Quali i criteri per la determinazione della procedibilità d’ufficio o a querela?

La procedibilità d’ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall’art. 609-septies, comma 4, n. 4, c.p. si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale, ma anche quando vi è connessione in senso materiale, cioè ogniqualvolta l’indagine sul reato perseguibile d’ufficio comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l’uno in occasione dell’altro, oppure l’uno per occultare l’altro, oppure ancora in uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell’art. 371 c.p.p

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10781/2016, depositata il 15 marzo. Il caso. La Corte di Appello di Torino confermava la statuizione di prime cure sulla cui scorta A.G. era stato condannato per i reati di violenza sessuale e cessione di stupefacenti. Avverso tale sentenza ricorreva per cassazione l’imputato, deducendo, tra gli altri, in primis , inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 120, 609- bis , 609- septies c.p. e 336 e 337 c.p.p., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta esistenza della condizione di procedibilità, per avere la Corte territoriale desunto la volontà della parte offesa di procedere penalmente nei confronti dell’imputato pur in assenza di una formale querela, in tal modo confondendo questo atto con la denuncia, non considerando così che per la querela si richiede un quid pluris consistente in una manifestazione di volontà chiara ed equivoca. In secundis , lamenta la sussistenza di un vizio motivazionale con riferimento al giudizio di attendibilità della persona offesa. Infine, ha dedotto la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. La procedibilità d’ufficio nell’ambito dei reati di violenza sessuale. I Supremi Giudici hanno preliminarmente chiarito come la verifica circa la volontà di querelare o meno costituisca giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità, sempreché l’interpretazione di tale volontà, in tutti i suoi elementi, sia compiuta in conformità ai canoni logico - giuridici di ermeneutica. Inoltre, in materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilità d’ufficio determinata dall’ipotesi di connessione prevista dall’art. 609- septies , comma 4, n. 4, c.p. si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale, ma anche quando vi è connessione in senso materiale, cioè ogniqualvolta l’indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l’uno in occasione dell’altro, oppure l’uno per occultare l’altro, oppure ancora in uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell’art. 371 c.p.p Fermo restando che la procedibilità d’ufficio per il delitto di violenza sessuale in caso di connessione prevista dall’art. 609- septies c.p. con altro delitto perseguibile d’ufficio ricomprende non soltanto quella teleologica o materiale, ma altresì qualsiasi ipotesi di connessione idonea a far venire meno le esigenze di riservatezza collegate al reato di cui all’art. 609- bis c.p Infine, è opportuno ricordare che i reati di violenza sessuale sono procedibili senza necessità di querela anche nell’ipotesi di collegamento investigativo rilevante a norma dell’art. 371, comma 2, c.p.p., con altra fattispecie procedibile d’ufficio, trattandosi di soluzione che non si fonda su di un’analogia in malam partem ma di una interpretazione estensiva della situazione di connessione indicata dall’art. 609- septies , n. 4, c.p.p., giustificata dal venir meno, con l’avvio delle indagini sul reato collegato, delle esigenze di riservatezza della persona offesa. La valutazione delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa. Come più volte affermato da questa Corte, le dichiarazioni della persona offesa possono essere assunte anche da sole come fonte di prova, ove sottoposte ad un vaglio positivo di credibilità oggettiva e soggettiva, e non sussistano elementi, anche solo indiziari, di segno opposto che possano indurre a dubitare dell’attendibilità di tali dichiarazioni, nel qual caso il giudice di merito è chiamato a valutarli criticamente e ad esprimere la ragione del suo convincimento. Tra l’altro, le Sezioni Unite hanno anche chiarito che le regole dettate dall’art. 192, comma 3, c.p.p., non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che, peraltro, deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. La concessione delle attenuanti generiche. I Supremi Giudici hanno chiarito che la concessione