Entrata dura del difensore sull’attaccante in contropiede: tibia fratturata. Sanzione solo sportiva

Azzerata definitivamente l’ipotesi di reato contestata al calciatore colpevole di avere colpito violentemente la gamba dell’avversario. Condotta violenta, frutto dell’agonismo e di un intervento fuori tempo, da censurare solo in ambito sportivo. Esclusa la responsabilità penale del difensore.

Ultimissimi minuti del match. Risultato – importantissimo – ancora in bilico. Contropiede fulmineo della squadra ospite. L’attaccante galoppa palla al piede verso l’area avversaria, quando irrompe il difensore che, pur volendo colpire la sfera, centra in pieno, e con violenza, la gamba sinistra del ‘numero 9’. Bilancio drammatico per l’attaccante frattura della tibia. Evidente la colpa del difensore, sanzionabile, però, solo in ambito sportivo, non certo in quello penale Cassazione, sentenza n. 9559/2016, Sezione Quarta Penale, depositata oggi . Antisportivo. Cancellata definitivamente, quindi, l’ipotesi di responsabilità per il reato di lesioni personali colpose . Smentita la visione tracciata dai giudici del Tribunale prima e da quelli della Corte d’appello poi decisiva l’applicazione del cosiddetto rischio consentito”, con riferimento a eventi lesivi causati nel corso di incontri sportivi . Nessun dubbio sulla dinamica del cruento scontro di gioco, verificatosi durante una partita del campionato di ‘Eccellenza’ . Evidente la condotta violenta del difensore della squadra di casa, condotta, però, frutto di un eccessivo agonismo e di un errore nel calcolo della tempistica dell’intervento di gioco egli, difatti, ha mirato il pallone , ma ha finito per colpire la gamba dell’attaccante, che già aveva allungato la sfera in avanti . Rilevante il contesto l’infortunio maturò in un frangente particolarmente intenso , cioè gli ultimi minuti dell’incontro , e durante una azione di gioco decisiva per un match rilevante per il campionato . Significativo anche il fatto che l’azione del difensore, pur in trance agonistica, era manifestamente indirizzata a interrompere l’azione di contropiede, mediante il tentativo di impossessarsi regolarmente del pallone , sottraendolo all’attaccante. Tutto ciò, spiegano i magistrati della Cassazione, consente di ritenere meritevole di censura il gesto compiuto dal difensore, però solo nell’ambito dell’ ordinamento sportivo . Va esclusa, quindi, la antigiuridicità a livello penale del fallo compiuto sul campo da calcio.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 26 novembre 2015 – 8 marzo 2016, n. 9559 Presidente Brusco – Relatore Grasso Ritenuto in fatto 1. Nel corso di una partita di calcio del campionato, serie eccellenza , girone Sardegna, D.B.V., calciatore della squadra dell'Alghero, in un'azione di gioco, al fine d'interrompere l'azione avviata da G.A., calciatore della squadra dei Tempio, il quale, attorno al 48° minuto del secondo tempo, impossessatosi del pallone aveva dato vita ad un veloce contropiede della squadra ospitata, spingendo davanti a sé la sfera, con l'intento di guadagnare prestamente l'area di rigore, attingeva, con eccessiva violenza, con un calcio la gamba dell'avversario, causandogli lesioni gravi, consistite nella frattura della tibia sinistra. Il Giudice di pace di Alghero, con sentenza del 20/1/2010, giudicò l'imputato colpevole dei delitto di cui all'art. 590, commi 1 e 2, cod. pen., condannandolo, oltre alla pena stimata di giustizia, a risarcire il danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, ponendo, inoltre, provvisionale in favore della predetta p.c. Il Tribunale di Sassari, in funzione di giudice dell'appello, con sentenza del 28/2/2013, precisati i fatti nei termini testuali seguenti nel momento in cui il D.B. stava per calciare, il pallone si trovava ancora in prossimità della persona offesa, talché sia la traiettoria del calcio della gamba destra del prevenuto - piegata all'indietro - nonché la posizione del suo corpo rendono evidente che il medesimo aveva l'intenzione di colpire il pallone. Tuttavia, nell'attimo in cui il D. proiettò la gamba destra in avanti, il G. aveva già allungato il pallone, talché l'intervento dell'imputato si rivolse in danno dell'avversario , dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione, confermò le statuizioni civili. 