Non vi è “contestazione a catena” se la “desumibilità” consiste nella semplice “conoscenza” di determinate evenienze fattuali

La Suprema Corte ha avuto modo di riassumere l’intera disciplina delle contestazioni a catena”.

Con la decisione n. 10788/2016, la Suprema Corte ha avuto modo di riassumere l’intera disciplina delle contestazioni a catena” ed in particolar modo per il caso in cui tra i fatti oggetto dei procedimenti cautelari non sussista alcuna connessione ovvero sia configurabile una connessione non qualificata, id est diversa dal concorso formale, dalla continuazione o dal nesso teleologico, sottolineando peraltro quali requisiti debba avere il requisito della desumibilità dagli atti” ex art. 297, comma 3, c.p.p. perché si possa procedere alla retrodatazione. In sostanza, relativamente a tale ultimo aspetto, si è affermato che la desumibilità”, per essere rilevante ai fini del meccanismo di cui all’art. 297, comma 3, c.p.p., deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano in sé una specifica significanza processuale” ciò che si verifica allorquando il pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente sebbene modificabile nel proseguo delle indagini del panorama indiziario, tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo – in presenza di concrete esigenze cautelari – alla richiesta ed all’adozione di una misura cautelare . Alla luce di ciò si potrà escludere la desumibilità” allo stato degli atti allorché al momento dell’emissione della prima ordinanza non era stata ancora depositata al pubblico ministero un’informativa relativa a pregresse indagini sostanziatesi anche in intercettazioni, sulla base delle quale sia stata poi formulata la richiesta del successivo provvedimento, poiché in tal caso i due provvedimenti non [possono], in mancanza di un quadro indiziario e cautelare sufficientemente definito, essere adottati in un unico contesto temporale . Il caso. Nella specie era accaduto che il ricorrente lamentasse il fatto che il reato associativo contestato e sulla scorta del quale era stata emessa l’ordinanza di custodia cautelare fosse in realtà già conosciuto o comunque conoscibile nel momento della emissione di una prima ordinanza cautelare per altro reato, visto il contenuto delle intercettazioni a suo tempo effettuate. Se non che, la Suprema corte ha respinto il ricorso evidenziando come in realtà la notizia di reato in questione fosse pervenuta al pubblico ministero in data successiva all’emissione della prima ordinanza, sicché l’argomentazione del ricorrente dovesse intendersi priva di pregio. Peraltro la Corte ha avuto modo di ricordare come l’eventuale intervenuta scadenza dei termini determini un vizio dell’ordinanza cautelare solo nel caso in cui tale termine sia scaduto alla data dell’emissione della prima ordinanza in caso contrario si tratterà di far valere la semplice una istanza di revoca dell’ordinanza indebitamente emessa. Si è poi chiarito, in merito per la possibilità di convogliare le chiamate in partenza dall’estero in un nodo” situato in Italia procedura di instradamento non si deve procedere con l’uso delle rogatorie, posto che l’intercettazione in questione avviene interamente sul territorio italiano, atteso che il ricorso alle forme dell’assistenza giudiziaria all’estero è necessario unicamente per gli interventi da compiersi all’estero, per intercettazioni di conversazioni captate solo da un gestore straniero . Date queste premesse, la Corte di cassazione ha avuto facile gioco nel respingere il ricorso promosso. Conclusioni. I principi espressi nell’articolata motivazione corrispondono agli sviluppi più recenti della giurisprudenza ed appaiono ragionevoli. L’unico aspetto che forse può essere evidenziato è la necessità di riformulare, facendo propri gli interventi non solo delle Sezioni Unite sul punto ma soprattutto della Corte Costituzionale, la disciplina dell’art. 297, comma 3, c.p.p. essendo divenuta estremamente difficile da decifrare oltre che piuttosto complessa e frammentata. Nello stesso modo, una cristallizzazione o, se si preferisce, una definizione del concetto di desumibilità” non sarebbe affatto nefasta, ove venisse ancorata quanto meno ad alcuni atti tipici processuali nei quali la legge presume tale elemento. Dopo tutto, amando il legislatore contemporaneo, aggiungere commi e sotto-commi nonché eccezioni ad eccezioni e a s cadere assai spesso nella casistica, ben si potrebbe - nella foga legislativa del momento - indicare con precisione quando la legge processuale si intende certamente violata. In fondo, se sul punto non vi è chiarezza o non la si pretende, come può chiedersi il rispetto del diritto?

