Una sanzione per la società e una per il legale rappresentante: e il ne bis in idem?

L’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU sancisce il principio del c.d. ne bis in idem, il quale esclude che taluno possa essere perseguito, o condannato penalmente, dalla giurisdizione del medesimo Stato, per un reato da cui sia già stato assolto ovvero per il quale sia stato condannato, con provvedimento definitivo. Tale principio trova conforto anche nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Per l’applicazione delle disposizioni di cui sopra è necessaria l’identità soggettiva passiva del destinatario della sanzione.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9224/2016, depositata il 7 marzo. Il caso. Il Tribunale competente, in funzione di giudice del riesame, rigettava, parzialmente, la richiesta di riesame, avanzata per conto di una s.r.l., avverso il decreto che disponeva il sequestro preventivo per equivalente di una somma di denaro, in relazione all’illecito di omesso versamento dell’IVA art. 10- ter del d. lgs. 74/2000 . In particolare, il giudice di prime cure riduceva l’importo, disponendo il dissequestro di una quota di denaro per effetto della intervenuta rateizzazione , mantenendo nel resto il provvedimento cautelare. La s.r.l. ricorreva per cassazione, lamentando la violazione della regole sul ne bis in idem , essendo stata la società assoggettata a duplice sanzione, di carattere afflittivo e di tipo penale, per il medesimo fatto. In particolare, l’impugnante sottolineava che, una volta privata, attraverso la misura cautelare, della somma corrispondente all’IVA non versata, era stata altresì destinataria di una cartella di pagamento, da parte della concessionaria per la riscossione EQUITALIA s.p.a., avente ad oggetto una somma doppia rispetto alla quota di IVA non versata. E’ necessaria l’identità soggettiva passiva del destinatario della sanzione. La Suprema Corte ha, preliminarmente, precisato che l’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU sancisce il principio del c.d. ne bis in idem , il quale esclude che taluno possa essere perseguito, o condannato penalmente, dalla giurisdizione del medesimo Stato, per un reato da cui sia già stato assolto ovvero per il quale sia stato condannato, con provvedimento definitivo. Gli Ermellini hanno, inoltre, ricordato come tale principio trovi conforto anche nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Le disposizioni sopra riportate, hanno chiarito i Giudici del Palazzaccio, devono essere applicate nei casi in cui lo stesso soggetto sia chiamato a rispondere per il medesimo fatto è, dunque, necessaria l’identità soggettiva passiva del destinatario della sanzione. La disposizione della CEDU, ed il principio in essa sancito, non trovano applicazione ove dello stesso fatto rispondano due soggetti diversi, a diverso titolo ciò, a parere del Collegio, è quanto accaduto nel caso di specie. Infatti, la destinataria della sanzione tributaria, di cui all’art. 13 d.lgs. n. 472/97, è la società, mentre il suo rappresentante legale è l’unico soggetto penalmente perseguito per la condotta incriminata dall’art. 10- ter d. lgs. n. 74/2000. A chiosa, i Giudici di legittimità hanno ricordato che, ai sensi dell’art. 7 del d.l. 269/2003, le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio delle società aventi personalità giuridica e la società odierna ricorrente è una s.r.l. sono a carico di queste ultime e non della persona fisica che le rappresenta legalmente . Peraltro, gli Ermellini hanno aggiunto che, nel caso di specie, non c’è stata alcuna sanzione di tipo definitivo, dal momento che il decreto di sequestro finalizzato alla confisca necessita di una conferma giudiziale della condanna penale per il reato presupposto. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 maggio 2015 – 7 marzo 2016, n. 9224 Presidente Squassoni – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1 Con ordinanza del 24 settembre 2014 il Tribunale di Lanusei, in funzione di giudice del Riesame rigettava in parte la richiesta di riesame avanzata nell’interesse della società SALDIMPIANTI COSTRUZIONI MECHANICAL ASSEMBLY s.r.l. avverso il decreto di sequestro preventivo per equivalente fino alla concorrenza di Euro 297.780,00 corrispondente all’omesso versamento dell’IVA per l’anno fiscale 2010 entro il termine di legge previsto per il 27 dicembre 2011. Il Tribunale, infatti, riduceva l’importo ad Euro 275.831.31, disponendo il dissequestro e la contestuale restituzione all’avente diritto della somma di Euro 21.948,69 pari ad una quota parte della IVA omessa oggetto di versamento per effetto della intervenuta rateizzazione, mantenendo nel resto il provvedimento cautelare. 