affermato che, mentre la detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalità la rieducazione e il reinserimento sociale del condannato, il rinvio facoltativo della esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai sensi dell’art. 147 n. 2 cod. pen., mira a evitare che l’esecuzione della pena avvenga in contrasto con il diritto alla salute e il senso di umanità, costituzionalmente garantiti, supponendo che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere cure e trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11 Ord. Pen., operando un bilanciamento tra l’interesse del condannato a essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività tra le altre, Sez. 1, n. 45758 del 14/11/2007, dep. 06/12/2007, De Witt, Rv. 238140 Sez. 1, n. 28555 del 18/06/2008, dep. 10/07/2008, Graziano, Rv. 240602 Sez. 1, n. 26806 del 27/05/2008, dep. 03/07/2008, Nunnari, Rv. 240867 Sez. 1, n. 27313 del 24/06/2008, dep. 04/07/2008, Commisso, Rv. 240877 Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009, dep. 28/05/2009, Aquino, Rv. 244132 Sez. 1, n. 972 del 14/10/2011, dep. 13/01/2012, Farinella, Rv. 251674 Sez. 1, n. 789 del 18/12/2013, dep. 10/01/2014, Mossuto, Rv. 258406 , e il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 146, comma 1, n. 3, cod. pen., suppone che il condannato sia affetto da una delle patologie previste dalla legge, giunte a una fase così avanzata da escludere la rispondenza del soggetto ai trattamenti disponibili o alle terapie curative tra le altre, Sez. 1, n. 41580 del 01/10/2009, dep. 29/10/2009, Cesarini, Rv. 245054 Sez. 1, n. 42276 del 27/0/2010, dep. 30/11/2010, Gradizzi, Rv. 249019 . 2.1. Pertanto, a fronte di una richiesta di rinvio, obbligatorio o facoltativo, della esecuzione della pena per grave infermità fisica, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o no compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto della natura dell’infermità e di un’eventuale prognosi infausta quoad vitam l’espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza della impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal codice penale. 2.2. Se, invece, nonostante la presenza di gravi condizioni di salute, il condannato sia in grado di partecipare consapevolmente a un processo rieducativo, che sì attua attraverso i previsti interventi obbligatori del servizio sociale, e residui un margine di pericolosità sociale che, nel bilanciamento tra le esigenze del condannato e quelle della difesa sociale, faccia ritenere necessario un minimo controllo da parte dello Stato, può essere disposta, in luogo del differimento della pena e per un periodo predeterminato e prorogabile, la detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen., che espressamente prescinde dalla durata della pena da espiare e non ne sospende l’esecuzione tra le altre, Sez. 1, n. 4326 del 12/06/2000, dep. 04/08/2000, Sibio, Rv. 216912 Sez. 1, n. 4750 del 14/01/2011, dep. 09/92/2011, Tinelli, Rv. 249794 , e richiede, per l’effetto, una duplice valutazione del Tribunale, che deve dapprima verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per concedere il differimento e poi disporre, eventualmente, la detenzione domiciliare in alternativa alla sospensione dell’esecuzione, qualora ricorrano ragioni particolari, rilevanti sul piano delle caratteristiche del reo e delle sue condizioni personali e familiari o sul piano della gravità e durata della pena da scontare tra le altre, Sez. 1, n. 656 del 28/01/2000, dep. 06/03/2000, Ranieri, Rv. 215494 Sez. 1, n. 23512 del 08/04/2003, dep. 28/05/2003, Bisogno, Rv. 224424 . 3. Di tali condivisi principi si sono fatte, nel caso di specie, esatta interpretazione e corretta applicazione. 3.1. Il Tribunale ha, infatti, ritenuto che lo stato di salute di M.S. non era tale da integrare le condizioni di cui all’art. 147, comma 1, cod. pen., dopo avere annotato, richiamando la relazione comportamentale e la relazione UEPE del novembre 2013, la peculiare situazione familiare e la particolare pericolosità del ricorrente, che non aveva manifestato alcuna forma di rivisitazione critica rispetto ai delitti a lui ascritti, incidenti anche sull’apprezzamento correlato alla concedibilità della detenzione domiciliare, e dopo avere puntualizzato che non si verteva in ipotesi riconducente al rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena. A tale conclusione il Tribunale è pervenuto attraverso un motivato ed esaustivo ragionamento, che ha sviluppato in correlazione con i dati disponibili, tratti dagli atti acquisiti, che ha descritto e criticamente analizzato. 