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 gennaio – 15 marzo 2016, numero 10788 Presidente Fiale – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 16.7.2015 il Tribunale di Reggio Calabria a seguito di istanza di riesame proposta nell'interesse dell'indagato R.R. avverso l'ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari dei Tribunale di Reggio Calabria in data 11.5.2015 confermava detta ordinanza. La misura cautelare era stata emessa per la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di cui agli artt. 110 e 73 comma 1 e 80 comma 2 d.P.R. 309/90 e di cui all'art 14 L numero 14672006 perché in concorso con D.M.F., D.M. V., G.R., e con persone non meglio identificate , acquistava, importava e trasportava un ingente quantitativo di cocaina, in particolare, 83 panetti di cocaina del peso complessivo di Kg 86, contenuti nel container FSCU4147025 imbarcato sulla MN\MSC Maureen partita dal porto di Santos BRA e giunta a quello di Gioia Tauro, dove cadevano in sequestro, caratterizzandosi la condotta del R. come attività finalizzata ad interfacciarsi con gli operatori portuali addetti al recupero dello stupefacente le esigenze cautelare ritenute sussistenti erano quelle di cui alla lettera c dell'art. 274 cod. procomma penumero . Il Tribunale rigettava l'istanza di riesame, ritenendo esistente un solido quadro di gravità indiziaria emergente dalle conversazioni intercettati e dalla sostanza stupefacente 83 panetti di cocaina per un peso complessivo di Kg 86 sequestrata presso il porto di Gioia Tauro, nonché le esigenze cautelari di cui alla lettera c dell'art. 274 cod. procomma penumero , evincibili dalle modalità della condotta e dalla personalità dei prevenuto riteneva, quindi, unica misura proporzionale e idonea quella di massimo grado applicata dal Giudice per le indagini preliminari. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale proponeva ricorso per cassazione la difesa dell'indagato, articolando ì motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. cod. procomma penumero a. Annullamento ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e cod. procomma penumero , in relazione all'art. 297 comma 3 cod. procomma penumero Il ricorrente deduce che l'ordinanza genetica di applicazione della misura attiene ad uno dei due procedimenti in cui si è articolata l'originaria vicenda giudiziaria, nota come operazione Buongustaio e, cioè, allo stralcio dei procedimento noto come Santa Fe . Nell'ambìto dell'ulteriore stralcio noto come Lupus in fabula , il R. è stato destinatario di altra e precedente ordinanza cautelare, emessa sulla base dell'imputazione relativa al delitto di cui ail'art. 416 bis cod. penumero , poiché gli viene contestato 4.l ruolo di organizzatore, con compiti di reperimento e detenzione di micidiali armi e munizionamento da guerra, nonché di pianificazione e supporto nelle azioni omicidiarie da compiere e spaccio di sostanze stupefacenti, in riferimento all'intera organizzazione criminale Ripercorre, poi, l'evoluzione giurisprudenziale della materia delle cd. contestazioni a catena e argomenta, quindi, che, nella specie, trova applicazione il disposto dell'art. 297 comma 3 cod. procomma penumero posto che i fatti contestati nelle due distinte ordinanze sono connessi e sussiste il requisito della desumibilità dagli atti. La motivazione del Tribunale confermativa della ordinanza di custodia in carcere argomenta è sul punto viziata da illogicità, in quanto trascura l'identità degli elementi afferenti ad entrambi i procedimenti, la comunanza dell'attività tecnica di captazione, la circostanza che il traffico di stupefacenti costituisce finalità precipuo dei reato associativo contesto nel primo procedimento. b. Annullamento ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c ed e cod. procomma penumero in relazione agli artt. 267, 268 e 271 696, 727 e 729 cod. procomma penumero ., Il ricorrente deduce