L’imputato chiede di assistere all’udienza camerale ma non viene tradotto in aula: tutto nullo

L’omessa traduzione dell’imputato, in stato di restrizione della libertà personale, alla udienza camerale in cui si deve decidere della sua responsabilità integra una nullità di ordine generale, assoluta ed insanabile anche della sentenza conclusiva.

Le accuse e la decisione impugnata. Il ricorrente in Cassazione Cass., n. 11588/2016, depositata il 18 marzo impugnava la sentenza della Corte di Appello con la quale era stato dichiarato responsabile dei reati di tentato incendio aggravato nonché di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione e dall'uso di un mezzo insidioso ai danni della donna che aveva una relazione sentimentale con suo padre. Era risultato provato, infatti, sulla base degli atti e delle stesse dichiarazioni dell'imputato, che questi, dopo una accesa discussione telefonica con la donna, aveva deciso di appiccare il fuoco alla casa di costei. Inoltre, aveva anche tentato di impedirle di uscire dalla abitazione in fiamme mediante l'inserimento di una lamella metallica nella serratura della porta che, pertanto, non si sarebbe aperta all'occorrenza. La Corte di Appello nella propria sentenza rappresentava come l'azione posta in essere dall'appellante, per le intrinseche caratteristiche, era palesemente ed inequivocabilmente diretta a ledere gravemente o cagionare la morte della persona offesa e, per le sue oggettive modalità, era anche idonea a cagionarne la morte secondo la corretta valutazione ex ante, non pregiudicata dall'osservazione difensiva afferente alla modestia del quantitativo di benzina utilizzato che, comunque, aveva permesso lo sviluppo delle fiamme e la propagazione del fumo nell'alloggio della persona offesa. La Corte, inoltre, rappresentava che il dolo alternativo dell'appellante, che aveva sorretto la azione di costui, era evidenziato da multipli elementi fattuali come l'incontenibile odio che lo induceva a sopprimere la persona offesa l'inserimento nella serratura della porta dell'abitazione della lamella metallica il lavaggio dei pantaloni dopo aver appiccato le fiamme l'aver agito in ora notturna con la consapevolezza della presenza della donna in casa la cui morte poteva conseguire alla asfissia dipendente dalle esalazioni del materiale incendiato nonché la negazione di aver appiccato il menzionato incendio. Inoltre, la Corte aveva ritenuto priva di fondamento l'osservazione difensiva secondo cui il decesso della vittima non sarebbe stato rappresentabile come evento certo o altamente probabile dell'incendio. Tanto in quanto risulta nozione di comune esperienza la possibile estensione delle fiamme appiccate con liquido infiammabile alla soglia ed alla porta di un alloggio alle altre stanze, in presenza di beni infiammabili, provocando fumi ed esalazioni letali soprattutto se la porta è bloccata per impedire l'uscita. L’eccezione assorbente. Ma, prima di ogni altra cosa, ciò che l'appellante impugnava in Cassazione era l'omessa traduzione in camera di consiglio dell'imputato nonostante la formale richiesta tempestivamente proposta dallo stesso a tale scopo. Egli, detenuto presso la Casa Circondariale, con una dichiarazione allegata al ricorso, aveva infatti chiesto a mezzo dell'ufficio matricola di presenziare all'udienza camerale di appello nella quale si sarebbe discusso della propria responsabilità penale. Ebbene, gli Ermellini accoglievano il ricorso dell'uomo per la fondatezza del primo motivo che aveva carattere assorbente rispetto ai rilievi di merito, oggetto del secondo motivo. Il principio in diritto. La Suprema Corte rilevava in diritto che secondo il principio fissato dalle Sezioni Unite la mancata traduzione all'udienza camerale di appello perché non disposta o non eseguita dell'imputato che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza . Risultava provato, infatti, che l'imputato, detenuto nel luogo dove era stato celebrato il giudizio camerale di appello, aveva formulato la richiesta di comparire all'udienza assolvendo all'onere ex art 599, comma 2, c.p.p. di comunicare al giudice, con le modalità correlate al suo stato detentivo ed in tempi compatibili con la disponenda traduzione per l'udienza, il suo impedimento costituito dallo stato di detenzione e la sua volontà di essere presente nel giudizio. Mentre l'udienza era stata celebrata senza che la traduzione del richiedente, oggettivamente possibile, fosse stata disposta ovvero, e in ogni caso, eseguita a prescindere dalle ragioni -non imputabili al medesimo per le quali non fosse, di fatto, avvenuta. Le conseguenze. Il principio di diritto ribadito dalla Cassazione è, dunque, che l'omessa traduzione dell'imputato in stato di restrizione della libertà personale, a fronte di rituale richiesta di presenziare all'udienza, avendo precluso la partecipazione di questi alla instauranda e poi svolta unica udienza camerale in cui si doveva decidere della sua responsabilità, integra una nullità di ordine generale, assoluta ed insanabile dell'udienza camerale e degli atti successivi, compresa la sentenza conclusiva ai sensi del combinato disposto degli artt. 178, lett. c c.p.p. e 179, comma 1, ultima parte, c.p.p