1.2 Propone ricorso avverso il detto provvedimento la società suddetta in persona del suo legale rappresentante I.R. , deducendo due motivi con il primo lamenta l’inosservanza della legge penale e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, evidenziando come l’unica ragione del mancato versamento risiedesse nella improvvisa ed imprevedibile crisi di liquidità dell’azienda che non aveva potuto reperire le risorse destinate all’assolvimento dell’obbligo tributario. Con il secondo motivo la difesa, richiamandosi alla decisione della CEDU nella causa Grande Stevens c. Italia emessa in data 4 marzo 2014, sostiene essere stata violata la regole del ne bis in idem in quanto la società sarebbe stata assoggettata ad una duplice sanzione per lo stesso fatto avente identica natura afflittivi di tipo penale rileva in proposito la difesa che la società, privata in via cautelare della somma corrispondente all’IVA non versata, è stata destinataria, altresì, di una cartella di pagamento da parte della concessionaria per la riscossione EQUITALIA s.p.a. avente per oggetto una somma addirittura doppia rispetto all’IVA omessa ed evidenzia che, in ogni caso, alla notifica della cartella è seguita una rateizzazione concordata del debito tributario in corso al momento del sequestro. Considerato in diritto 1. Il ricorso non può trovare accoglimento. Premesso che al legale rappresentante della società ricorrente è stato contestato il reato di cui all’art. 10 ter del D. Lgs. 74/00 per l’omesso versamento dell’IVA annuale concernente l’anno 2010 per l’importo di Euro 297.780,00, il Tribunale ha ravvisato il fumus criminis nel mancato - e peraltro documentato - assolvimento di tale specifico obbligo tributario. 1.1 È noto quali siano i confini all’interno dei quali il Tribunale è chiamato a verificare la sussistenza del fumus delicti indispensabile per l’adozione del provvedimento cautelare reale. Come ripetutamente affermato da questa Corte, nel caso di adozione di misure cautelari reali, il controllo del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma deve essere limitato alla verifica della corrispondenza della fattispecie astratta di reato ipotizzata dall’accusa al fatto per cui si procede, esulando da tale controllo la possibilità del concreto accertamento delle circostanze di fatto su cui la stessa è fondata, ed a maggior ragione delle circostanze di fatto che alle prime, eventualmente, si sovrappongano, rendendo giustificata la condotta dell’indagato circostanze che sono attribuite alla cognizione del giudice del merito Cass. Sez. 3^ 12.5.1999 n. 1821, Petix, Rv. 214218 . Proprio per questa ragione si rende necessario il rinvio alla fase di merito di profili sia in punto di materialità della condotta che di elemento soggettivo che necessitano di approfondimenti ulteriori incompatibili con la fase cautelare nella quale deve farsi riferimento soltanto alla astratta configurabilità del reato ed alla sussistenza dei presupposti per adottare un provvedimento ablativo provvisorio quale è il sequestro seppur finalizzato alla confisca per equivalente. 1.2 Naturalmente l’attività di controllo del giudice del riesame non potrà essere disancorata dall’analisi delle deduzioni difensive offerte dalle parti, essendo preciso obbligo del giudice, quello di dare conto anche delle ragioni per le quali per le quali il fatto integra il reato contestato, posto che quest’ultimo è antecedente logico e necessario del provvedimento cautelare in questo senso Cass. Sez. 2^ 23.3.2006 n. 19523, P.M. in proc. c. Cappello, Rv. 234197 Cass. Sez. 3^ 20.5.2010 n. 27715, Barbano, Rv. 248134 . 1.3 Ovviamente, poiché è compito del giudice quello di esaminare il fumus criminis in tutte le componenti relative alla fattispecie contestata, ivi compreso l’elemento soggettivo, solo laddove questo risulti ad evidenza insussistente, potrà essere rilevata l’infondatezza del fumus commissi delicti in questo senso Cass. Sez. 4^ 21.5.2008 n. 23944, P.M. in proc. Di Fulvio, Rv. 240521 Cass. Sez. 3^ 11.3.2010, D’Orazio, Rv. 247103 . 