che l'ordinanza impugnata poggia su un compendio indiziario che consta di intercettazioni dei traffico telematico del R., oggetto di invio e ricezione mediante il sistema cd. Pin to Pin, tipico degli apparati mobili BlackBerry, la cui attivazione genera dal collegamento Internet. Contesta, quindi, l'utilizzazione, nelle operazioni di intercettazione, di impianti diversi da quelli in dotazione alla Procura di Catanzaro, oltre che per l'assenza della necessaria rogatoria alle autorità straniere, ed in particolare a quelle canadesi, poiché l'attività captativi era diretta a percepire contenuti di comunicazioni o conversazioni transitanti ed elaborati sul territorio straniero, attraverso server ubicati tutti nel Canada le autorità italiane, infatti, hanno notificato i decreti autorizzativi ad una società esterna con sede legale in Italia fornitrice di servizi della società madre canadese, che aveva ideato e sviluppato un programma di messaggistica istantanea attraverso cui, secondo l'impostazione accusatoria, gli indagati pianificavano il traffico di stupefacenti. Conclude, pertanto, per l'annullamento dell'ordinanza impugnata con ogni statuizione consequenziale. Considerato in diritto 1.E' infondato il primo motivo di ricorso. 1.1. E' opportuno premette una disamina della norma dettata dall'art. 297 comma 3 cod. procomma penumero , alla luce delle modifiche legislative e delle sentenze della Corte Costituzionale che hanno interessato il testo normativo nonché delle decisioni della giurisprudenza di legittimità nell'interpretazione della predetta norma. Con la norma in esame, disciplinante l'istituto cosiddetto della contestazione a catena , il legislatore ha codificato la regula iuris, frutto dell'elaborazione giurisprudenziale formatasi sotto la vigenza dei previgente codice di rito, con la quale si era stabilita una deroga al principio della decorrenza autonoma dei termini di durata massima della custodia in relazione a ciascun titolo cautelare, all'evidente fine di evitare il fenomeno della diluizione nel tempo della carcerazione provvisoria , attuata mediante l'emissione, in momenti diversi, nei confronti della stessa persona di più provvedimenti coercitivi concernenti il medesimo fatto, diversamente qualificato o circostanziato, ovvero riguardanti fatti di reato diversi ma connessi tra loro. Nel suo testo originario l'art. 297 c.p.p., comma 3, che riprendeva la disposizione da ultimo appositamente introdotta nel codice abrogato dalla L. numero 398 del 1984 stabiliva che la decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare applicata con un'ordinanza si sarebbe dovuta retrodatare al momento dell'esecuzione di altra precedente ordinanza cautelare, laddove i due provvedimenti avessero riguardato lo stesso fatto ovvero più fatti in concorso formale tra loro, oppure integranti ipotesi di aberratío delitti o di aberratío ictus plurioffensiva. Nella versione novellata nel 199%' è stato ristretto l'ambito applicativo della norma, con la previsione dell'operatività del meccanismo di retrodatazione esclusivamente con riferimento ai casi di connessione qualificata ai sensi dell'art. 12 cod. procomma penumero , lett. b concorso formale e continuazione tra i reati e c limitatamente all'ipotesi di reati connessi per eseguire gli altri connessione teleologia si è, poi, introdotta una regola generale di retrodatazione automatica se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all'imputazione più grave automatismo, tuttavia, non applicabile laddove la seconda ordinanza cautelare veniva emessa dopo il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza la disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma . La portata applicativa della disposizione in esame è stata, infine, ampliata per effetto della sentenza additiva numero 408 del 2005, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità dell'art. 297 c.p.p., comma 3, nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell'emissione della precedente ordinanza ed ulteriormente precisata dalla sentenza numero 233 del 2011, con la quale la Consulta reagendo ad un contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità, che aveva finito per diventare diritto vivente ha dichiarato la illegittimità dello stesso art. 297, comma nella parte in cui, con riferimento alle ordinanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi, non prevede che la regola in tema di decorrenza dei termini in esso stabilita si applichi anche quando, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l'imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all'adozione della seconda misura. Nella cornice normativa così tratteggiata, seguendo il percorso argomentativo fissato dalle Sezioni Unite con due decisioni rispettivamente del 2005 e dei 2006 Sez. U, numero 14535/07 del 19/12/2006, Librato, Rv. 235909-10 11 Sez. U, numero 21957 del 22/03/2005, P.M. in procomma Rahulìa ed altri, Rv. 231057 8-9 , con riguardo alla contestazione di reati diversi, variamente collegabili tra loro, è possibile in linea schematica riconoscere tre distinte situazioni, alle quali corrispondono altrettante, distinte regole operative. In tutti e tre i casi è, comunque, necessario, perché si possa parlare di contestazione a catena e perché possa eventualmente trovare applicazione la disciplina della retrodatazione della decorrenza dei termine di durata massima della custodia cautelare, che i delitti oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore in questo senso, ex plurimis, Sez. 6, numero 31441 dei 2012, Rv. 253237 Sez. 6, numero 15821, del 2014 Rv 259771 . Il presupposto della anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all'emissione della prima non ricorre allorché il provvedimento successivo riguarda un reato di associazione e la condotta di partecipazione si sia protratta dopo l'emissione della prima ordinanza. La prima situazione è quella in cui le due o più ordinanze applicative di misure cautelari personali abbiano ad oggetto fatti reato legati tra loro da concorso formale, continuazione o da connessione teleologia casi di connessione qualificata , e per le imputazioni oggetto dei primo provvedimento coercitivo non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio. In queste circostanze trova applicazione la disposizione dettata dal primo periodo dell'art. 297 c.p.p., comma 3, che non lascia alcun dubbio sul fatto che la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della misura o delle misure applicate successivamente alla prima operi automaticamente e, dunque come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte indipendentemente dalla possibilità, al momento della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l'esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l'esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure . Automatica retrodatazione della decorrenza dei termini che risponde all'esigenza di mantenere la durata della custodia cautelare nei limiti stabili dalla legge, anche quando nel corso delle indagini emergono fatti diversi legati da connessione qualificata così C. Cost., 28 marzo 1996, numero 89 , e che si determina solo se le ordinanze siano state emesse nello stesso procedimento penale così Sez. U, numero 14535/07 dei 19/12/2006, Librato, cit . La seconda situazione rappresenta una variante della prima, presupponendo comunque l'accertata esistenza, tra i fatti oggetto delle distinte ordinanze cautelari, di una delle tre forme di connessione qualificata sopra indicate, ma è caratterizzata dall'intervenuta emissione del decreto di rinvio a giudizio per i fatti oggetto dei primo provvedimento coercitivo. Tale ipotesi presuppone, ovviamente, che le due o più ordinanze siano state emesse in distinti procedimenti, ma come hanno chiarito le Sezioni unite nelle richiamate sentenze è irrilevante che gli stessi siano gemmazione di un unico procedimento, vale a dire siano la conseguenza di una separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che i due procedimenti abbiano avuto autonome origini. In siffatta diversa situazione si applica la regola dettata dal secondo periodo dell'art. 297 c.p.p., comma 3, sicché la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza Cass. N. 42442 del 2013 Rv. 257380, N. 50128 del 2013 Rv. 258500 N. 17918 del 2014 Rv. 259713 . Infine, la terza situazione è quella in cui tra i fatti oggetto dei due provvedimenti cautelari non esista alcuna connessione ovvero sia configurabile una forma di connessione non qualificata, cioè diversa da quelle sopra considerate dei concorso formale, della continuazione