Dà del “mongolo” allo zio: condannato per un ‘sms’

Evidente la concretezza del reato contestato all’uomo, cioè quello di ingiuria. Nessun dubbio sul carattere offensivo delle parole, mongolo” e ladro”, rivolte dall’uomo al familiare.

Mongolo” e ladro”. Così, tramite messaggio, il nipote apostrofa lo zio. Logica, e non discutibile, la condanna per il reato di ingiuria. Evidente la carica offensiva delle parole utilizzate dall’uomo nei confronti del familiare Cassazione, sentenza n. 11416/16, sezione Quinta Penale, depositata oggi . Volgarità. Linea difensiva finalizzata, nel contesto della Cassazione, a sminuire il valore negativo dei termini adoperati dal nipote. Riferimento decisivo, secondo il legale, è l’ evoluzione dei costumi sociali . Ma tale visione modernista viene respinta in modo netto dai Giudici del ‘Palazzaccio’. Ciò perché pare lapalissiana, secondo i Magistrati, la carica offensiva del messaggio inviato dall’uomo al telefonino dello zio. Non discutibile il carattere oggettivamente ingiurioso delle parole utilizzate, cioè mongolo di m a” e ladro” ci si trova di fronte, spiegano i Giudici, a gratuiti e volgari insulti , assolutamente inaccettabili a prescindere dal contesto. Tutto ciò conduce alla conferma della condanna per il nipote.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 novembre 2015 – 17 marzo 2016, n. 11416 Presidente Lapalorcia – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata il Tribunale di Lucca ha confermato la condanna. di T.M. per il reato di ingiuria commesso ai danni dello zio P. G.P. inviandogli un messaggio sms. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato a mezzo del proprio difensore deducendo errata applicazione della legge penale attesa l'inoffensività della condotta contestata alla luce dell'evoluzione dei costumi sociali. Considerato in diritto 1. II ricorso è inammissibile. 2. Manifestamente infondata è infatti la pretesa del ricorrente di svalutare la carica offensiva dei messaggio trasmesso al P In tema di tutela dell'onore, ancorché in generale, al fine di accertare se sia stato leso il bene protetto dall'art. 594 c.p., è necessario fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alla personalità dell'offeso e dell'offensore ed al contesto nel quale la frase ingiuriosa sia stata pronunciata, esistono, tuttavia, limiti invalicabili, posti dall'art. 2 Cost., a tutela della dignità umana, di guisa che alcune modalità espressive sono oggettivamente e dunque per l'intrinseca carica di disprezzo e dileggio che esse manifestano e/o per la riconoscibile volontà di umiliare il destinatario da considerarsi offensive e, quindi, inaccettabili in qualsiasi contesto pronunciate, tranne che siano riconoscibilmente utilizzate ioci causa ex multis Sez. 5, n. 19070 dei 27/03/2015 - dep. 07/05/2015, Foti, Rv. 263711 . In tal senso immune da censure è la valutazione compiuta dai giudici di merito in ordine al carattere oggettivamente ingiurioso dei termini quali mongolo di merda e ladro dispiegati dall'imputato, che si riducono a gratuiti e volgari insulti e che sono tuttora considerati tali anche tenendo conto dell'invocata evoluzione della percezione sociale dell'uso del linguaggio. 3. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorso consegue ai sensi dell'art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende