Responsabilità dell’imputato: le dichiarazioni della persona offesa, se motivate, bastano ad affermarla

Quanto indicato dall’art. 192, comma 3, c.p.p. non si applica alle dichiarazioni della persona offesa, le quali, dopo una valutazione della credibilità della vittima e dell’attendibilità di quanto riferito dalla medesima, ove adeguatamente motivate, possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato .

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10457/2016, depositata il 14 marzo. Il caso. Il gip presso il Tribunale competente, all’esito di giudizio abbreviato, condannava un imputato per il reato di rapina art. 628 c.p. , escludendo le aggravanti dell’aver commesso il fatto con l’uso di arma e in danno di un soggetto che aveva appena effettuato un prelievo presso uno sportello ATM, con riconoscimento delle attenuanti generiche. Avverso la statuizione, il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello ricorreva per cassazione, lamentando vizio motivazionale. In particolare, il ricorrente sottolineava come la sentenza, pur riportando in sintesi le dichiarazioni della persona offesa e indicandole tra le fonti di prova, aveva ritenuto non provate le circostanze riferite dalla vittima con riferimento al possesso di arma da parte dell’imputato ed alla circostanza del prelievo presso sportello ATM , senza alcuna specificazione sul motivo per cui alle medesime dichiarazioni non fosse stata riconosciuta attendibilità. La valutazione sull’attendibilità della persona offesa. La Suprema Corte ha rilevato la contraddittorietà motivazionale del provvedimento impugnato, sottolineando come la pronuncia di condanna si fondi sulla ricostruzione operata attraverso le dichiarazioni della parte offesa con riferimento al fatto oggetto di denuncia ed all’identificazione dell’autore del medesimo, ma allo stesso tempo dichiari non provate altre dichiarazioni della vittima possesso di arma e prelievo da sportello ATM , senza motivare in relazione all’inattendibilità delle stesse. Gli Ermellini hanno ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui quanto indicato dall’art. 192, comma 3, c.p.p. non si applica alle dichiarazioni della persona offesa, le quali, dopo una valutazione della credibilità della vittima e dell’attendibilità di quanto riferito dalla medesima, ove adeguatamente motivate, possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato . La verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni, ha aggiunto il Collegio, deve essere più rigorosa rispetto a quella posta in essere nei confronti di quanto riportato da un testimone qualsiasi. Ove, poi, la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere necessario effettuare un riscontro tra quanto affermato dalla medesima ed altri elementi. I Giudici del Palazzaccio hanno, inoltre, sottolineato come, nel caso di specie, la motivazione della sentenza sia puramente apparente in relazione alla concessione delle attenuanti generiche all’imputato. Gli Ermellini hanno chiarito che il riconoscimento delle suddette circostanze rientra nell’ambito del giudizio discrezionale del giudice, giudizio che deve essere sorretto da motivazione nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo tale verifica appare, secondo il Collegio, lacunosa, nel caso di specie. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. II penale, sentenza 18 dicembre 2015 – 14 marzo 2016, n. 10457 Presidente Prestipino – Relatore Imperiali Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 1/4/2015 Giudice per le indagini preliminari dei Tribunale di Catania, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava R. A. responsabile del delitto di rapina contestatogli, escluse le aggravanti dell'aver commesso il fatto con l'uso di arma ed in danno di persona che aveva appena eseguito un prelievo presso uno sportello ATM e, con il riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alla recidiva contestata, condannava l'imputato alla pena di anni due di reclusione ed euro 600,00 di multa. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Catania, chiedendone l'annullamento e deducendo a tal fine la violazione dell'articolo 606 lett. e cod. proc. pen. per contraddittorietà della motivazione posta a base della decisione e per il travisamento di circostanze indicate come inconfutabilmente emerse nel corso delle indagini, con riferimento all'esclusione delle circostanze aggravanti ed al riconoscimento delle attenuanti generiche. Si duole, in particolare, il ricorrente che la sentenza, dopo aver riportato testualmente un passo dell'ordinanza di convalida del fermo dell'imputato emessa dal giudice per le indagini preliminari, nel quale si riportano in sintesi le dichiarazioni rese dalla persona offesa, e dopo aver indicato queste tra le fonti di prova, ha ritenuto non provate circostanze riferite dalla stessa persona offesa, per non essere stata rinvenuta alcuna arma in possesso del R. e per il difetto di prova in ordine al fatto che la persona offesa al momento del fatto avesse appena effettuato un prelievo presso uno sportello ATM, e comunque che il R. ne fosse a conoscenza, senza però in alcun modo specificare perché non sia stata riconosciuta l'attendibilità delle dichiarazioni della stessa persona su tali questioni. Quanto, invece, al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, rilevava non potersi fondare questo sulla modesta entità della somma sottratta , di euro 450,00, senza in alcun modo valutare la gravità del fatto, la realizzazione di questo da parte di recidivo reiterato infraquinquennale, la mancata restituzione della somma rapinata alla persona offesa e la mancanza di piena confessione da parte dell'imputato. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. La sentenza impugnata, invero, deve ritenersi viziata da insanabile contraddittorietà della motivazione, laddove questa si fonda su una ricostruzione dei fatti proveniente prevalentemente dalle dichiarazioni della persona offesa L. C. C., in ordine al fatto oggetto di denuncia ed all'identificazione dell'autore del fatto criminoso, ma poi indica come non provate alcune circostanze riferite dalla stessa persona offesa, e segnatamente il prelievo di una somma di denaro da parte dello stesso La Cognata da uno sportello bancomat nei momenti immediatamente precedenti il fatto ed in presenza del R. e l'uso dell'arma da parte di quest'ultimo, senza alcuna indicazione dei motivi per i quali la persona offesa non è stata ritenuta attendibile al riguardo. Giova in proposito ricordare che secondo la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, che il collegio condivide, le regole dettate dall'articolo 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. Peraltro, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi Sez. U. n. 41461 del 19/7/1992 . Nel caso in esame, invece, non solo la persona offesa non si è costituita parte civile, ma comunque il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Catania nella sentenza impugnata ha mostrato di riconoscere, evidentemente, l'attendibilità delle dichiarazioni del La Cognata, tanto da indicarle esplicitamente tra gli elementi di prova a carico del R E' stata, però, la stessa persona offesa a riferire di aver effettuato un prelievo di denaro da uno sportello bancomat presso la galleria del centro commerciale ove si trovava con l'imputato, su sollecitazione di quest'ultimo, e che poi lo stesso dello stesso R., estratta una pistola cromata , gliel'aveva puntata contro intimandogli di stare fermo e sottraendogli così le banconote che egli aveva ancora in mano, sicché la motivazione della sentenza deve ritenersi contraddittoria laddove, dopo aver attribuito un primario rilievo probatorio alle dichiarazioni della persona offesa, così implicitamente riconoscendone l'attendibilità, escludeva l'aggravante dell'uso dell'arma, solo perché questa non era stata rinvenuta nella perquisizione domiciliare alla quale era stato sottoposto l'imputato, ed affermava difettare la prova che la vittima sia stata rapinata immediatamente dopo aver usufruito di un servizio bancomat e nella consapevolezza del R. per tale fatto si tratta di un assunto che non si concilia con quanto riferito dal La Cognata e con l'attendibilità che, poco dopo, la sentenza attribuisce nei fatti alle dichiarazioni della persona offesa, collocate al primo posto tra gli elementi che configurano il quadro probatorio ben preciso gravante sull'imputato, così da non consentire di ricostruire l'iter logico seguito dal giudice. Fondata è anche la censura con la quale l'ufficio ricorrente lamenta la mera apparenza della motivazione con la quale sono state riconosciute al R. le attenuanti generiche. In particolare, si contesta nel ricorso che la sentenza non abbia in alcun modo valutato la gravità del fatto, la realizzazione di questo da parte di recidivo reiterato infraquinquennale, la mancata restituzione della somma rapinata alla persona offesa e la mancanza di piena confessione da parte dell'imputato, ed abbia invece riconosciuto le circostanze attenuanti generiche esclusivamente sulla base della modesta entità della somma sottratta , valutazione che, peraltro, non sembra conciliarsi con la somma di euro 450,00. La concessione o meno delle attenuanti generiche, invero, rientra nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo Sez. 6, 28/10/2010 n. 41365 , ma tale valutazione manca nel caso di specie laddove, senza alcun riferimento all'effettiva gravità del reato e della personalità del R., ci si riferisce unicamente alla somma sottratta, per di più senza specificare i parametri che dovrebbero portare ad una simile valutazione, a fronte di una somma certo non insignificante, quale quella di euro 450,00 . Sono fondate, pertanto, tutte le censure rivolte alla valutazione delle circostanze del reato operate dal primo giudice, e conseguentemente la sentenza impugnata va annullata per una nuova valutazione sul punto da parte del giudice competente per l'appello, ai sensi dell'articolo 569 comma 4 cod. proc. pen. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata relativamente alla valutazione delle circostanze del reato e rinvia alla Corte di Appello di Catania.