o del nesso teleologia per quest'ultimo, nei limiti fissati dal codice . Questa ipotesi, che in passato si riteneva pacificamente non riguardare l'art. 297 c.p.p., comma 3, oggi rientra nel campo applicativo di tale disposizione codicistica per effetto della menzionata sentenza manipolativa della Consulta numero 408 del 2005. Ne consegue che la retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della misura cautelare è dovuta in tutti i casi in cui, pur potendo i diversi provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per qualsiasi causa l'autorità giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per l'adozione delle singole ordinanze . Il giudice deve, percìò, verificare se al momento dell'emissione della prima ordinanza cautelare non fossero desumibili, dagli atti a disposizione, gli elementi per emettere la successiva ordinanza cautelare, da intendersi come sottolineato dai Giudici delle leggi come elementi idonei e sufficienti per adottare il provvedimento cronologicamente posteriore. Tale regola vale solo se le due ordinanze siano state emesse in uno stesso procedimento penale, perché se i provvedimenti cautelari sono stati adottati in procedimenti formalmente differenti, per la retrodatazione occorre verificare, oltre che al momento della emissione della prima ordinanza vi fossero gli elementi idonei a giustificare l'applicazione della misura disposta con la seconda ordinanza, che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frutto di una scelta del pubblico ministero così Sez. U, numero 14535/07 del 19/12/2006, Librato, cit conf., in seguito, su tale specifico aspetto, Sez. 2^, numero 44381 dei 25/11/2010, Noci, Rv. 248895 Sez. 1^, numero 22681 del 27/05/2008, Camello, Rv. 240099 . Deve aggiungersi che per lungo tempo, la giurisprudenza di legittimità è stata unanime nel ritenere che la verifica delle condizioni per la retrodatazione esulasse dalla cognizione dei giudice investito del procedimento incidentale di riesame delle ordinanze che dispongono misure coercitive art. 309 c.p.p. . Tale indirizzo si collocava nell'alveo del più generale orientamento interpretativo secondo cui il riesame quale impugnazione de iiberrate a carattere pienamente devolutivo sarebbe finalizzato alla verifica dei soli requisiti di validità, formali e sostanziali, dei provvedimento cautelare impugnato validità non intaccata dal meccanismo della retrodatazione, il quale incide sul diverso piano dell'efficacia della misura coercitiva disposta, modificando la decorrenza e i criteri di computo della relativa durata massima. Al pari di altri eventi produttivi dell'inefficacia di detta misura la retrodatazione avrebbe dovuto essere fatta valere dall'interessato in altro modo e, cioè, proponendo istanza di revoca della misura al giudice che procede, ai sensi dell'art. 306 c.p.p., salvo poi impugnare con appello l'eventuale decisione negativa di quest'ultimo art. 310 c.p.p. . A partire dal 2010 è, peraltro, emerso un indirizzo giurisprudenziale di diverso segno, secondo il quale la retrodatazione sarebbe deducibile in sede di riesame, quantomeno allorché, per effetto di essa, i termini massimi risultino già spirati alla data di adozione dell'ordinanza impugnata. Dei contrasto sono state quindi investite le Sezioni Unite di questa Corte che hanno affermato che l'orientamento tradizionale e maggioritario, inteso ad escludere la competenza del giudice dei riesame, dovrebbe essere tenuto fermo nei casi in cui l'inefficacia conseguente alla retrodatazione sia sopravvenuta rispetto alla data di emissione dei provvedimento coercitivo. A conclusioni parzialmente diverse dovrebbe invece pervenirsi quando, a seguito della retrodatazione, il termine risulti interamente decorso già al momento dell'adozione della misura, in maniera tale da determinare una inefficacia originaria del titolo cautelare. Anche in quest'ultima ipotesi termine già scaduto alla data dei provvedimento coercitivo impugnato , la deducibilità della retrodatazione in sede di riesame non sarebbe peraltro piena, ma rimarrebbe soggetta ad una ulteriore condizione limitativa. È stato infatti tenuto conto delle particolari caratteristiche della procedura incidentale di riesame, che non prevede l'esercizio di poteri istruttori, incompatibili con la speditezza