2. Il D.B. ricorre per cassazione, allegando due motivi di censura. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente prospetta violazione di legge si ebbe a trattare d'infortu jQ $criminato dalla causa di giustificazione non cos ic. a le risc io consentito e, quindi, il Tribunale avrebbe dovuto prosciogliere l'imputato per effetto della disposizione di cui al comma 2 dell'art. 129, cod. proc. pen. Precisa il ricorrente che la ricorrenza della invocata scriminante era resa palese ed evidente dalle peculiarità del fatto, correttamente riportato nella sentenza d'appello, ma poi illogicamente disatteso dall'epilogo la scena descritta era quella di una tipica azione di gioco, caratterizzata dall'agonismo tipico degli ultimi minuti di un incontro di calcio il calcio, sport fisico a violenza eventuale, contempla il contatto fisico non si era avuta alcuna volontaria aggressione al bene dell'integrità fisica, ma si era trattato di uno sviluppo fisiologico della concitata azione di gioco, sanzionabile solo a norma dei regolamento dei gioco dei calcio, pienamente giustificato dall'importanza della competizione, decisiva per la classifica, in un frangente agonistico di primario rilievo contropiedeAqllo spirare dell'incontro . 2.2. Con il secondo motivo, denunziante violazione della legge processuale, viene contestata la competenza del giudice di pace, essendosi in presenza di un infortunio sul lavoro, ricadente sotto la giurisdizione dei tribunale. Chiarisce il ricorrente essere lo stesso art. 2 della I. n. 91 del 23/3/1981 a qualificare come sportivi professionisti coloro che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità . Essendo rimaste pienamente accertate le predette condizioni il giudice penale avrebbe dovuto inquadrare correttamente la svolta attività come professionale, senza che potesse assumere rilievo la circostanza che il contratto che legava il G. alla propria squadra potesse o meno ritenersi nullo , perché eventualmente contrario a norma regolamentare. La questione assumeva rilievo, precisa infine il ricorrente, perché il Tribunale di Sassari, quale giudice d'appello, aveva confermato le statuizioni civili. Considerato in diritto 3. Per la pregiudizialità che la caratterizza occorre in primo luogo esaminare la questione di competenza per materia posta con il secondo motivo. In punto di fatto il processo ha accertato che il ricorrente militava, nell'anno calcistico 2003/2004, nella Polisportiva Alghero Calcio, dalla quale percepiva un compenso di 1.400 euro al mese, oltre vitto e alloggio La materia è regolata da norme primarie e secondarie e, pertanto, erra il ricorrente ad immaginare un potere giudiziario d'inquadramento vincolato al contenuto dei negozio giuridico a cui le parti hanno inteso dare vita. In altri termini, il giudice, verificato che il legislatore ha previsto, ed anzi imposto paradigma e qualificazione formale, l'eventuale diverso volere delle parti è privo di valore. AI vertice dell'organizzazione del gioco del calcio è posta la Federazione Italiana Gioco Calcio F.I.G.C. , la quale ha veste giuridica di associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato, nella quale confluiscono le associazioni sportive e le società che perseguono il fine di praticare il giuoco del calcio , a sua volta federata al C.O.N.I. art. 1 dello statuto F.I.G.C. . L'art. 2 della citata I. n. 91 dispone Ai fini dell'applicazione della presente legge, sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica . Gli artt. 28 e 29 delle norme organizzative interne della F.I.G.C. N.O.I.F. attribuiscono la qualifica di sportivi professionisti ai calciatori che militano nelle serie A, B e C. Coloro che militano nelle categorie inferiori devono considerarsi sportivi dilettanti. Non muta la loro natura la circostanza che possano pattuirsi accordi economici annuali, come puntualmente richiama il Tribunale, implicanti anche l'erogazione di una somma annuale, da corrispondersi in dieci rate mensili, d'importo eguale art. 94ter N.O.I.F. . Da quanto in sintesi esposto si ricava che il legislatore, facendo uso dell'ampio potere discrezionale che lo contraddistingue, anche attraverso il rimando a discipline operative di secondo livello o assegnando valenza di cogenza a private convenzioni maturate a livello associativo, ha minutamente regolato la disciplina sportiva del gioco del calcio, della quale fa parte integrante e qui non sindacabile, la qualificazione giuridica dell'attività sportiva esercitata dai singoli associati. Non assume, perciò, rilievo la diversa volontà che si possa ricavare dall'autoregolamento di privati interessi per assioma di legge il calciatore di squadra iscritta al campionato di eccellenza deve ritenersi atleta dilettante. La censura, pertanto, non può essere accolta. 4. Il secondo motivo è fondato. 4.1. Al fine di assolvere al compito di un compiuto inquadramento della fattispecie qui al vaglio, sovente oggetto d'interpretazioni contrastanti, nonostante i numerosi approfondimenti in sede dottrinaria e giurisprudenziale, pare opportuno prendere l'abbrivio dalle statuizioni di legittimità rese in sede civile, che hanno il privilegio di operare sul terreno meno turbolento e coinvolgente della responsabilità civile rispetto a quello dell'addebito penale. La Corte di cassazione, aderendo all'opinione, peraltro più diffusa e convincente, secondo la quale gli eventi lesivi causati nel corso d'incontri sportivi e nel rispetto delle regole del gioco, restano scriminati per l'operare della scrìminante atipica dell'accettazione del rischio consentito, ha escluso l'operatività di una tale scriminante, con la conseguente antigiuridicità del fatto, fonte di responsabilità a quando si constati assenza dì collegamento funzionale tra l'evento lesivo e la competizione sportiva b quando la violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e rilevanza dello stesso a tal ultimo riguardo, un conto è esercitare un agonismo, anche esacerbato, allorquando sia in palio l'esito di una competizione di primario rilievo, altro conto quando l'esito non abbia una tale importanza o, ancor meno, se si tratti di partite amichevoli o, addirittura, di allenamento c quando la finalità lesiva costituisce prevalente spinta all'azione, anche ove non consti, in tal caso, alcuna violazione delle regole dell'attività. Per converso, deve escludersi antigiuridicità e, quindi, obbligo di risarcimento a ove si tratti di atto posto in essere senza volontà lesiva e nel rispetto dei regolamento e l'evento di danno sia la conseguenza della natura stessa dell'attività sportiva, che importa contatto fisico b ove, pur in presenza di una violazione della norma regolamentare, debba constatarsi assenza della volontà di ledere l'avversario e il finalismo dell'azione correlato all'attività sportiva cfr. Cass. Civ., Sez. 3, n. 12012 dell'8/8/2002, Rv. n. 556833 . Che si tratti di attività rischiose consentite a determinate condizioni lo si ricava piuttosto pacificamente dal coinvolgimento delle società sportive, garanti della tutela e della successiva cura delle lesioni riportate dagli atleti, ove necessaria Sez. 3 Civ., n. 15394 del 13/7/2011, Rv. n. 618886 . 