1.4 Corollario di tale proposizione è che nella sola ipotesi della ritenuta insussistenza del fumus commissi delicti in tutti le sue componenti, il sequestro oggetto di riesame potrà rectius , dovrà essere revocato. 1.5 Tanto premesso, occorre allora verificare se nel caso di specie il Tribunale si sia attenuto ai detti criteri o se sia incorso in una carenza assoluta di motivazione cui è equiparabile una motivazione meramente apparente e dunque del tutto vuota di contenuto ciò in correlazione con altro limite proprio della impugnabilità in sede di legittimità di provvedimenti cautelari di natura reale, ammessa soltanto per violazione di legge, intendendosi per tale sia quella concernente errores in procedendo che quella concernente errores in judicando ovvero per violazione di legge derivante da vizi motivazionali così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice tra le tante Sez. 1^ 31.1.2012 n. 6821, Chiesi, Rv. 252430 Sez. 5^ 13.10.2009 n. 43068, Bosi, Rv. 245093 s.u. 29.5.2008 n. 25932, Ivanov, Rv. 239692 . 1.6 Orbene il Tribunale, nel ricostruire i termini della vicenda ha ravvisato il fumus criminis attenendosi alle regole sopra enunciate, in quanto oltre a valutare l’elemento oggettivo, sia pure a livello provvisorio sulla base degli atti a disposizione come prospettati dalla Pubblica Accusa, ha tenuto conto anche delle deduzioni difensive prospettate in sede propria dalla difesa che aveva, per l’appunto, posto l’accento esclusivamente sull’improvviso difetto di liquidità dell’azienda. Il Tribunale, in replica a tale tesi, ha escluso che si versasse in una ipotesi di forza maggiore e che da parte della difesa fosse stata fornita la prova della assoluta impossibilità di adempiere all’obbligo per cause non imputabili all’azienda, sottolineando come nel corso del 2011 anno in cui si sarebbe dovuto provvedere al versamento dell’IVA la società aveva avuto a disposizione somme liquide che tuttavia non aveva destinato al versamento dell’IVA. La decisione del Tribunale, quindi, non solo è corretta sotto il profilo motivazionale in quanto nessuna carenza può essere ravvisata essendo stato tenuto conto anche dei rilevi difensivi, ma è rispettosa di quelle regole da tempo elaborate dalla giurisprudenza di questa Corte secondo le quali non è sufficiente ad escludere la colpevolezza in materia di omesso versamento dell’IVA per la cui integrazione è previsto il dolo generico, prospettare la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine cd. lungo , ove non venga dimostrato che tale situazione di impasse finanziaria non sia dipesa dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta v. oltre a S.U. 28.3.2013 n. 37424, Romano, anche Sez. 3^ 24.6.2014 n. 8352, Schirosi, Rv. 263128 idem, 6.11.2013 n. 2614, Saibene, Rv. 258595 e, con riferimento alla similare ipotesi di omesso versamento delle ritenute certificate ex art. 10 bis del D. Lgs. 74/00 Sez. 3^ 5.12.2013 n. 5467, Mercutello, Rv. 258055 Sez. 3^ 1.12.2010 n. 10120, Provenzale . 1.7 Perché in concreto ciò si verifichi, è però necessario che da parte dell’interessato vengano assolti gli oneri di allegazione che dovranno investire non solo l’aspetto della non ascrivibilità a chi abbia omesso il versamento, della crisi economica che ha investito l’azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto non ultimo, il ricorso al credito bancario . Si è anche precisato che il ricorrente che intenda giovarsi in concreto di tale esimente, dovrà dare prova di non aver potuto reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili in questi termini oltre alla ricordata decisione Mercutello, vds. di questa stessa Sezione sentenza 6.2.2014, n. 10813, Servida, non massimata . 1.8 Dal testo del ricorso si ricava una ulteriore prova della esattezza della decisione del Tribunale dal momento che la difesa prospetta quale causa della illiquidità aziendale la circostanza imprevista di un mancato introito di somme da parte di una società la TECNIMONT s.p.a. corrente in Milano per conto della quale la società ricorrente aveva effettuato lavori per la realizzazione di una centrale a biomasse in provincia di Pavia con la quale era insorto un contenzioso poi risolto in fase transattiva che aveva comportato per la società SALDIMPIANTI COSTRUZIONI MECHANICAL ASSEMBLY s.r.l. la percezione di Euro 543,468,86 in luogo della somma dovuta di Euro 1.317.474,80. Tale disponibilità, seppure ridotta rispetto alle previsioni, avrebbe consentito - a giudizio del Tribunale - il reperimento di risorse per il pagamento del tributo, tenuto conto della priorità di assolvimento del debito erariale rispetto ad altri, pur seri, impegni economici. 2. Anche il secondo motivo, a giudizio del Collegio, non è fondato. La ricorrente, partendo dalla condivisibile premessa che il provvedimento di sequestro per equivalente in materia fiscale ha natura eminentemente sanzionatoria v. in proposito S.U. 31.1.2013 n. 18374, Adami e altro, Rv. 255037 Sez. 3^ 6.3.2014 n. 18311, Cialini, Rv. 259103 Sez. 3^ 27.2.2013 n. 23649, D’Addario, Rv. 256164 , perviene alla conclusione che, nel caso in esame, la sanzione tributaria irrogata ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 472/97 avrebbe identica natura. E quanto all’identità del fatto, tale ultima sanzione irrogata attraverso la cartella di pagamento emessa dalla società EQUITALIA s.p.a. ed oggetto della richiesta di rateizzazione poi accolta dalla concessionaria per la riscossione e dalla stessa Amministrazione Finanziaria, muove dal medesimo fatto storico che ha dato luogo alla sanzione di tipo ablatorio disposta dal giudice penale, con la conseguenza che nel caso in esame sarebbe ravvisabile una violazione del principio del ne bis in idem recentemente riaffermato dalla CEDU nella causa Grande Stevens c. Italia con la nota sentenza del 4 marzo 2014. 2.1 Tale tesi non può essere condivisa. Come è noto l’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione E.D.U. sancisce il c.d. principio del ne bis in idem , laddove si afferma che Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato . 2.2 In parallelo l’art. 50 della Carta dei Diritti fondamentali della U.E. dispone testualmente Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge . 2.3 Ora, indipendentemente dalla natura - eventualmente penale - della sanzione inflitta in via amministrativa alla società odierna ricorrente, è incontroverso che la norma europea pone un limite alla possibilità che un individuo venga processato o condannato per una seconda infrazione quando questa scaturisce dagli stessi fatti che hanno dato origine alla prima sanzione. 2.4 Tuttavia tale disposizione trova applicazione nella ipotesi - qui non ricorrente - in cui del medesimo fatto sia chiamato a rispondere lo stesso autore, nel senso, cioè, che occorre anche una identità soggettiva passiva del destinatario della sanzione ma laddove dello stesso fatto rispondono a titolo diverso due diversi soggetti nel caso in esame la società, destinataria della sanzione tributaria vera e propria ed il suo legale rappresentante, unico soggetto ad essere perseguito penalmente per la condotta contemplata dall’art. 10 ter del D. Lgs. 74/00 non punibile ove riferita alla società , la norma EDU non può trovare applicazione è non è superfluo ricordare che a norma dell’art. 7 del D.L. 30.9.2003 n. 269 convertito nella L. 24.11.2003 n. le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio delle società aventi personalità giuridica e la società odierna ricorrente è una s.r.l. sono a carico di queste ultime e non della persona fisica che le rappresenta legalmente v. per tali concetti Sez. 3^ 24.10.2014 n. 43809, Gabbana e altri, Rv. 265118, depositata nelle more del deposito della presente sentenza, secondo la quale non sussiste la preclusione all’esercizio dell’azione penale di cui all’art. 649 cod. proc. pen., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa ma avente carattere sostanzialmente penale ai sensi dell’art. 7 CEDU, allorquando non vi sia coincidenza fra la persona chiamata a rispondere in sede penale e quella sanzionata in via amministrativa . 2.5 Una ulteriore ragione della infondatezza della tesi difensiva - che si connota per un richiamo non adeguatamente approfondito ed elaborato alla sentenza della CEDU 4 marzo 2014 - risiede nel fatto che nel caso in esame non vi è stata alcuna sanzione di tipo definitivo, quanto meno sotto il profilo formalmente penale, posto che il decreto di sequestro per equivalente è sì finalizzato alla confisca che sotto il profilo ablatorio rappresenta una sanzione definitiva ma abbisogna della conferma giudiziale della condanna penale per il reato presupposto, nella specie ancora di là da venire sicché manca anche il requisito della definitività di una sanzione che rende inapplicabile una seconda sanzione per il medesimo fatto. 3. Sulla base di tali considerazioni il ricorso va rigettato segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.