dei procedimento e che si basa esclusivamente sugli elementi emergenti dagli atti trasmessi dal pubblico ministero e su quelli eventualmente addotti dalle parti nel corso dell'udienza dall'altro, della notevole complessità che l'accertamento delle condizioni per la retrodatazione è suscettibile di assumere ed è stato così affermato che i presupposti ai quali è subordinata, a seconda dei casi, la configurabilità di una contestazione a catena potrebbero rendere necessarie verifiche particolarmente penetranti e porre problemi di non agevole soluzione. Da ciò le Sezioni unite hanno desunto che soltanto nel caso in cui dalla stessa ordinanza impugnata emergano in modo incontrovertibile e completo gli elementi utili e necessari per la decisione è possibile dare spazio ai principi di economia processuale e di rapida definizione del giudizio in vista della più ampia tutela del bene primario della libertà personale , riconoscendo al tribunale del riesame il potere di pronunciarsi in materia. È stato così enunciato il principio di diritto per cui, nel caso di contestazione a catena, la questione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche in sede di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni a se per effetto della retrodatazione il termine sia interamente scaduto al momento della emissione dei secondo provvedimento cautelare b se tutti gli elementi per la retrodatazione risultino dall'ordinanza cautelare . La Corte Costituzionale con la sentenza numero 293 del 2013, è stata investita di censure di illegittimità costituzionale solo con riguardo alla seconda condizione limitativa indicata. Non è stata dunque oggetto di contestazione avanti ai giudici delle leggi la prima condizione, che, come indicato nella stessa sentenza della Corte Costituzionale, è in linea con il carattere impugnatorio dei mezzo e circoscrive la cognizione dei giudice dei riesame all'ipotesi in cui la retrodatazione implichi un vizio lato sensu originario dei titolo coercitivo, a fronte del quale la misura da esso disposta non avrebbe dovuto essere applicata fin dall'inizio. I giudici delle leggi hanno ritenuto che la regula iuris censurata sì presta a determinare disparità di trattamento tra soggetti che versano in situazioni identiche in correlazione a fattori puramente accidentali, avulsi dalla ratio degli istituti che vengono in rilievo. Hanno ritenuto che il tribunale dei riesame dispone, ai fini della sua decisione, sia degli atti trasmessigli dall'autorità giudiziaria procedente ai sensi dell'art. 309 c.p.p., comma 5, sia degli ulteriori elementi eventualmente addotti dalle parti nel corso dell'udienza, ai sensi dei comma 9 del medesimo articolo e che, quindi, non è certo impossibile che le condizioni per la retrodatazione emergano in modo dei tutto piano da fonti diverse dall'ordinanza sottoposta a riesame. Hanno pertanto dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 309 c.p.p., in quanto interpretato nel senso che la deducibilità, nel procedimento di riesame, della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari, prevista dall'art. 297, comma 3, del medesimo codice, sia subordinata oltre che alla condizione che, per effetto della retrodatazione, il termine sia già scaduto al momento dell'emissione dell'ordinanza cautelare impugnata anche a quella che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino da detta ordinanza. 1.2. Tutto ciò premesso in punto di diritto, va rilevato che il ricorrente, come desumibile dall'ordinanza impugnata, ha fondato l'istanza di riesame finalizzata all'applicazione del disposto dell'art. 297 comma 3 cod. procomma penumero , in via principale, sulla esistenza di un rapporto di connessione qualificata tra i reati contestati nelle due diverse ordinanze e, in via subordinata, sulla ricorrenza del requisito della desumibilità ~ degli elementi giustificativi della seconda ordinanza già al momento dell'emissione della prima ordinanza cautelare. Le argomentazioni dei Tribunale di Reggio Calabria, che ha ritenuto infondata l'istanza di riesame, risultano congruamente motivate, senza specifiche incoerenze od aporie logiche e contengono una valutazione esauriente degli elementi probatori e delle loro implicazioni sequenziali. L'ordinanza impugnata, oltre che rispettosa degli orientamenti