Maltrattamenti: se la relazione è stabile, il reato c’è anche nel rapporto “di fatto”

Il delitto di maltrattamenti in famiglia deve ritenersi configurabile anche ove le condotte illecite siano poste in essere nei confronti del convivente more uxorio è necessario, ai fini di tale configurazione, che il rapporto tra i soggetti coinvolti, benché soltanto di fatto, sia connotato da stabilità e reciproca assistenza e protezione.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8401/2016, depositata il 2 marzo. Il caso. La Corte d’Appello di Palermo, pronunciandosi in seguito a sentenza di annullamento con rinvio della Corte di Cassazione, condannava un imputato per l’illecito di maltrattamenti in famiglia art. 572 c.p. e dichiarava non doversi procedere per l’illecito di lesioni al medesimo contestato. Il condannato ricorreva per cassazione, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di maltrattamenti, contestando la sussistenza del rapporto di stabilità affettiva, di assistenza e di protezione, con la persona offesa, necessario per l’integrazione del reato. Presupposto è un rapporto stabile. La Suprema Corte ha ribadito il costante orientamento giurisprudenziale per cui il delitto di maltrattamenti in famiglia deve ritenersi configurabile anche ove le condotte illecite siano poste in essere nei confronti del convivente more uxorio è necessario, ai fini di tale configurazione, che il rapporto, benché soltanto di fatto, tra i soggetti coinvolti sia connotato da stabilità e reciproca assistenza e protezione. Nel caso di specie, gli Ermellini hanno ritenuto non censurabile la motivazione della Corte territoriale, che ha ritenuto sussistente un rapporto stabile tra il ricorrente e la persona offesa, valorizzando il progetto di vita delle parti coinvolte, progetto che, secondo il Collegio, trovava pertanto un suo visibile precipitato nella cogestione dell’alloggio sede della famiglia di fatto . Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 febbraio – 2 marzo 2016, n. 8401 Presidente Gallo – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Palermo, decidendo in seguito ad annullamento con rinvio della Corte di cassazione, condannava l'imputato alla pena di un anno di reclusione per il reato di maltrattamenti in famiglia riconoscendo l'esistenza di un rapporto more uxorio con la persona offesa. La Corte territoriale dichiarava invece non doversi procedere per remissione di querela in relazione al reato di lesioni, non aggravato in seguiti alla esclusione dell' aggravante teleologica. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato che deduceva 2.1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento del reato di maltrattamenti in quanto mancherebbe il rapporto di stabilità affettiva di assistenza e protezione necessario per la configurazione del reato. Considerato in diritto 1.11 ricorso è infondato 1.1.11 collegio condivide la giurisprudenza secondo cui Il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di persona convivente more uxorio , quando si sia in presenza di un rapporto tendenzialmente stabile, sia pure naturale e di fatto, instaurato tra le due persone, con legami di reciproca assistenza e protezione Cass. sez. 6, n. 21329 del 24/01/2007, Rv. 236757 . La valutazione della esistenza dei legame richiede un giudizio di merito che deve essere trasfuso in una motivazione priva di fratture logiche ed aderente alla emergenze processuali. Nel caso di specie la Corte di appello osservava che il fatto che l'imputato e la parte offesa successivamente alla nascita della figlia abbiano deciso di convivere e abbiano preso in locazione una casa familiare nonché la circostanza che l'imputato ancorchè si sia reso protagonista di frequenti allontanamenti dalla casa familiare abbia continuato a pagare il canone di locazione le quote condominiali e le bollette relative alle utenze dell'abitazione costituiscono elementi che inducono a ritenere sussistente un comune intento della coppia di iniziare e proseguire una stabile convivenza con caratteristiche della famiglia di fatto, cioè a dire un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza pag 3 della sentenza impugnata . La Corte territoriale, ai fini del riconoscimento del rapporto familiare, valorizzava dunque il progetto di vita condiviso emergente dalla gestione della casa comune. Il rapporto di stretta dipendenza affettiva e relazionale che rappresenta il presupposto del reato di maltrattamenti in famiglia nel caso di specie trovava pertanto un suo visibile precipitato nella cogestione dell'alloggio sede della famiglia di fatto. Si tratta di un giudizio di merito privo di fratture logiche manifeste e decisive coerente con le emergenze processuali e con le linee ermeneutiche tracciate dalla Corte di legittimità che si sottrae ad ogni censura in cassazione. 2. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali