Le chiamate in correità di un soggetto affetto da disturbi mentali vanno vagliate rigorosamente

Le dichiarazioni rese dalle persone che assumono l’ufficio di testimone ex art. 197-bis c.p.p. vanno valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità A fortiori le chiamate in correità di un soggetto affetto da disturbi mentali, vanno vagliate rigorosamente e secondo un preciso ordine logico.

Così ha ribadito la Corte Suprema, con la sentenza n. 9953/2016, depositata il 10 marzo, nel caso in oggetto ed il principio enunciato appare senza dubbio ragionevole oltre che rassicurante. Tuttavia, com’è noto, il problema, nella pratica giudiziaria, non sta semplicemente nella formulazione delle regole astratte ma, piuttosto, nel verificare se in concreto siano state seguite. Il problema in questione, comune ad ogni questione giuridica, assume un rilievo particolare in sede di legittimità, posto che in tema di valutazione delle prove la Cassazione non può sostituirsi al giudice del merito ovvero, se si preferisce, formulare un diverso giudizio, posto che il suo controllo è, per lo più, puramente formale. Ecco che allora ciò che interessa comprendere è il criterio attraverso cui, avanti al giudice della legittimità, si possa censurare un giudizio di merito che si sia fondato sopra dichiarazioni che il legislatore e la prassi giudiziaria ritengono come in sé non affidabili. Perché il tutto non risulti privo di concretezza conviene, considerare seppur brevemente il caso. Il caso. Nella specie era accaduto che il principale testimone di accusa, in precedenza indagato per concorso ma la cui posizione era stata archiviata sul presupposto della totale incapacità di intendere e volere, fosse stato squalificato” dalla difesa del ricorrente sia sotto il profilo formale lo stesso avrebbe dovuto essere sentito ex art. 210 c.p.p. sia sotto quello sostanziale, dovendosi ritenere in ogni caso del tutto inattendibile vista la sua situazione psichica. La Suprema Corte, rispetto al primo profilo, ha avuto facile gioco nel ribadire, seguendo gli insegnamenti delle Sezioni Unite sentenza n. 12067/2009 , che l’archiviazione è atto antitetico all’esercizio dell’azione penale, sicché non poteva assumersi che vi fosse incapacità a testimoniare. Riguardo al secondo profilo, la Corte ha condiviso l’assunto di partenza del ricorrente ed ha anzi stilato” un vademecum da seguire nei casi di specie. Si è infatti sostenuto, in maniera sufficientemente chiara, che il giudice del merito deve seguire un ordine logico nel valutare la testimonianza in questione e precisamente - in primo luogo, valutandone la credibilità in relazione alle sua personalità, alle sue condizioni di vita, al suo passato, ai suoi rapporti con l’accusato, nonché alla genesi e alle cause della confessione e delle accuse - successivamente, analizzando le caratteristiche delle dichiarazioni relativamente alla loro precisione, consistenza, coesione, costanza e spontaneità - infine, verificando se la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni, sono confermate da riscontri esterni, che possono essere di qualsiasi natura e anche indiretti. Se non che, proprio alla luce di quanto sopra, avendo constatato che i giudici di merito avevano in realtà seguito, nel valutare la testimonianza in questione, i criteri sopra esposti, la Suprema Corte ha dovuto dichiarare inammissibile il ricorso essendo per ciò stesso manifestamente infondato. Conclusioni. Risulta da quanto sopra che, ove il giudice del merito abbia seguito i criteri di valutazione imposti in ragione del particolare mezzo di prova posto a fondamento della sentenza di condanna, la valutazione in questione di per sé non può essere censurata. Che ciò sia, non deve stupire più di tanto. Vi è sempre un margine insopprimibile di opinabilità nel giudicare ed è bene che ciò sia. Qualcuno, che ama apparentemente molto la logica e la statistica, pensa di strutturare il giudizio di colpevolezza sulla scorta di dati ed analisi matematiche. Ciò è un grave errore, poiché si ammette che la legge processuale si accontenta di percentuali alte di probabilità di colpevolezza il che non può che apparire contraddittorio visti i valori costituzionali in gioco e fa dipendere di per sé lo standard sufficiente per la dichiarazione di colpevolezza da criteri sempre soggetti a politiche opinabili. Più di tutto, però, un simile approccio scientifico” dimentica un dato fondamentale e, precisamente, che il giudicare è una manifestazione del potere sovrano e che il giudice è in quest’ambito sovrano e, quindi, chiamato ad assumersi la responsabilità o, se si preferisce, la paternità della propria decisione. Un giudice che demandasse a puri” criteri oggettivi” il proprio giudizio, senza affermare nel contempo che egli è certo, in cuor suo, della colpevolezza del reo, spaventa non tanto perché vi sarebbe una sorta di deresponsabilizzazione morale, quanto perché un simile giudizio potrebbe essere preso da chiunque sapesse fare di calcolo e, dunque, anche da una calcolatrice. Inoltre, che dire del caso – assai più importante - in cui il giudice nonostante l’apparente colpevolezza, ritenga il reo non colpevole? L’innocenza, come alternativa alla condanna, ha senso di essere davvero invocata come parametro del retto” giudizio soprattutto quando si è innanzi a prove di colpevolezza a prima vista schiaccianti. Ciò non per mandare assolto chi meriti la condanna, ma affinché la condanna sia davvero frutto di una decisione cioè di una valutazione di due alternative prese in seria id est effettiva considerazione da parte del giudice. E’ difficilissimo giudicare e giudicare con coscienza ma non vi è altro modo di giudicare che il ben giudicare” da parte del giudice.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 gennaio – 10 marzo 2016, numero 9953 Presidente Petruzzellis – Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. In parziale riforma della sentenza di condanna per il reato ex articolo 81, comma 2, 110, 117 e 314 cod. penumero emessa dal Tribunale di Milano, la seconda sezione penale della Corte di appello di Milano, con sentenza numero 7761 del 4/11/2014, riconoscendo le circostanze attenuanti generiche, ha ridotto a R.D. la pena della reclusione a due anni e due mesi e alla stessa durata la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici. 2. Nel ricorso nell’interesse della R. non si contesta che la condotta descritta nel capo di imputazione sia stata attuata dalla originaria coimputata F.G. - il procedimento nei confronti della quale è stato archiviato sul presupposto della sua totale incapacità di intendere e di volere - ma la utilizzabilità e, comunque, la valenza probatoria delle sue dichiarazioni accusatorie. In questa prospettiva si chiede l’annullamento della sentenza della Corte di appello per i seguenti quattro motivi a inosservanza delle norme processuali in relazione alla qualità di testimone della F. , assumendo che la stessa non doveva essere sentita con le modalità ex articolo 197-bis cod. proc. penumero ma con quelle ex articolo 210 cod. proc. penumero previste per l’imputato per reato connesso o collegato con procedimento pendente b mancata verifica della attendibilità personale della F. , quale chiamante in correità della R. e della attendibilità intrinseca e estrinseca delle sue dichiarazioni, che il ricorso assume prive di riscontri c vizio della motivazione del diniego di perizia sulla capacità a testimoniare della predetta, evidenziando che nel dibattimento lo stesso consulente del pubblico ministero che l’aveva valutata incapace di intendere e di volere, non seppe esprimersi sulla sua capacità di testimoniare mentre quello della difesa, caldeggiò una verifica al riguardo d vizio di motivazione sulla mancata ammissione di prova decisiva costituita dalla acquisizione degli assegni e dei vaglia postali emessi nel biennio 2007-2008 dalla F. a favore di Fr.Ma. . Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Le Sezioni Unite di questa Corte sent. numero 12067 del 17/1272009, dep. 2010, Rv. 246375 hanno chiarito che la disciplina limitativa della capacità testimoniale ex articolo 197, comma 1, lettere a e b , 197-bis e 210 cod. proc. penumero , non è applicabile alle persone sottoposte a indagini nei cui confronti sia stato emesso provvedimento di archiviazione. La condivisibile ratio decidendi considera che la tutela del diritto di difesa presuppone che il dichiarante debba difendersi da una imputazione ma che quando sono stati adottati atti antitetici all’esercizio dell’azione penale la richiesta del Pubblico ministero e il correlato decreto del Giudice per le indagini preliminari che la accoglie , l’esigenza di difesa viene meno perché una riapertura delle indagini è possibile tanto quanto una apertura delle indagini nei confronti di chiunque Cass. penumero , Sez. 2, numero 4123 del 09/01/2015, Rv. 262367 . Nel caso in esame, quando è stata esaminata nel marzo del 2013 ex articolo 197-bis cod. proc. penumero F. ha confessato pienamente e l’archiviazione del procedimento nei suoi confronti deriva dalla sua incapacità di intendere e di volere all’epoca dei fatti conclusisi nel giugno del 2010 . 2. Poiché l’idoneità a testimoniare è condizione diversa dalla capacità di intendere e volere, la prima non può escludersi solo perché ricorre la seconda Cass. pen Sez. 2, numero 3161 del 11/12/2012, dep. 2013, Rv. 254537 Sez. 2, numero 12195 del 14/03/2012, Rv. 252709 Sez. 1, numero 20864 del 14/04/2010, Rv. 247407 . Ne deriva che il giudice non assumerà le dichiarazioni di chi presenta disturbi mentali se risultano concreti elementi per ritenere che questi lo rendano attualmente del tutto incapace di rendere dichiarazioni con adeguata consapevolezza delle responsabilità del testimone, con sufficiente capacità mnemonica in relazione ai fatti specifici oggetto della deposizione, con la capacità di capire il contenuto delle domande così da fornire risposte pertinenti. Da rilevanti anomalie concernenti questi profili può derivare la necessità di accertare ex articolo 196 cod. proc. penumero la capacità di testimoniare Cass. penumero , Sez.1, numero 2993 del 05/03/1997, Rv.2072259 . Resta compito del giudice verificare, con particolare rigore, l’attendibilità di quanto affermato e le sue valutazioni, se espresse in modo logico e coerente, possono censurarsi in cassazione solo nei limiti del travisamento della prova Cass. penumero , Sez. 2, numero 43094 del 26/06/2013, Rv. 257426 . Nella fattispecie il Tribunale pagg.16-17 non ha mancato di porsi la questione della capacità di testimoniare della F. evidenziando che la stessa pur emotivamente provata, ha condotto un lunghissimo esame, nel corso del dibattimento, dando prova di capacità di discernimento del contenuto delle domande, alla quale ha fornito coerenti risposte, di sufficiente capacità mnemonica in ordine a fatti specifici oggetto della deposizione, di coscienza dell’impegno di riferire con verità e completezza i fatti a sua conoscenza . Ha, inoltre, osservato che le considerazioni prudenziali pag.17 espresse dal consulente della difesa sulla possibile interferenza del disturbo post-traumatico da stress con la valutazione della realtà da parte della donna sono superate dalla rilevata credibilità intrinseca e estrinseca delle dichiarazioni della F. . Nella stessa linea ha argomentato la Corte di appello pag. 5 anche tenendo conto della percezione diretta avuta dal collegio di primo grado . Su queste basi, il secondo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato, emergendo, peraltro, che le questioni riguardano più che i riflessi delle condizioni mentali della F. sulla sua capacità di testimoniare la esistenza di ragioni che avrebbero potuto condurre la donna a mentire. 3. Le dichiarazioni rese dalle persone che assumono l’ufficio di testimone ex articolo 197-bis cod. proc. penumero vanno valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità articolo 197-bis, comma 6, e 192, comma 3, cod. proc. penumero e a questo aspetto, sotto diversi versanti, si rivolgono gli ulteriori motivi del ricorso. 3.1. A fortiori, le chiamate in correità di un soggetto affetto da disturbi mentali, vanno vagliate rigorosamente e secondo un preciso ordine logico ex plurimis Cass. penumero , Sez.3, numero 44882 del 18/07/2014, Rv.260607 Sez.6, numero 16939 del 20/12/2011, dep.2012, Rv. 252630 Sez.5, numero 31442 del 28/06/2006, Rv.235212 a in primo luogo, valutandone la credibilità in relazione alla sua personalità, alle sue condizioni di vita, al suo passato, ai suoi rapporti con l’accusato, nonché alla genesi e alle cause della confessione e delle accuse b successivamente, analizzando le caratteristiche delle dichiarazioni relativamente alla loro precisione, consistenza, coesione, costanza e spontaneità c infine, verificando se la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni, sono confermate da riscontri esterni, che possono essere di qualsiasi natura e anche indiretti. Proprio questo metodo è stato seguito nella motivazione della sentenza di primo grado nelle pagine 17-18 relativamente alle caratteristiche del rapporto fra la F. e la R. fra loro assai amiche e colleghe, entrambe in condizioni di fragilità psicologica e a conoscenza della procedura che consentì alla F. di appropriarsi di somme versate come tassa per l’occupazione di suolo pubblico e a pagina 18 relativamente alla intrinseca consistenza e coerenza della narrazione dei fatti, mentre nelle pagine 19-20 è sviluppata l’analisi critica dei riscontri esterni documenti e dichiarazioni di altri testimoni . Analogo risulta l’andamento della motivazione della sentenza di secondo grado che l’ha confermata nelle pagine 4 e 6 sono esaminati i rapporti fra le due donne e a pagina 6 i riscontri esterni, dandosi implicitamente conto del requisito della consistenza e coerenza delle narrazioni della F. . Ne deriva l’infondatezza del terzo motivo di ricorso. 3.2. Il quarto motivo di ricorso concerne le prove, indicate come decisive, per dimostrare che reale beneficiario del peculato della F. non era l’imputata ma Fr.Ma. con il quale l’imputata aveva una relazione sentimentale . Questa prospettiva è stata vagliata e scartata dal Tribunale in particolare la sentenza richiama pagg. 9 - 11 dichiarazioni testimoniali della figlia e del nipote dell’imputata e dello stesso T. , nonché affermazioni dell’imputata, che indicano stretti rapporti personali tra costui e la F. e la diretta corresponsione di prestiti della seconda al primo, ma conclude - con plausibile argomentazione - che pagg. 18 - 20 gli esborsi della F. , della R. e anche dei parenti della stessa in favore di Fr. ebbero comunque come principale collettore l’imputata. A sua volta - nel recepire e confermare la sentenza di primo grado - la Corte di appello non ha trascurato la linea difensiva soggiacente al motivo di ricorso in esame, ma ha pertinentemente puntualizzato pag.5 che le dichiarazioni della F. accusano la R. , e non altri, di averla sollecitata a commettere l’azione delittuosa, in quanto assillata dalle sue continue richieste di prestito e che dalle dichiarazioni stesse dell’imputata pag. 7 emerge che un suo precedente penale per ricettazione truffa e insolvenza fraudolenta sarebbe collegato al suo rapporto con Fr. che le avrebbe dato per l’incasso assegni di provenienza illecita . La rinnovazione dell’istruttoria in appello è istituto eccezionale e il rigetto della sua richiesta è censurabile se la motivazione della sentenza palesa lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate con l’assunzione o la riassunzione di determinate prove in appello Cass. penumero , Sez.6, numero 1256 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 2582369 . La motivazione del rigetto può essere implicita nella stessa struttura argomentativa della sentenza, che evidenzi la sussistenza di sufficienti prove della colpevolezza Cass. penumero Sez. 6, numero 8936 del 13/01/2015, Rv. 262620 Sez. 6, numero 5782 del 18/12/2006, Rv. 36064 Sez. 6, numero 3986 del 1/02/1996, Rv. 204780 e il giudizio di questa Corte al riguardo non concerne la concreta rilevanza dell’atto istruttorio da espletare ma soltanto la congruenza e la consistenza del ragionamento Cass. penumero , Sez. U, numero 2110 del 23/11/1995, dep. 1996, Rv. 203764 Sez. 4, numero 37624 del 19/09/2007, Rv. 237689 . Da quanto precede emerge che le richieste istruttorie sulla reiezione delle quali poggia il quarto motivo di ricorso non concernono profili di indagine nuovi ma elementi fattuali già esaminati dai giudici con motivazioni convergenti, esenti da vizi logici e coerenti con gli elementi probatori, sicché anche il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato. 4. Dalla inammissibilità del ricorso deriva la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende che si ritiene congruo determinare nella misura indicata in dispositivo, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. penumero . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.