giurisprudenziali relativi al disposto di cui all'art. 297 comma 3 c.p.p., risulta congruamente e logicamente motivata, laddove ha preso in esame gli argomenti addotti dal ricorrente. In particolare, il Collegio cautelare ha negato l'esistenza della connessione qualificata tra i fatti della prima ordinanza e quelli della seconda, svolgendo una motivazione diffusa ed ineccepibile, quanto alla affermata insussistenza della connessione qualificata, in adesione ai principi ormai pacifici, indicati da questa Corte per la valutazione dell'unicità del disegno criminoso tra reato associativo ed altrLfattispecie delittuose. Il Tribunale ha esaminato i contenuti delle vicende fattuali deducibili dai provvedimenti cautelari, al fine di compiere la concreta verifica dei legame teleologico o della continuazione si veda parte motiva di Sez. 1, numero 42442 dei 26/9/2013, Gatto, Rv. 257379 ed ha ritenuto non sussistente una connessione qualificata tra il reato di associazione mafiosa di cui all'art. 416 bis cod. penumero contestato nella prima ordinanza cautelare e il reato di narcoimportazione ex art. 73 d.P.R. numero 309/1990 contestato nel secondo titolo custodiale, qui impugnato. Ha posto, in evidenza la differenza tra un mero contesto di traffico illecito di droga, e la nozione di unicità dei disegno criminoso , che esige l'unica e precisa rappresentazione e determinazione dei diversi reati posti in essere. L'esclusione dei nesso della continuazione trova conferma nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità riguardante le condizioni per la configurabilità dell'unicità dei disegno criminoso tra reati associativi e reati fine, i quali devono essere oggetto di volizione nelle linee essenziali sin dal momento della costituzione dei sodalizio criminoso Sez. 1^46576 del 17/11/2005,Rv.232965 Sez.1, n 12639 del 28/03/2006,Rv.234100 Sez.1,numero 8451 dei 21/01/2009 Rv.243199 Sez.1,numero 40318 dei 04/07/2013,Rv.257253 . Il Tribunale ha, poi, argomentato, con chiarezza ed esaustività, circa la mancanza dei requisiti per operare la retrodatazione, sotto il profilo della non desumibilità dagli atti. Sul punto, questa Corte ha più volte affermato che, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di anteriore desumibilità delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell'ordinanza cautelare successiva, dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, non va confusa con quella di semplice conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze fattuali. La desumibilità , per essere rilevante ai fini del meccanismo di cui all'art. 297 c.p.p., comma 3, deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano in sè una specifica significanza processuale ciò che si verifica allorquando il pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente sebbene modificabile nel prosieguo delle indagini dei panorama indiziario, tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo in presenza di concrete esigenze cautelari alla richiesta ed all'adozione di una misura cautelare Sez. 4, numero 15451 dei 14/03/2012, Di Paola, Rv. 253509 Sez. 6, numero 11807 dei 11/02/2013, Paladini, Rv. 255722, Sez 3 numero 18671 dei 15.1.2015, Rv 263511 . Ne consegue che deve essere esclusa la desumibilità allo stato degli atti quando, al momento dell'emissione della prima ordinanza, non era stata ancora depositata al pubblico ministero un'informativa relativa a pregresse indagini sostanziatesi anche in intercettazioni, sulla base della quale sia stata poi formulata la richiesta del successivo provvedimento Sez. 6, numero 11807 del 11/02/2013, cit. perché, in tal caso, i due provvedimenti non potevano, in mancanza di un quadro indiziario e cautelare sufficientemente definito, essere adottati in un unico contesto temporale. Il Tribunale, facendo corretta applicazione dei principi di diritto suesposti, con motivazione congrua, esaustiva ed esente da vizi logici, ha ritenuto insussistente il requisito della desumibilità dagli atti. Ha, infatti, rilevato come l'ordinanza impugnata si fondi sulle complessive risultanze investigative che sono state compendiate e valorizzate nell'informativa di reato datata 2.4.2015 e, quindi, in data successiva all'emissione dei primo titolo cautelare, rimarcando anche che l'operatività dell'associazione viene contestata fino alla data dei febbraio 2015. 