delle circostanze attenuanti, di cui all’art. 62- bis c.p., ha carattere facoltativo o discrezionale, in quanto rimessa al prudente apprezzamento del giudice, e che ai fini della concessione di tale beneficio il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra quelli di cui all’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 gennaio – 15 marzo 2016, n. 10781 Presidente Fiale – Relatore Masi Ritenuto in fatto La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 24/10/2014, ha respinto il gravame proposto da A.G. e confermato - in parte qua - la sentenza in data 23/1/2012 con cui il G.U.P. del Tribunale di Saluzzo aveva dichiarato l’imputato responsabile dei reati di violenza sessuale, riqualificati i fatti contestati al capo a dell’imputazione e ricondotti gli stessi all’ipotesi criminosa di cui all’art. 609 bis, comma 3, c.p., e cessione di stupefacente di tipo hashish, ipotesi di lieve entità, punibile ai sensi dell’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990, contestata al capo c , e con la continuazione, ha condannato il predetto alla pena - sospesa - di anni uno e mesi due di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte offesa, O.S. , costituitasi parte civile, alla quale è stata anche liquidata una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 15.000. All’A. viene contestato di aver con violenza, consistita nel tirare i capelli alla vittima, nel tapparle la bocca con la mano, nell’avvolgerla strettamente nella coperta e nel tirarle con forza i capezzoli, introdotto ripetutamente le dita nell’ano e nella vagina della O. , costringendola in tal modo a subire atti sessuali contro la sua volontà, ed anche di aver ceduto alla donna stupefacente di tipo hashish, condotte tutte poste in essere tra 11 ed il 2 maggio del 2010, in una baita sita nel Comune di omissis , dove la parte offesa era stata condotta dall’imputato, conosciuto nei giorni precedenti. L’A. propone, tramite difensore fiduciario, ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi e conclude per l’annullamento della impugnata sentenza di appello, con ogni conseguente statuizione. Con il primo motivo di doglianza, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b , c ed e , c.p.p., si deduce, inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 120 ss.gg., 609 bis, 609 septies, commi 1 e 4, 336 e 337 c.p.p., mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta esistenza della condizione di procedibilità, per aver la Corte territoriale desunto la volontà della parte offesa di procedere penalmente nei confronti dell’imputato pur in assenza di una formale querela, in tal modo confondendo questo atto con la denuncia, non considerando così che per la querela si richiede un quid pluris consistente in una manifestazione di volontà chiara ed in equivoca. Si censura in ogni caso la decisione assunta dalla Corte territoriale di dare rilievo, senza però motivare sul punto, alla connessione, ex art. 609 septies, comma 4, c.p., tra il reato di violenza sessuale e quello di cui all’art. 73 T.U. stupefacenti, contestato al capo c della rubrica, che renderebbe il primo procedibile d’ufficio. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. e , c.p.p., si deduce, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in ordine all’affermata responsabilità dell’A. per il reato di cui all’art. 609 bis, commi 1 e 3 c.p., per aver la Corte territoriale confermato il giudizio di attendibilità della O. , pur trattandosi di persona affetta da disturbi psichici, come acclarato nel corso delle indagini all’esito degli accertamenti tecnici disposti dal P.M., avendo il Giudice del gravame, in più di un passaggio motivazionale della sentenza, integrato o interpretato il racconto della parte offesa, al fine di renderlo coerente ed immune da critiche, in tal modo conferendo attendibilità alle dichiarazioni accusatorie. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. b , c ed e , c.p.p., si deduce, inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 73 e 75 D.P.R. n. 309/1990, nonché degli artt. 521 e 522 c.p.p., in ordine alla necessaria correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato per la cessione alla donna di stupefacente di tipo hashish, in quanto la sentenza impugnata richiama per relationem la motivazione di quella di primo grado in cui si afferma che la O. aveva consumato insieme all’A. la droga, sia nel pomeriggio del primo giorno di maggio, che -la notte successiva, quella in cui la donna aveva subito le violenze sessuali, laddove la contestazione riguarda invece un unico fatto, per quantitativo imprecisato. La sentenza, ad avviso del ricorrente, non tiene conto delle dichiarazioni rese dagli originari coimputati C.A. e B.P. , i quali hanno negato di aver fatto uso di sostanze stupefacenti in occasione della grigliata del primo di maggio, nonché dei principi giurisprudenziali elaborati in materia di consumo di gruppo di stupefacenti. Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. b , ed e , c.p.p., si deduce, inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62 bis e 133 c.p., mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, per non avere la Corte territoriale dato conto del perché abbia svalutato il comportamento processuale dell’imputato che, seppur senza alcuna ammissione di responsabilità, aveva contribuito alla ricostruzione dei fatti. Anche sul punto la Corte territoriale si sarebbe limitata a richiamare per relationem quanto riportato nella sentenza di primo grado. Con il quinto motivo, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. b , ed e , c.p.p., si deduce, inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 185, comma 2, c.p. e 539, comma 2, c.p.p., mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per avere la Corte territoriale confermato la condanna dell’imputato al pagamento, in favore della costituta parte civile, di una provvisionale di Euro 15.000, oggetto di specifico motivo di gravame, senza dare conto dei criteri di liquidazione di un danno incerto e, allo stato degli atti, non esattamente quantificabile. Con memoria difensiva depositata il 7/1/2016, la difesa della costituta parte civile ha illustrato le ragioni che militano a favore della declaratoria di inammissibilità ovvero per il rigetto dei motivi di ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. L’A. si duole, con il primo motivo di ricorso, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, per aver la Corte territoriale desunto la volontà della parte offesa di procedere penalmente nei confronti dell’imputato pur in assenza di una formale querela, essendosi la O. limitata a denunciare il fatto, e per aver dato anche rilievo alla connessione, ex art. 609 septies, comma 4, c.p., tra il reato di violenza sessuale contestato al capo a dell’imputazione e quello di cui all’art. 73 T.U. stupefacenti, contestato al capo c , che rende il primo reato procedibile d’ufficio. La Corte territoriale, nel ritenere adeguatamente manifestata la volontà di querelarsi della persona offesa, ha innanzitutto posto in evidenza l’irrilevanza della qualificazione di denuncia attribuita alle dichiarazioni rese dalla O. il 5, 7 e 21 maggio 2010, dapprima ai C.C. e successivamente al P.M., ed invece la inequivocità della intenzione manifestata dalla parte offesa proprio davanti a quest’ultimo, perché si procedesse penalmente nei confronti dell’autore della violenza sessuale superando ogni dubbio al riguardo, avendo in tal modo il Giudice di appello dimostrato di aver considerato la complessiva condotta posta in essere dalla persona offesa come indicativa della sua volontà di querelarsi, in tale contesto valorizzando il contenuto delle dichiarazioni stesse. Le argomentazioni sviluppate sul punto dalla Corte del merito appaiono pienamente condivisibili, in quanto giuridicamente corrette ed in linea con la giurisprudenza di questa Corte unanime nel ritenere che, ai fini della validità della querela, non sono richieste formule sacramentali, essendo sufficiente la inequivoca manifestazione di volontà di perseguire penalmente il soggetto indicato. La verifica circa la volontà di querelarsi o meno costituisce giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità, sempreché l’interpretazione di tale volontà, in tutti i suoi elementi, sia compiuta in conformità ai canoni logico-giuridici di ermeneutica, che nel caso in esame sono stati rispettati Sez. 5 n. 8034 del 18/6/1999 Sez. 3 n. 14035 del 13/12/1986 . Ma la Corte territoriale ha indicato un ulteriore argomento per superare l’eccezione di improcedibilità dell’azione penale sollevata dalla difesa dell’imputato ed ha ritenuto di poter applicare l’art. 609 septies c.p., comma 4, n. 4, secondo cui il regime della procedibilità d’ufficio si estende al reato di violenza sessuale. Si deve qui riaffermare il principio, presente in numerose pronunce di questa Corte, secondo cui in materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilità d’ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall’art. 609 septies c.p., comma 4, n. 4, si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale art. 12 c.p.p. , ma anche quando v’è connessione in senso materiale, cioè ogni qualvolta l’indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l’uno in occasione dell’altro, oppure l’uno per occultare l’altro, oppure ancora in uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell’art. 371 c.p.p. Sez. 3, n. 2876 del 21/12/2006 dep. 25/1/2007, Rv. 236098, in un caso in cui, nell’affermare il principio, è stato peraltro specificato che presupposto della ricorrenza di una tale forma di connessione investigativa è l’avvio effettivo delle indagini in ordine al reato perseguibile di ufficio, Sez. 3, n. 32971 dell’8/7/2005, Rv. 232185, nonché Sez. 4 n. 13869 del 3/10/2000 dep. 5.4.2001, Rv. 219168 . Si è anche ribadito che la procedibilità d’ufficio per il delitto di violenza sessuale in caso di connessione - prevista dall’art. 609 septies c.p. - con altro delitto perseguibile d’ufficio, ricomprende, non soltanto quella telelogica o materiale, ma altresì qualsiasi ipotesi di connessione idonea a fare venire meno le esigenze di riservatezza collegate al reato di cui all’art. 609 bis c.p. Sez. 3, n. 47247 del 30/11/2005, Rv. 233016, Sez. 4, n. 2371 del 25/10/2000, Rv 218475 , ed ancora, che i reati di violenza sessuale sono procedibili senza necessità di querela anche nell’ipotesi di collegamento investigativo rilevante a norma dell’art. 371 c.p.p., comma 2, con altra fattispecie procedibile di ufficio, trattandosi di soluzione che non si fonda su di un’analogia in malam partem , ma di una interpretazione estensiva della situazione di connessione indicata dall’art. 609 septies c.p.p., n. 4, giustificata dal venir meno, con l’avvio delle indagini sul reato collegato, delle esigenze di riservatezza della persona offesa Sez. 3, n. 2856 del 16/10/2013, dep. il 22/01/2014, Rv. 258583 . Nel caso che ci occupa, i fatti di violenza sessuale e quelli di ripetute cessione di stupefacente, appaiono ictu oculi intimamente legati tra loro, in guisa tale da non potersi conoscere di quello perseguibile d’ufficio senza svelare la condotta integratrice dell’altro, all’uopo considerando che nei pantaloni precipitosamente indossati dalla O. , allorché si era data alla fuga dopo la violenza subita, ma appartenenti all’A. , vennero rinvenuti i gr. 4,5 di hashish, e che la donna aveva riferito agli inquirenti di come l’imputato le avesse fatto più volte consumare lo stupefacente per farla rilassare”, per farla dormire meglio”. Passando all’esame del secondo motivo di doglianza, le deduzioni della difesa dell’A. si incentrano essenzialmente sul giudizio di attendibilità della O. , in quanto persona affetta da disturbi psichici, ma le dettagliate e scrupolose sentenze della Corte di Appello di Torino e del Tribunale di Saluzzo, che concordano pienamente nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni - sicché la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico e complesso corpo argomentativo Sez. 4, n. 2008 del 17/9/2008, Rv. 38824, Sez. 1, n. 8868 del 26/6/2000, Rv. 216906 - lasciano ben poco spazio a censure di vizio di motivazione. Giova innanzitutto considerare, tenuto conto del nucleo essenziale delle doglianze difensive appuntate su un preteso vizio motivazionale, che la verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa asseritamente abusata, è rimessa alla prudente valutazione del giudice del merito. In tal caso, i limiti del sindacato di legittimità di questa Corte sono ancor più stringenti, in ragione dell’ampio margine di apprezzamento di tali dichiarazioni che ha il giudice di merito, peraltro maggiormente vicino alle fonti di prova ed in grado di valutarle. Giova poi ricordare che alla Corte di legittimità non è rimesso affatto un giudizio sul dissenso, pur motivato, del ricorrente in ordine al risultato del procedimento valutativo operato dal giudice di merito. Il ricorrente che argomenta in ordine all’attendibilità o inattendibilità della persona offesa asseritamente abusata, si colloca fuori dallo schema del giudizio di legittimità ed invoca inammissibilmente un ulteriore grado di merito. Oggetto della censura deve essere invece l’iter motivazionale e la connessione logica delle argomentazioni della sentenza impugnata, e ciò implica l’individuazione di un passaggio