4.2. Le riportate conclusioni implicano l'opzione per la causa di giustificazione atipica di cui s'è detto, a cagione della difficoltà d'inquadrare la pur necessaria ragione che esclude l'antigiuridicità degli esiti di danno, derivanti dallo svolgimento di attività sportiva, in una delle fattispecie regolate espressamente dalla legge. In particolare si è escluso che possa invocarsi la scriminante dei consenso dell'avente diritto, il quale non potrebbe giungere fino a giustificare lesioni irreversibili dell'integrità fisica e financo in alcune discipline la morte nonché quella dell'esercizio del diritto, che non consentirebbe di escludere dall'area della penale responsabilità tutte quelle condotte, che pur commesse in violazione del regolamento che disciplina la singola disciplina sportiva, non risultino esuberare l'area dei rischio accettato. La constatazione che l'esercizio, specie con i caratteri agonistici delle gare di maggior rilievo, di una disciplina sportiva, che implichi l'uso necessario es. pugilato, lotta, ecc. o anche solo eventuale calcio, rugby, pallacanestro, pallanuoto, ecc. forza fisica, costituisce un'attività rischiosa consentita dall'ordinamento, per plurime ragioni, a condizione che il rischio, appunto, sia controbilanciato da adeguate misure prevenzionali, sia sotto forma di regole precauzionali, che dall'imposizione di obblighi di cure e trattamento a carico delle società sportive operanti, costituisce un sapere largamente condiviso. Sottolinea la natura di attività a rischio consentito la sentenza di questa Corte, Sez. 4, n. 20595 del 28/4/2010, dep. 1/6/2010, Rv. 247342, la quale alle pagg. 4 e ss., chiarisce come il rischio qui preso in considerazione sia relativo e non assoluto, in quanto posto a fronte di un vantaggio sociale del pari relativo e non assoluto e come il bilanciamento degli interessi contrapposti imponga uno scrupoloso rispetto delle regole cautelari. Con la conseguenza che il rischio accettato non ricomprende le azioni volontarie poste al di fuori dell'azione di gioco cfr., pure Sez. 5, n. 42114 del 4/7/2011, dep. 16/11/2011, Rv. 251703 o anche solo non finalizzate alla predetta azione e neppure quelle tali da apparire sproporzionate ex ante, in quanto ne sia soggettivamente percepibile la lesività delle stesse. Restano ovviamente coperte dalla scriminante le attività lesive volontarie in competizioni sportive a violenza necessaria o inevitabile ad es. il pugilato , salvo il rispetto, in questo caso più che mai scrupoloso, delle regole cautelari essenziali poste a difesa del bene della vita stessa e al fine di impedire sfoghi cruenti intollerabili per l'opinione assolutamente prevalente dei consociati per restare al pugilato, basti pensare ai colpi vietati - sotto la cintola, sulla nuca - con il contendente al tappeto, o dopo che l'arbitro ne ha constato l'incapacità di difendersi . 4.2. II rischio consentito non è misurabile in astratto. Il perimetro di esso è la risultante di un attento vaglio del caso concreto. Così, si è condivisamente sostenuto, che esso è proporzionale alle caratteristiche e al rilievo della competizione. Un conto trattarsi di attività sportiva soggetta a scontri fisici abituali, altro conto che gli scontri in parola siano più rari, meno determinanti ed intensi basti pensare la differenza che corre tra il rugby e la pallacanestro, pur trattandosi sempre di discipline che prevedono il contatto violento . Un conto è trattarsi di una competizione decisiva per le sorti dell'annata agonistica si pensi a partite di calcio determinanti per la promozione di categoria o per la vincita dello scudetto di serie A, o, al contrario, importanti per scongiurare la retrocessione , oppure priva di un tale connotato dalla gara amichevole, all'allenamento, fino a giungere a partite da dopolavoro - in tal senso, oltre alla già citata sentenza n. 20595, si vedano, Sez. 5, n. 44306 del 4/7/2008, dep. 27/11/2008, Rv. 241687 Sez. 4, n. 2765 del 12/11/1999, dep. 25/2/2000, Rv. n. 217643 -. Si è, inoltre, specificato che l'area consentita è delimitata dal rispetto delle regole dei gioco, la violazione delle quali, peraltro, deve essere valutata in concreto, con riferimento alle condizioni psicologiche dell'agente, il cui comportamento scorretto, travalicante, cioè, quelle regole, può essere la colposa, involontaria evoluzione dell'azione fisica legittimamente esplicata o, al contrario, la consapevole e dolosa intenzione di ledere l'avversario, approfittando della circostanza dei gioco Sez., 5, n. 11473 del 20/1/2005, dep. 23/5/2005, Rv. 231534 . 