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 aprile 2015 – 18 marzo 2016, n. 11588 Presidente Cortese – Relatore Tardio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 22 gennaio 2014, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del 21 febbraio 2013 del G.u.p. del Tribunale di Torino, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato B.D. responsabile dei reati di tentato incendio aggravato, così riqualificata l’ipotesi consumata descritta al capo 1 , e di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione e dall’uso di un mezzo insidioso, di cui al capo 2 , e l’aveva condannato, ritenuta la continuazione, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, e operata la riduzione per il rito, alla pena di anni sei di reclusione. 2. Era risultato provato, sulla base degli atti e delle stesse dichiarazioni dell’imputato, che il medesimo, dopo un’accesa discussione telefonica avvenuta il 2 settembre 2012 con Ba.Fi. , che aveva una relazione sentimentale con il padre, aveva deciso di appiccare il fuoco alla casa della donna e il giorno successivo, procuratasi la benzina, si era recato da omissis , ove risiedeva, a e aveva raggiunto, nella serata, l’abitazione della predetta, aveva gettato la benzina sulla porta del suo appartamento e aveva dato fuoco con un accendino al liquido infiammabile. 2.1. L’imputato senza contestare l’operata ricostruzione dei fatti aveva dedotto già in primo grado la mancanza di prova della sua volontà omicida, essendo il suo intento volto a compiere un gesto intimidatorio nei confronti della persona offesa. La sentenza di primo grado, che aveva ritenuto integrata la fattispecie criminosa ascritta, aveva, in particolare, apprezzato l’idoneità e la univoca direzione degli atti posti in essere dall’imputato a determinare la morte della Ba. , valorizzando la presenza di una lamella di ferro, accertata dai vigili del fuoco, che bloccava dall’esterno la serratura della porta di abitazione della medesima, sì da precluderle la possibilità di fuggire la possibile propagazione in un incendio delle fiamme, anche utilizzando una modesta quantità di benzina, ove non spente dalla persona offesa l’aver agito in ora notturna con la consapevolezza della presenza della stessa in casa, la cui morte poteva conseguire all’asfissia dipendente dalle esalazioni del materiale incendiato, e le precedenti gravi minacce rivoltelle. Era stata ravvisata, inoltre, la sussistenza del dolo quantomeno nella forma alternativa, poiché alla condotta tenuta dall’imputato potevano conseguire la morte o le lesioni della persona offesa, ove la stessa non si fosse resa conto delle fiamme e/o del fumo. Secondo il Giudice di primo grado, che aveva ritenuto sussistenti le aggravanti della premeditazione e del mezzo insidioso, il fatto descritto sub 1 aveva integrato il delitto di tentato incendio per avere l’imputato agito al solo scopo di provocare un rogo di notevoli dimensioni e capace di propagarsi all’intero alloggio della persona offesa, e per essersi verificato un concreto pericolo di incendio, neutralizzato solo dalla reazione tempestiva della vittima. 2.2. La Corte di appello, che diffusamente richiamava tali considerazioni della sentenza impugnata, le cui conclusioni in punto di fatto condivideva, si soffermava, nei limiti del devoluto, a ripercorrere le ragioni di censura espresse con i motivi di appello, e, in risposta alle stesse e a ragione della confermata qualificazione del fatto di cui al capo 2 come tentato omicidio aggravato - ripercorreva specificamente, innanzitutto, le emergenze fattuali sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, dalla teste S.A. , convivente dell’appellante, e da quest’ultimo in sede di interrogatorio - rimarcava che l’azione posta in essere dall’appellante, per le sue intrinseche caratteristiche, era palesemente e inequivocamente diretta a ledere gravemente o a cagionare la morte della persona offesa, e, per le sue oggettive modalità, era anche idonea a cagionarne la morte, secondo la corretta valutazione ex ante non pregiudicata dall’osservazione difensiva afferente alla modestia del quantitativo di benzina utilizzato, che aveva comunque permesso lo sviluppo delle fiamme e la propagazione del fumo nell’alloggio - rappresentava che il dolo alternativo, che aveva sorretto l’azione dell’appellante, era evidenziato da plurimi dati che ripercorreva l’incontenibile odio che lo induceva a sopprimere la persona offesa, l’esplicitata minaccia di volerle bruciare la casa, l’apposito viaggio a , l’inserimento nella serratura della porta dell’alloggio della lamella metallica, il lavaggio dei pantaloni dopo avere appiccato le fiamme, la negazione recisa di avere appiccato le fiamme - riteneva priva di fondamento l’affermazione difensiva che il decesso della vittima, non rappresentabile come evento certo o altamente probabile derivante dall’incendio, poteva seguire solo a una serie di circostanze difficilmente verificabili a priori e non controllabili dall’agente, essendo nozione di comune esperienza la possibile estensione delle fiamme, appiccate con liquido infiammabile alla soglia e alla porta di un alloggio, alle altre stanze in presenza dei beni infiammabili presenti, provocando fumi ed esalazioni letali, soprattutto se la porta fosse bloccata per impedire la fuga all’esterno. Né, secondo la Corte, avevano fondamento le doglianze afferenti alla non esclusa recidiva e al trattamento sanzionatorio. 3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il suo difensore avv. Basilio Foti, che ne chiede l’annullamento sulla base di due motivi. 3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c , cod. proc. pen., la nullità della sentenza per la sua mancata partecipazione all’udienza per omessa traduzione. Egli, detenuto presso la Casa circondariale omissis , con dichiarazione del 16 gennaio 2014, allegata al ricorso, aveva chiesto a mezzo dell’Ufficio matricola di presenziare all’udienza del 22 gennaio 2014, senza tuttavia essere tradotto. Tale mancata traduzione ha comportato la nullità assoluta e insanabile dell’udienza e della sentenza, secondo i principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte anche a Sezioni unite. 3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in merito alla ritenuta sussistenza della fattispecie di tentato omicidio di cui al capo 2 . Secondo il ricorrente, la Corte di appello è incorsa nel detto vizio per avere illogicamente ravvisati la idoneità degli atti e l’elemento psicologico del reato quantomeno nelle forme del dolo alternativo , in particolare svolgendo un ragionamento generico di tipo presuntivo quando ha affermato che l’avere cosparso di liquido infiammabile la porta dell’alloggio e la relativa soglia rendeva possibile la propagazione del fuoco all’interno dello stesso, in contrasto con il dato oggettivo rappresentato dalla limitata quantità di liquido infiammabile da lui versato e senza considerare il difetto di prova della propagabilità delle fiamme e della messa in pericolo della incolumità persona offesa, ove non intervenuta. Né, ad avviso del ricorrente, vi è prova che egli sapesse che la persona offesa fosse in casa, mentre la minaccia di bruciare la casa è sintomatica della sua reale intenzione e il suo apposito trasferimento da Reggio Emilia a Torino nulla dimostra. Neppure, richiamati i principi di diritto in tema di caratterizzazione del dolo, la condotta descritta è idonea a ricostruire l’elemento soggettivo del reato nei termini del dolo alternativo e non eventuale, essendo il buon esito per l’agente dell’azione incerto rispetto alle modalità della condotta in quanto conseguente a circostanze favorevoli sempre per l’agente , ma difficilmente verificabili a priori e comunque non controllabili. La possibilità della morte della persona offesa a causa della sua condotta non è andata, ad avviso del ricorrente, oltre l’accettazione del rischio di tale evento, oggettivamente improbabile per le modalità dell’azione. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere accolto per la fondatezza del primo motivo, che ha carattere assorbente rispetto ai rilievi di merito, oggetto del secondo motivo. 2. Si rileva in diritto che, secondo il principio di diritto fissato dalle Sezioni unite di questa Corte Sez. U, n. 35399 del 24/06/2010, dep. 01/10/2010, F. Rv. 247836 conforme, Sez. 4, n. 51517 del 21/06/2013, dep. 20/12/2013, Bagno, Rv. 257876. , la mancata traduzione all’udienza camerale d’appello, perché non disposta o non eseguita, dell’imputato che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza . 3. Alla stregua di detto condiviso principio - del quale le Sezioni unite hanno rimarcato la conformità, in coerenza a quanto già rilevato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 45 del 1991, ai principi enucleabili dall’art. 111 Cost., dall’art. 6, comma 3, lett. c , d ed e della Convenzione EDU e dall’art. 14, comma 3, lett. d , e ed f del Patto internazionale sui diritti civili e politici - è fondata la denunciata incorsa violazione di norma processuale. 4. La fattispecie in esame è, invero, riconducibile alla ipotesi oggetto del predetto arresto giurisprudenziale, essendosi il processo di primo grado svolto con rito abbreviato ed essendosi tenuto il processo di appello, a norma dell’art. 443, comma 4, cod. proc. pen., nelle forme del giudizio camerale, previsto dall’art. 599 cod. proc. pen., come risulta dalla sentenza impugnata. Tale emergenza è confermata dall’esame degli atti, l’accesso ai quali è consentito a questa Corte, che è giudice anche del fatto quando è dedotto, come nella specie, un error in procedendo ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d , cod. proc. pen. Sez. U, n. 4292 del 31/10/2001, dep. 28/11/2001, Policastro, Rv. 220092 tra le successive, Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, dep. 21/02/2013, Chahid, Rv. 255304 . 4.1. Dagli atti risulta, in particolare, che - con decreto del 6 novembre 2013 è stata fissata l’udienza in camera di consiglio del 22 gennaio 2014 per la trattazione dinanzi alla sezione quarta penale della Corte di appello di Torino dell’appello proposto avverso la sentenza del 21 febbraio 2013 del G.u.p. del Tribunale di Torino da B.D. , attualmente detenuto c/o Casa circondariale di OMISSIS - detto decreto, notificato all’imputato, detenuto presso detto Istituto, l’8 novembre 2013, conteneva, tra l’altro, l’ordine della traduzione avanti a questa Corte, per il giorno e l’ora indicati, degli imputati che si trovano ristretti nelle case circondariali del distretto e che ne facciano tempestiva richiesta - l’udienza del 22 gennaio 2014 si è svolta nell’assenza dell’imputato e alla presenza del suo difensore di fiducia e del Procuratore Generale - con decreto a margine della richiesta difensiva del 30 aprile 2014 di acquisizione della certificazione per estratto della richiesta di traduzione all’udienza di appello, formulata dall’imputato il 16 gennaio 2014, presso l’Ufficio matricola della indicata Casa circondariale, il Presidente della sezione quarta penale della Corte di appello di Torino ha dichiarato non luogo a provvedere, dovendo essere richiesta la documentazione, ove esistente, direttamente dalla difesa al pertinente Ufficio. 4.2. Dalla svolta verifica presso la Direzione della Casa circondariale OMISSIS , indotta dalla produzione -in allegato al ricorso - della richiesta del detenuto Bevilacqua ai sensi dell’art. 123 cod. proc. pen. di poter presenziare avanti la controscritta udienza del 22 gennaio 2014, e riscontrata con nota in data odierna, risulta, inoltre, che la traduzione, di cui alla richiesta estratta dal relativo registro n. reg. 298 e numero d’ordine 19 , non è stata effettuata per essere l’Ufficio sprovvisto di ordine di traduzione, che doveva essere emesso dalla Corte App. Sez. 4^ . 4.3. Consegue a detti rilievi fattuali che l’imputato, detenuto a Torino dove è stato celebrato il giudizio camerale di appello, ha formulato richiesta di comparire all’udienza, assolvendo all’onere, legislativamente impostogli dall’art. 599, comma 2, cod. proc. pen. di comunicare al giudice - con le modalità correlate al suo stato detentivo e in tempi compatibili con la disponenda traduzione per l’udienza - il suo impedimento costituito dallo stato di detenzione e la sua volontà di essere presente nel giudizio, mentre l’udienza unica nell’instaurato giudizio è stata celebrata senza che la traduzione del richiedente, oggettivamente possibile, fosse stata disposta ovvero, e in ogni caso, eseguita, a prescindere dalle ragioni, non imputabili al medesimo, per le quali non sia di fatto avvenuta. 5. L’omessa traduzione dell’imputato in stato di restrizione della libertà personale, a fronte di rituale richiesta di presenziare all’udienza, avendo precluso la partecipazione dell’imputato appellante alla instauranda e poi svolta udienza camerale in cui si doveva decideva della sua responsabilità, integra, alla luce dei predetti principi, una nullità di ordine generale, assoluta e insanabile dell’udienza camerale e degli atti successivi, compresa la sentenza conclusiva, ai sensi del combinato disposto degli artt. 178, lett. c , cod. proc. pen. e 179, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen 6. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.