3.2. Nel suo percorso argomentativo il Tribunale, che ha richiamato il contenuto nella relazione sanitaria aggiornata del 7 dicembre 2013 del Centro diagnostico terapeutico della Casa circondariale di , ha, in particolare, ragionevolmente valorizzato le univoche emergenze fattuali secondo le quali l’istante, in relazione alla patologia di cui risultava portatore, era pienamente assistito e sottoposto ai dovuti controlli ha sottolineato che tali controlli, esplicatisi, secondo la testuale illustrazione della stessa relazione, nella richiesta ed esecuzione di consulenze specialistiche, con riguardo alla diagnosi di sospetta sindrome di Marfan , non risultavano essere stati effettuati dall’interessato in stato di libertà, e ha rappresentato la condivisa conclusione della relazione sanitaria circa la compatibilità delle attuali condizioni di salute dell’istante con il regime carcerario in istituto con annesso centro medico. L’analisi di detta relazione non è stata disgiunta da quella della precedente e pure richiamata relazione sanitaria del 2 agosto 2013, che aveva a sua volta dato conto dei controlli medici eseguiti e in corso sul detenuto e delle terapie praticate, previa indicazione degli esiti della indagine anamnestica svolta sullo stesso, che aveva fatto ingresso in carcere dalla libertà 11 febbraio 2013 e aveva riferito, tra l’altro, in ordine a sospetta sindrome di Marfan e a disturbi del visus, escludendo che si fossero manifestate problematiche sanitarie di particolare rilevanza clinica del detenuto, apparso ai vari controlli clinici in apparenti buone condizioni generali . 3.3. Né il Tribunale ha prescisso dalla congrua disamina della documentazione agli atti, relativa, sotto un primo profilo, agli accertamenti peritali disposti negli anni 2005/2006 - con riguardo allo stato di salute del ricorrente e alla sua compatibilità con la detenzione in carcere - dal G.i.p. del Tribunale di Palermo prima e dal Tribunale del riesame di Palermo dopo, e riguardante, sotto un secondo profilo, gli accertamenti svolti dai consulenti di parte, specialista cardio-vascolare e medico-legale l’uno e psicologa l’altra, nel periodo maggio/agosto 2013, e ha rilevato, posta la rilevata presenza di una patologia cronica, che - in ordine allo stato di angoscia manifestato dal ricorrente, e rappresentato dalla psicologa come correlato alle sue preoccupazioni per la salute e al timore di rischio della vita in regime carcerario, lo stesso era ristretto dal 30 agosto 2013 presso la Casa circondariale di Messina con annesso Centro clinico, e già la consulenza psichiatrica disposta durante il suo ricovero dal 19 al 28 agosto 2013 presso l’Azienda ospedaliera di Trapani aveva riscontrato in atto una modica quota di ansia e note depressive - in ordine alla perdita di dieci chilogrammi di peso da parte del ricorrente, riferita dal consulente di parte come verificatasi in tre mesi senza indicazione del periodo temporale di riferimento, il dato, da intendersi relativo al periodo compreso tra la data di ingresso al carcere del medesimo 1 febbraio 2013 e quella della visita medica 5 maggio 2013 , era contraddetto dalle emergenze della stessa cartella clinica prodotta dalla difesa - quando alla sindrome di Marfan, indicata nella consulenza di parte come affezione a carico del ricorrente, non era supportata dalla indicazione degli accertamenti svolti la riferita certezza della sua diagnosi, mentre nella descritta documentazione acquisita era ripetuto il riferimento a una sospetta ovvero a probabile sindrome di Marfan, il cui accertamento supponeva un non dimostrato studio genetico, senza il riscontro di compromissioni a carico dell’apparato cardiovascolare, all’esito di visite specialistiche e dei richiamati esami diagnostici. 4. Le ragionevoli argomentazioni svolte dal Tribunale - che non ha rilevato patologie implicanti prognosi infausta quoad vitam del ricorrente e ha coerentemente disposto - a tutela del diritto alla salute del medesimo, avuto anche riguardo al suo decadimento psico-fisico, legato a problematiche familiari e alla sua condizione di ipovedente-non vedente , riferito nella più recente relazione sanitaria - una sua pertinente collocazione in Istituto penitenziario con annesso centro clinico e, a fronte dei riferiti propositi autosoppressivi , una grande sorveglianza - resistono alle censure difensive poste a fondamento del proposto ricorso. 4.1. Non ricorre, invero, il vizio di legittimità dedotto sotto il profilo dell’omesso espletamento di perizia medica sulle condizioni di salute del ricorrente e con riguardo al contestato vizio motivazionale, contestualmente eccepito. Il ricorrente con tale doglianza non ha tenuto conto del discorso giustificativo della decisione impugnata, che, nel suo specifico riferimento alle risultanze della più recente relazione sanitaria della Casa circondariale di Messina del 7 dicembre 2013, previo diffuso richiamo ai dati disponibili, ha esaustivamente rappresentato l’univoca emergenza della insussistenza in atto di una incompatibilità fra ambiente carcerario e condizioni di salute e dell’adeguata fronteggiabilità di queste ultime con le terapie e i controlli attivati e ulteriormente attivabili in regime detentivo, e ha evidenziato in positivo la concludente idoneità allo stato di tali evidenze ai fini della valutazione del quadro clinico, escludente come tale la necessità di acquisizione di ulteriori elementi di valutazione. 