4.3. A questo punto, tirando le fila, può giungersi ad una esemplificazione schematica, alla luce della quale confrontare l'azione del calciatore qui al vaglio. a Solo nelle discipline a violenza necessaria o indispensabile la scriminante copre azioni dirette a ledere l'incolumità del competitore, salvo, come si è anticipato, il rigoroso rispetto della disciplina cautelare di settore, ivi inclusa la speciale cautela nell'affrontare incontri tra atleti aventi capacità e/o forza fisica impari. In ogni caso, la scriminante non opera se resti accertato che lo scopo dell'agente non era quello di prevalere sul piano sportivo, ma di arrecare, sempre e comunque, una lesione fisica o, addirittura, procurare la morte dei contendente. b Occorre il rispetto della regola della proporzionalità dell'ardore agonistico al rilievo della vicenda sportiva, pur dovendo trovare mitigazione, un tale limite, nell'inevitabile coinvolgimento psico-fisico procurato dalla contesa sportiva, idoneo ad allentare la capacità di giudizio e d'inibizione dell'agente. c L'eventualità che venga violata una delle regole dei gioco, costituisce evenienza preventivamente nota ed accettata dai competitori, i quali rimettono alla decisione dell'arbitro la risoluzione dell'antigiuridicità, che non tracima dall'ordinamento sportivo a quello generale. d In ogni caso, ove il fatto violento, pur se conforme al regolamento dei gioco, sia diretto ad uno scopo estraneo al finalismo dell'azione sportiva o, addirittura, all'azione di gioco, l'esimente non opera. e La scriminante non opera ove il fatto, caratterizzato da violenza trasmodante, appaia inidoneo, con giudizio ex ante, a perseguire lo scopo sportivo. f La scriminante non opera, infine, ove l'azione violenta, contraria al regolamento, venga commessa nonostante risulti percepibile, ex ante, da parte dell'agente, come prevedibile la lesione dell'integrità fisica del competitore. 4.4. Alla luce dell'esposto, senza necessità di far luogo ad approfondimenti di sorta, il Giudice dell'appello avrebbe dovuto concludere per l'insussistenza dell'antigiuridicità del fatto, per l'operare della scriminante di cui s'è discorso. Invero, sulla base di quanto emergente dagli atti, riportato in sentenza, l'infortunio maturò in un frangente di gioco particolarmente intenso gli ultimi minuti dell'incontro , a riguardo d'una azione di gioco decisiva, in un incontro rilevante per quel girone del campionato di eccellenza. L'atto, di poi, era manifestamente indirizzata a interrompere l'azione di contropiede della squadra avversaria, mediante il tentativo d'impossessarsi regolarmente del pallone. La condotta dei D.B., diretta a colpire il pallone, appare meritevole di censura intranea all'ordinamento sportivo, non già perché smodatamente violenta la pienezza agonistica qui era giustificata dal contesto dell'azione, dal momento di essa e dagli interessi in campo , bensì perché, mal calcolando la tempistica, invece che cogliere il pallone, aveva finito per colpire la gamba dell'avversario, che già aveva allungato la sfera in avanti ma, certamente, non sconfina dal perimetro coperto dalla scriminante di cui s'è discorso. Ciò posto, esclusa l'antigiuridicità del fatto s'impone la formula liberatoria di cui in dispositivo, la quale travolge in toto le statuizioni civili P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata poiché il fatto ascritto all'imputato non costituisce reato.