Tirocinio professionale: è equiparabile al bisogno lavorativo da porre in comparazione con l’esigenza cautelare?

La valutazione comparativa, tra esigenza di svolgere un’attività meritevole o indispensabile lontano dal luogo di esecuzione della misura cautelare ed esigenze cautelari, deve essere improntata a canoni di rigore che devono essere trasfusi in motivazione ai fini del controllo della decisione.

E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11406/16, depositata il 17 marzo Il caso. Un indagato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari chiedeva la possibilità di allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura coercitiva per lo svolgimento di un tirocinio professionale presso un bar. Il Tribunale monocratico rigettava con ordinanza la richiesta così come il Tribunale collegiale rigettava l’appello proposto avverso detto provvedimento. Il Tribunale si limitava ad osservare che lo svolgimento del tirocinio professionale non era riconducibile alle indispensabili esigenze di vita che consentono, previa valutazione comparativa, l’allontanamento dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari. Di qui il ricorso in Cassazione con cui si lamentava il carente impianto motivazionale della decisione e a monte la mancata valutazione comparativa tra le esigenze del sottoposto a misura cautelare e le esigenze cautelari legittimanti la misura. L’autorizzazione o meno incide sulla libertà personale? Il provvedimento di concessione o diniego dell’autorizzazione all’indagato sottoposto a misura coercitiva di assentarsi al fine dello svolgimento di attività lavorativa, secondo un orientamento giurisprudenziale risalente, è inoppugnabile e nemmeno ricorribile in cassazione perché non inciderebbe direttamene sulla libertà personale. certamente incide sul regime cautelare. La stessa giurisprudenza di legittimità ha però precisato che l’autorizzazione ad allontanarsi dal luogo degli arresti domiciliari costituisce una modalità di carattere permanente che incide in modo apprezzabile sul regime cautelare, con la conseguenza che il provvedimento di cui si discute è qualificabile come ordinanza in materia di misure cautelari sicché è ammissibile l’impugnazione di merito e il ricorso davanti alla Corte di cassazione. Necessaria comparazione con le esigenze cautelari. La concessione del beneficio dell’allontanamento dal luogo di esecuzione della misura cautelare è subordinata alla valutazione della compatibilità dell’attività lavorativa esterna con le esigenze cautelari poste a base della misura domiciliare applicata. Il giudice di merito – richiesto del beneficio” del temporaneo allontanamento dal luogo di esecuzione degli arresti – deve giudicare la compatibilità dell’attività lavorativa proposta in concreto e delle esigenze cautelari poste specificamente a base della misura coercitiva ciò considerato che la concessione di allontanarsi da casa per apprezzabili periodi di tempo potrebbe vanificare i controlli necessari ai fini cautelari e frustrare e vanificare le esigenze cautelari sottese alla misura in atto. Rigore nell’autorizzare l’allontanamento domiciliare e nel motivare . È costante il precetto rivolto ai giudici di merito di attenersi a criteri di assoluto rigore nella valutazione che tenga conto delle peculiarità del caso concreto sia riguardo alle ragioni riconducibili al disposto del codice di rito sia riguardo alle specifiche esigenze cautelari che sorreggono la misura nella fattispecie effettiva. Tali criteri devono emergere anche nella trama motivazionale del provvedimento onde consentirne l’eventuale verifica. Due alternative ragioni. Il giudice può autorizzare l’allontanamento per provvedere a indispensabili esigenze di vita oppure per esercitare attività lavorativa nei casi di assoluta indigenza. Nel caso di assoluta indigenza dell’indagato, il metro di valutazione attiene ai bisogni primari dell’individuo e della sua famiglia, per ciò intendendosi necessità ulteriori rispetto alla sopravvivenza fisica, quali quelle relative alla comunicazione, all’educazione e alla salute. Appare superato dall’evolversi delle condizioni sociali ritenere che nella nozione rientri unicamente la sopravvivenza o l’indigenza assoluta. Tali bisogni – per rilevare ai fini in discorso – devono poter essere soddisfatti solo attraverso l’esercizio di attività lavorativa da parte del richiedente. Quanto all’altro requisito che legittima la concessione dell’autorizzazione di allontanamento, è stato ritenuto che non costituisca indispensabile esigenza di vita