motivazionale - id est la concatenazione di due o più affermazioni - secondo un connettivo di vario genere d’inferenza, di conseguenzialità, di analogia, di continenza che il ricorrente censura perché - a suo avviso - Illogico o contraddittorio, utilizzando a tal fine anche atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame , ovvero anche soltanto l’isolamento di un’affermazione della sentenza impugnata che, in quanto meramente assertiva, risulti non porsi in connessione logica nel tessuto argomentativo della motivazione e che da adito ad una censura di mancanza di motivazione Sez. 3, n. 39129 dell’11/6/2014, P.F. ed altri, non massimata . Di conseguenza, non è sufficiente, per invocare il nuovo vizio motivazionale, che alcuni atti del procedimento siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione diversa, in tesi più persuasiva di quella operata nel provvedimento impugnato, occorre invece che le prove, che il ricorrente segnala a sostegno del suo assunto, siano decisive e dotate di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento svolto dal giudice, sì da rendere illogica o contraddittoria la motivazione. Tutto ciò premesso, con riferimento alla vicenda processuale in esame, deve osservarsi che le doglianze difensive ripercorrono, senza apprezzabili elementi di novità, Te censure già espresse nei motivi di appello e senza nemmeno tenere conto delle puntuali argomentazioni espresse dalla Corte territoriale che non si è sottratta ad un vaglio, necessariamente rigoroso, detta attendibilità della denunciante, proprio in ragione del diagnosticato disturbo della personalità la forte suggestionabilità, l’alternanza tra idealizzazione e svalutazione nelle relazioni affettive, la tendenza alla sdrammatizzazione ed alla vittimizzazione . Ma il Giudice del gravame ha sottolineato che il disturbo della personalità e le denunciate incoerenze nella narrazione della parte offesa non inficiano l’intrinseca veridicità delle accuse, stante l’assenza di particolari forme patologiche o psicotiche, ed ha dato rilievo invece ai numerosi dettagli forniti dalla donna, anche in sede di incidente probatorio, circa lo sviluppo delle avances dell’A. , lasciato solo dai suoi amici con la O. nella baita sita nel Comune di , la descrizione degli atti subiti nel corso della notte e sino al mattino successivo, ricostruiti secondo un racconto logico e credibile, tutti ossessivamente finalizzati a fiaccare la resistenza della vittima. Sicché talune incongruenze, come rilevato dai giudici di merito, non risultano avere particolare incidenza sul nucleo centrale della vicenda, che costituisce il fondamento degli addebiti mossi all’imputato, e non rendono inaffidabile la parte offesa proprio perché si spiegano logicamente con la sua personalità. Il procedimento valutativo delle risultanze processuali operato dai giudici di primo e secondo grado converge verso un giudizio unitario di attendibilità della teste, che mantiene ben distinta la questione della attendibilità della deposizione, da quella della verifica dell’idoneità mentale della teste che l’ha resa, in quanto una cosa è l’accertamento se la teste fosse nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in suo pregiudizio ed in grado quindi di riferire sugli stessi senza che la sua testimonianza potesse essere influenzata da eventuali alterazioni psichiche, valutazione demandabile al perito, altra cosa è la valutazione della sua attendibilità, avuto anche riguardo all’essenza di moventi calunniatori, accertamento riservato al giudice Sez. 3, n. 24264 del 27/05/2010 - dep. 24/06/2010, Rv. 247703 . Come più volte affermato da questa Corte, le dichiarazioni della persona offesa possono essere assunte anche da sole come fonte di prova, ove sottoposte ad un vaglio positivo di credibilità oggettiva e soggettiva, e non sussistano elementi, anche solo indiziari, di segno opposto che possano indurre a dubitare dell’attendibilità di tali dichiarazioni, nel qual caso il giudice di merito è chiamato a valutarli criticamente e ad esprimere la ragione del suo convincimento ex plurimis, Sez. 4, 21/6/2005, Poggi . Le Sezioni Unite di questa Corte, hanno anche chiarito che le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. U, n. 41461 del 19/07/201, dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214 . La Corte territoriale nel caso di specie ha provveduto anche a ricercare precisi riscontri alle dichiarazione rese dalla O. che ha tratto