4.2. Né induce a diversa riflessione il richiamo operato dal ricorrente alle perizie, intermedia e definitiva, svolte nel 2006 dal dott. A. , nominato dal Tribunale in occasione della sua richiesta di riesame, e alla loro conclusione nel senso che le sue condizioni di salute all’epoca non erano compatibili con il regime detentivo ordinario, posta a base della concessione, con ordinanza dell’11 aprile 2006, della misura degli arresti domiciliari per motivi di salute. 4.2.1. In diritto deve, infatti, sottolinearsi la peculiarità dell’istituto del differimento dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica e dei suoi presupposti, più volte evidenziata da questa Corte e apprezzata come ostativa alla trasmigrazione di istituti e di valutazioni dalla fase cautelare a quella esecutiva della condanna, caratterizzata dalla tendenziale definitività della condizione detentiva. Si è, in particolare, condivisibilmente affermato che, ai fini della concessione del detto differimento, occorre avere riguardo a tre principi costituzionali il principio di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e, infine, quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo. Ne consegue che a le pene legittimamente inflitte devono essere eseguite nei confronti di coloro che le hanno riportate b l’esecuzione della pena non è preclusa da eventuali stati morbosi del condannato, suscettibili di un generico miglioramento per effetto del ritorno in libertà c uno stato morboso del condannato in tanto legittima il rinvio dell’esecuzione, in quanto la prognosi sia infausta quoad vitam ovvero il soggetto possa giovarsi in libertà di cure e trattamenti indispensabili non praticabili in stato di detenzione, neanche mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura, ovvero ancora, a cagione della gravità delle condizioni, l’espiazione della pena si riveli in contrasto con il senso di umanità . Sez. 1, n. 45758 del 14/11/2007, citata, in motivazione Sez. 1, n. 26806 del 27/05/2008, citata, in motivazione Sez. 1, n. 28555 del 18/06/2008, citata, in motivazione . 4.2.2. In fatto deve, poi, rilevarsi che il richiamo alle predette risalenti perizie è funzionale, nella prospettazione difensiva, alla dimostrazione della sussistente pregressa diagnosi di affezione del ricorrente da sindrome di Marfan, che per essere progressiva non avrebbe potuto essere ritenuta non sussistente dal Tribunale con l’ordinanza impugnata. Tale analisi, tuttavia, si risolve in un diffuso dissenso di merito rispetto alla lettura delle emergenze processuali condotta dal Tribunale, che ha più volte sottolineato che la indicata sindrome, non suffragata da elementi oggettivi e analisi strumentali è sempre stata giudicata sospetta o probabile alla luce della documentazione, che ha richiamato anche in termini testuali in essa compresa la relazione di dimissione dall’Ospedale civico di Palermo del 20 marzo 2006 , e della quale è sollecitata, attraverso l’assunta ricorrenza di ragioni di travisamento, una inammissibile generica rilettura alla luce della riferita, e non considerata, natura degenerativa della malattia. 4.3. Non ha maggiore specificità l’osservazione difensiva che riguarda la denunciata errata motivazione e l’eccepito travisamento circa il coinvolgimento dell’apparato cardiovascolare che ha interessato il ricorrente per effetto della sindrome, dalla quale sostiene di essere affetto, poiché l’assenza di alcun riscontro alla compromissione di tale apparato, rilevata dal Tribunale in risposta alla osservazione difensiva, è contestata attraverso il richiamo contenuto nella relazione sanitaria del 7 dicembre 2013 all’elenco delle richieste ed eseguite consulenze , che rimanda, tra le altre, a una consulenza cardiologica e alle ragioni del suo espletamento, senza attestare né la predetta sindrome né la enunciata patologia cardiaca. Anche sul punto relativo alla questione della perdita del peso corporeo la censura, che in via di contrapposizione argomentativa si sofferma sulla lettura alternativa di emergenze fattuali o logiche tratte da atti, quale il diario clinico, neppure allegati, sfocia nell’aspecificità, in difetto di correlazione con l’argomentazione del Tribunale motivatamente e non illogicamente resa al riguardo. 4.4. Il ricorrente, inoltre, nell’appuntare le sue doglianze sugli indicati elementi che ha ritenuto dimostrativi di uno stato patologico, incompatibile con il regime carcerario per la inidoneità/incapacità della struttura a curarlo e contrastante con il senso di umanità, ha infondatamente omesso di considerare, e di svolgere una critica puntuale, che -mentre non è risultata la sussistenza di situazioni eccezionali idonee a giustificare una deroga al principio della immediata esecuzione della pena nel rispetto del principio di uguaglianza dei condannati dinanzi alla legge, né è stata prospettata la possibilità di somministrazione, o la già avvenuta somministrazione in stato di libertà, di cure diverse e dotate di maggiore efficacia - l’analisi del Tribunale ha ragionevolmente posto in luce l’adeguatezza e la regolarità del monitoraggio delle sue condizioni di salute, l’assenza di controlli nel suo pregresso stato di libertà, la sua pericolosità e il suo lungo fine pena. 5. Al rigetto del ricorso per le indicate ragioni segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente processuali.