2.E' infondato il secondo motivo di ricorso. Va osservato che, nel caso di specie, oggetto di intercettazione, non sono ordinarie comunicazioni telefoniche, bensì comunicazioni protette tramite il servizio cd. pin to pin offerto da Blackberry sui suoi terminali, cioè cd. comunicazioni in chat. Si tratta di una modalità di comunicazione comunemente ritenuta più sicura per la privacy in quanto può intervenire esclusivamente fra persone in possesso di apparecchi Blackberry identificati soltanto a mezzo di un PIN da qui la denominazione pin to pin e comporta che le comunicazioni trasmesse siano compresse e, soprattutto, cifrate. L'interconnessione è garantita da un server, cioè la memoria informatica centralizzata, che si trova presso la sede della società canadese RIM research in motion , che appunto gestisce il servizio. Il Tribunale del riesame ha dettagliatamente individuato, sulla base delle emergenze investigative, l'utenza nella disponibilità dei ricorrente, ricostruendo i suoi spostamenti e spiegando, con argomentazioni specificamente illustrate ed immuni da vizi logico-giuridici in questa sede censurabili a che le operazioni di intercettazione sono avvenute in territorio italiano, tramite la registrazione dei dati nella memoria informatica centralizzata server installata nei locali della Procura di Catanzaro b che i dati telematici delle captazioni riguardanti lo scambio di messaggi fra telefoni Blackberry con il sistema cd. pin to pin sono stati trasmessi in originale dalla società con sede in Italia direttamente sul server degli uffici della Procura. Nel caso di specie, dunque, è stata rispettata la condizione necessaria per l'utilizzabilità delle intercettazioni, ossia che l'attività di registrazione consistente, sulla base delle tecnologie attualmente in uso, nella immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l'utilizzo di impianti ivi esistenti Sez. Unumero , numero 36359 del 26/06/2008, dep. 23/09/2008, Rv. 240395 . Al riguardo, inoltre, deve ribadirsi il principio, più volte affermato da questa Suprema Corte Sez. 6, numero 7634 del 12/12/2014, dep. 19/02/2015, Rv. 262495 Sez. 1, numero 13972 del 04/03/2009, dep. 31/03/2009, Rv. 243138 v., inoltre, Sez. 4, numero 9161 del 29/01/2015, Rv. 262441 , secondo cui, in tema di intercettazioni telefoniche, il ricorso alla procedura cd di istradamento, e cioè il convogliamento delle chiamate in partenza dall'estero in un nodo situato in Italia e a maggior ragione di quelle in partenza dall'Italia verso l'estero, delle quali è certo che vengono convogliate a mezzo di gestore sito nel territorio nazionale non comporta la violazione delle norme sulle rogatorie internazionali, poichè in tal modo tutta l'attività d'intercettazione, ricezione e registrazione delle telefonate viene interamente compiuta nel territorio italiano, mentre il ricorso alle forme dell'assistenza giudiziaria all'estero è necessario unicamente per gli interventi da compiersi all'estero, per l'intercettazione di conversazioni captate solo da un gestore straniero. Il Collegio della cautela ha, quindi, correttamente applicato i principi nel caso di cui si tratta ed ha evidenziato che le intercettazioni telematiche ex art. 266 bis c.p.p. erano state disposte direttamente sui codici PIN, mentre la successiva richiesta alla società RMI in merito ai dati identificativi associati ai codici PIN intercettati aveva riguardato dati non muniti di alcuna protezione particolare e, comunque, coperti da cifratura e generati da terminale sul territorio italiano. E' stato, inoltre, opportunamente sottolineata la irrilevanza del fatto che la società RIM fosse canadese, posto che risulta pacifico e non è contestato invero nemmeno dal ricorrente che le comunicazioni avvenivano in Italia per effetto dei convogliamento delle chiamate in un nodo situato in Italia, ove è stata svolta l'attività di captazione. 3. Il ricorso va, quindi, rigettato per l'infondatezza dei motivi proposti. 4. Consegue, a norma dell'art. 616 cod. procomma penumero , la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone inoltre che copia dei presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell'Istituto Penitenziario competente, a norma dell'art. 94 comma 1 ter disp. att. c.p.p