il soddisfacimento dei bisogni spirituali o religiosi dell’indagato. Motivazione insufficiente. Nel caso in esame la motivazione dell’impugnato provvedimento di rigetto è giudicata carente specie riguardo il significato da attribuire all’assoluta indigenza e al diniego del connotato di indispensabilità delle esigenze di vita profilate nella richiesta di poter praticare un tirocinio professionale. Il Tribunale, infatti, sull’assunto che l’istanza di allontanamento era funzionale a garantire l’espletamento di indispensabili esigenze di vita, riteneva – senza alcuna argomentazione – che l’attività indicata tirocinio professionale riguardasse esigenze di vita non qualificabili come indispensabili né che l’istanza potesse essere accolta secondo il diverso criterio dell’assoluta indigenza. Mancata valutazione comparativa. A fronte di tali convinzioni espresse, a parere della Suprema Corte, senza adeguata motivazione, il Tribunale ha omesso di effettuare la concreta valutazione comparativa degli interessi in gioco e tesa, in concreto, a valutare se l’attività di tirocinio lavorativo si rivelasse compatibile o meno con le esigenze cautelari poste effettivamente alla base della misura coercitiva in esecuzione.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 23 febbraio – 17 marzo 2016, n. 11406 Presidente Blaiotta – Relatore Montagni Ritenuto in fatto 1. II Tribunale di Catania, con provvedimento in data 24.11.2015, decidendo sull'appello proposto dalla difesa di M.I. avverso l'ordinanza del 2.10.2015 con la quale il Tribunale Monocratico di Catania aveva rigettato la richiesta del prevenuto, sottoposto al regime degli arresti domiciliari, di allontanamento dal luogo di esecuzione della misura cautelare per lo svolgimento di un tirocinio professionale presso la ditta Bar Sport , rigettava l'impugnazione. Soffermandosi sul provvedimento di rigetto dell'istanza di allontanamento, il Collegio evidenziava, in primo luogo, che la richiesta era in realtà funzionale alla soddisfazione di indispensabili esigenze di vita del prevenuto e che, erroneamente, il Tribunale di Catania, nel provvedimento gravato, aveva di converso fatto riferimento alla mancanza di prova rispetto allo stato di assoluta indigenza dei richiedente. Ciò posto, il Tribunale considerava che la valutazione funzionale ad autorizzare il soggetto, sottoposto al regime degli arresti domiciliari, ad allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura cautelare, deve essere improntata a criteri di particolare rigore. Il Collegio osservava che lo svolgimento del piano di tirocinio professionale indicato nella richiesta che occupa era certamente riconducibile alle indispensabili esigenze di vita, richiamate dall'art. 284, comma 3, cod. proc. pen. rilevava, peraltro, che l'attività di tirocinio lavorativo indicata dal M. non appariva riconducibile all'area delle esigenze di vita caratterizzate da assoluta necessità e che la produzione documentale operata dal richiedente non comprovava lo stato di assoluta indigenza dell'esponente. 2. Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione M.I., a mezzo del difensore. L'esponente, dopo aver ripercorso la vicenda procedimentale che occupa, osserva che il Tribunale ha omesso di esaminare il tema di fondo, sotteso all'atto di appello, dato dal rapporto tra le indispensabili esigenze di vita dei prevenuto, involgenti anche l'accesso al mercato dei lavoro e le esigenze di tutela della collettività, che vengono in rilievo in tema di misure cautelari personali. Sul punto, il deducente osserva che, nel provvedimento impugnato, è mancata l'analisi comparativa tra esigenze di prevenzione sociale ed i diritti individuali di esternazione della personalità dell'indagato. E considera che il Tribunale, contraddittoriamente, dopo aver rilevato che il tirocinio richiesto era riconducibile alle indispensabili esigenze di vita, ha affermato che l'attività oggetto dell'istanza di allontanamento non rientrava nell'area delle esigenze di vita caratterizzate da assoluta necessità. Considerato in diritto 1. II ricorso in esame impone le considerazioni che seguono. Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale il provvedimento di diniego o di concessione all'indagato, che si trovi agli arresti domiciliari, dell'autorizzazione ad assentarsi per lo svolgimento di attività lavorativa, sarebbe inoppugnabile e neppure ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto non direttamente incidente sulla libertà. Si osserva, peraltro, che la Suprema Corte ha condivisibilmente chiarito che l'autorizzazione ad assentarsi dal luogo ove si scontano gli arresti domiciliari, prevista dall'art. 284, comma terzo, cod. proc. pen., risolvendosi in una modalità di carattere permanente che incide in misura apprezzabile sul regime cautelare, deve qualificarsi come ordinanza in materia di misure cautelari e che conseguentemente, avverso detto provvedimento deve ritenersi ammissibile l'impugnazione di merito e quindi il ricorso in cassazione cfr. Sezione 6, sentenza n. 4418 del 18.11.1994, dep. 25.01.2995, Rv. 200858 Sez. 1, Ordinanza n. 44320 del 30/09/2014, dep. 23/10/2014, Rv. 260810 . Il Collegio aderisce all'orientamento da ultimo richiamato - per condivise ragioni - di talché devono ritenersi esperibili, avverso i provvedimenti che incidono in misura apprezzabile sul regime cautelare e, dunque, sulla libertà personale, i mezzi impugnatori previsti in materia di misure cautelari personali, nel Capo VI, Libro IV, dei codice di procedura penale. 2. Tanto premesso, si osserva che il ricorso è fondato. Come noto, la valutazione relativa alla concessione del beneficio di cui all'art. 284, comma 3, cod. proc. pen., deve informarsi a criteri di particolare attenzione sulla compatibilità dell'attività lavorativa esterna, con le esigenze cautelari poste a base della applicata misura domiciliare. La Suprema Corte, infatti, ha chiarito che il giudice di merito deve tenere conto della compatibilità dell'attività lavorativa proposta, rispetto alle esigenze cautelari poste specificamente a base della misura coercitiva, giacché la possibilità per l'indagato di restare fuori di casa per considerevoli periodi della giornata potrebbe, in concreto, vanificare ogni possibilità di controllo, a fini cautelari Cass. Sez. 6, sentenza n. 12337, dei 25.2.2008, dep. 10.03.2008, Rv. 239316 . E' poi appena il caso di rilevare che, con riferimento alla condizione di assoluta indigenza del richiedente, secondo quanto previsto dall'art. 284, comma 3, cod. proc. pen., la Corte regolatrice ha affermato che la stessa deve essere riferita ai bisogni primari dell'individuo e dei familiari, ai quali può essere data risposta solo con l'esercizio dell'attività lavorativa e che nei bisogni primari bisogna ricomprendere necessità ulteriori rispetto alla sopravvivenza fisica, quali quelle relative alla comunicazione, all'educazione, alla salute ed altro cfr. Cass. Sez. 4, sentenza n. 10980 del 29.01.2007, dep. 15.03.2007, Rv. 236194 Cass. Sez. 3, sentenza n. 34253 del 15.07.2010, dep. 22.09.2010, Rv. 248228 . 3. E bene, la valutazione effettuata dal Tribunale risulta del tutto carente rispetto ai richiamati principi che, secondo diritto vivente, informano la nozione di assoluta indigenza, rilevante ai sensi dell'art. 284, comma 3, cod. proc. pen. Il Tribunale, dopo aver considerato che l'istanza di allontanamento dal luogo di esecuzione della misura degli arresti domiciliare era funzionale a garantire all'indagato l'espletamento di indispensabili esigenze di vita e non a superare lo stato di assoluta indigenza, ha apoditticamente affermato che tale attività non ineriva ad esigenze di vita qualificabili come indispensabili, senza offrire alcuna specifica giustificazione all'assunto. Il Collegio - richiamata la generale necessità di adottare criteri di rigore, nella materia di interesse, atteso che l'accoglimento delle istanze di allontanamento comporterebbe necessariamente la parziale neutralizzazione della misura cautelare degli arresti domiciliari - si è limitato ad affermare che il tirocinio lavorativo non poteva essere qualificato come indispensabile . A margine di tali rilievi, il Tribunale ha poi osservato che l'istanza non poteva trovare accoglimento, neppure rispetto al diverso criterio della assoluta indigenza, in difetto di adeguati elementi di prova la riguardo. 4. Come si vede, il Collegio ha in realtà omesso di effettuare la concreta valutazione comparativa, funzionale a verificare se l'attività di tirocinio lavorativo di cui si tratta fosse compatibile, o meno, rispetto alle esigenze cautelari, poste specificamente a base della misura coercitiva in atto. Si impone, pertanto, l'annullamento dei provvedimento impugnato, con rinvio al Tribunale di Catania, perché proceda a nuovo esame dell'appello proposto nell'interesse di M.I., avverso il provvedimento di diniego dell'autorizzazione ad assentarsi dal luogo di svolgimento della misura cautelare degli arresti domiciliari, alla luce dei principi di diritto sopra richiamati. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Catania per nuovo esame.