dall’esito degli accertamenti ginecologici edema ed escoriazioni vulvari da presumibile trauma da sfregamento , dai dolori alle parti intime riferiti dalla donna allorché si era presentata, sconvolta e piangente, presso l’abitazione del F. , come dal medesimo dichiarato, apparendo la diversa eziologia delle lesioni indicata dalla difesa dell’imputato, ipotesi congetturale, priva di alcuna scientifica verosimiglianza, dalle dichiarazioni rese ai medici del Pronto Soccorso in stato di agitazione e spavento circa la violenza subita, elementi tutti che non trovano altra plausibile spiegazione se non nel fatto che la donna aveva subito un grave trauma psichico. Lo stesso comportamento tenuto dall’A. ed il notevole ritardo con il quale lo stesso aveva cercato di rintracciare la vittima, dopo la consumazione della violenza sessuale, è stato valutato dalla Corte territoriale come ulteriore conferma della genuinità delle accuse. Anche il terzo motivo di doglianza va disatteso in quanto l’affermazione di responsabilità dell’imputato per la cessione alla donna di sostanza stupefacente di tipo hashish riposa su sicuri elementi probatori che, per quanto si legge nella impugnata sentenza, consistono nelle dichiarazioni rese dalla O. , non smentite dalla analisi di laboratorio cui la stessa è stata sottoposta, che hanno trovato riscontro nel ritrovamento della droga anche nell’abitazione dell’imputato, come da indicazioni fornite dalla donna agli inquirenti, sicché poco rilievo è stato attribuito alle diverse dichiarazioni rese sul punto dai coimputati. È appena il caso di osservare che per unanime giurisprudenza di questa Corte deve ritenersi pienamente ammissibile la motivazione di appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, soprattutto allorquando le censure formulate contro la decisione non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi 8ex multis, Sez. 2, n. 34891 del 16/5/2013, Rv. 256096, Sez. 3, n. 13926 dell’1/12/2011, dep. 12/4/2012, Rv. 252615 , che non è ravvisabile alcun difetto di correlazione tra capo d’imputazione contestata e sentenza, perché la contestazione in fatto ha sempre consentito all’imputato di difendersi Sez. U. n. 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051 , che nessun concreto pregiudizio l’odierno ricorrente può lamentare in ragione del minimo aumento di pena applicato a titolo di continuazione per il reato di cui al capo C , che non richiede una specifica motivazione Sez. 2, n. 2501 del 5/2/1992, Rv. 189295 . Per quanto concerne il quarto motivo di doglianza, che pure va disatteso, la Corte territoriale, facendo proprie le valutazioni del primo Giudice, ha confermato il diniego di concessione delle attenuanti generiche, in considerazione del negativo comportamento processuale tenuto dall’imputato. Questa Corte ha in più occasioni ribadito che la concessione delle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p. ha carattere facoltativo o discrezionale, in quanto rimessa al prudente apprezzamento del giudice, e che ai fini della concessione o del beneficio il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinarne o meno il riconoscimento, sicché anche un solo elemento, attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso, può essere ai fini qui considerati sufficiente Sez. 2, n. 3609 del 18/11/2011, Rv. 2491-63, Sez. 6, n. 4/12/2003, dep. 23/2/2004, Rv. 229768 . Quanto al quinto ed ultimo motivo di ricorso, va osservato che la Corte territoriale ha correttamente confermato la disposta condanna dell’A. al pagamento in favore della costituta parte civile di una provvisionale di Euro 15.000, stante il disposto di cui al secondo comma dell’articolo 539 c.p.p., che consente la condanna dell’imputato al pagamento di una provvisionale nei limiti del danno per cui il giudice ritiene già raggiunta la prova, che è applicabile anche al danno non patrimoniale sofferto dalla parte offesa. Del resto, il pregiudizio psicofisico, in mancanza di un accertamento medico legale, ben si presta ad una liquidazione equitativa, criterio che di per sé non sembra specificamente investito dalla censura del ricorrente, e comunque la determinazione della posta risarcitoria rientra tra i compiti attribuiti al giudice del merito Sez. 5, n. 38948 del 27/10/2006, Rv. 235024 . In applicazione dell’art. 616 c.p.p., al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civile O.S. , che liquida in Euro 2.500,00, oltre spese generali ed accessori di legge.