L’accertamento sulla corretta qualificazione giuridica del fatto si estende anche alla recidiva: pena l’invalidità della sentenza di patteggiamento

Il controllo della corretta qualificazione giuridica del fatto, che la legge pone espressamente a carico del giudice, si estende pacificamente alle circostanze che connotino l’imputazione formulata e, dunque, ove risulti contestata la recidiva anche a quest’ultima. Ne consegue che, stante l’intervenuta estinzione, ex lege, del solo precedente in forza del quale era stata elevata all’imputato la circostanza di cui all’art. 99 c.p., si è qui in presenza di un errore che inficia la stessa legittimità dell’accordo intervenuto tra le parti, con conseguente invalidità dello stesso e della sentenza che lo ha recepito.

È il decisum della Sesta Sezione del Supremo Consesso Penale, sentenza n. 6673/2016 depositata il 18 febbraio, che ha inteso ribadire in questi termini un principio di diritto consolidato nella materia de qua , a fronte delle evidenze del dettato del codice di rito. È annullabile, in sede di legittimità, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., qualora l’organo giudicante in prima istanza abbia erroneamente contestato la recidiva e, conseguentemente, operato un erronea qualificazione giuridica del fatto. L’errore compiuto da parte del Giudice di prime cure. Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, in qualità di Giudice di primo grado, pronunciava sentenza c.d. di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. con la quale l’imputato veniva condannato alla pena detentiva di mesi dieci di reclusione per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali aggravate, con applicazione del giudizio di equiparazione tra le circostanze attenuanti generiche art. 62- bis c.p. e la recidiva semplice art. 99, comma 1, c.p. , nonché della continuazione tra i due reati ex art. 81, comma 2, c.p Tuttavia, alla stregua di quanto dedotto dal difensore dell’imputato innanzi al Giudice della nomofilachia, il giudizio di valenza tra circostanze eterogenee di cui all’art. 69 c.p. non aveva luogo a porsi. La recidiva, infatti, quale pacifica circostanza aggravante, non doveva essere contestata e posta in equiparazione alle circostanze attenuanti generiche, giacché al momento del compimento del fatto criminoso doveva considerarsi estinto qualsiasi effetto penale dell’unico precedente a carico dell’imputato, anch’esso oggetto di pregressa sentenza di patteggiamento. L’intervento nomofilattico della Corte Suprema di Cassazione. Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Corte Suprema, attraverso le sue argomentazioni, si limita a statuire che nella fattispecie doveva essere osservato l’art. 445, comma 2, in materia di effetti dell’applicazione della pena su richiesta delle parti. A riprova di quanto evidenziato, la sentenza di patteggiamento ordinario” emessa per l’unico precedente era divenuta irrevocabile in data 30.10.2007 mentre i fatti in oggetto di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali aggravate erano avvenuti in data 06 maggio 2014. In ragione di tale evidenza temporale, medio tempore era intervenuta l’estinzione del precedente reato e di qualsiasi connesso effetto penale, stante l’avvenuta decorrenza del termine di 5 anni senza la commissione di un altro delitto della stessa indole. E nel novero degli effetti penali estinti deve essere inclusa pure l’impossibilità che il precedente illecito penale rilevi ai fini della contestazione della recidiva. In totale spregio dell’inequivoco dettato legislativo, il Tribunale di Roma, contestando la recidiva attraverso il giudizio di equiparazione tra la stessa e le generiche, è venuto meno ai consueti compiti accertativi cui è tenuto il giudice nel rito alternativo in parola questi può disporre con sentenza l’applicazione della pena enunciando nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti solo se ha previamente accertato quanto di seguito riepilogato a la sussistenza del consenso della parte che non ha formulato la richiesta ossia l’accordo b la correttezza della qualificazione giuridica del fatto c l’applicazione e la comparazione delle circostanze d la congruità della pena indicata. Viceversa, qualora valuti negativamente i parametri testé elencati, il giudicante deve rigettare la richiesta di applicazione pena, ferma restando la possibilità per le parti di riproporla davanti allo stesso giudice, con adeguata motivazione. In definitiva, avendo il Giudice di prima istanza accolto la richiesta e così compiendo un errato controllo sulla corretta qualificazione giuridica del fatto, un simile errore finisce per compromettere sia la legittimità dell’accordo intervenuto tra accusa e difesa sia la validità della sentenza di patteggiamento che lo ha recepito ragion per cui, impugnata detta sentenza viziata, ne è doveroso l’annullamento in sede di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 gennaio – 18 febbraio 2016, n. 6673 Presidente – Relatore Tronci Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 13.06.2014, il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, applicava ad A.M., in relazione ai contestati reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali aggravate ai sensi del combinato disposto degli artt. 585 e 576 n. 1 cod. pen. , unificati di fatto per continuazione, la pena complessiva di mesi dieci di reclusione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, valutate equivalenti alla parimenti ascritta recidiva, ex art. 99, co. 1, cod. pen. 2. Avverso detta pronuncia ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell'imputato, avv. P. C., lamentando violazione di legge, nonché manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione tanto per aver indebitamente fatto luogo a giudizio di valenza, nonostante che gli effetti penali derivanti dall'unico precedente penale a carico dell'imputato dovessero essere considerati estinti, per effetto del decorso di cinque anni dalla irrevocabilità della relativa sentenza, anche in tal caso emessa ai sensi dell'art. 444 del codice di rito. Donde l'erronea contestazione della recidiva e, per l'effetto, l'erronea qualificazione giuridica dei fatto, da ritenersi estesa alle circostanze, come tale suscettibile di essere sottoposta al controllo dei giudice di legittimità. 3. II P.G. in sede, con propria requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità dell'illustrato ricorso. 4. Con successiva memoria, il difensore dell'imputato ha ribadito le già illustrate doglianze, in particolare significando come la correttezza della contestazione delle circostanze rientri nell'ambito dei compiti di verifica demandati al giudice chiamato a sindacare la legittimità dell'accordo intervenuto tra le parti . Considerato in diritto i. Il ricorso è fondato e merita pertanto accoglimento. Invero, è fuor di dubbio che, nella vicenda in esame, concernente fatti posti in essere il 06.05.2014, il decorso dei quinquennio dal passaggio in giudicato 30.10.2007 dell'unico precedente esistente a carico dell'imputato, costituito dalla sentenza di applicazione della pena emessa il 28.09.2007, abbia comportato l'estinzione del relativo reato e dei connessi effetti penali, ivi compresa, pertanto, la rilevanza dell'illecito ai fini della contestazione della recidiva cfr., esattamente in termini, Cass. Sez. 3, sent. n. 7067 del 12.12.2012 - dep. 2013, Rv. 254742 . E può parimenti convenirsi con la difesa del ricorrente che tali conseguenze si producono ipso iure, senza necessità di una formale declaratoria in tal senso da parte dei giudice dell'esecuzione cfr., da ultimo, Cass. Sez. 5, sent. n. 20068 del 22.12.2014 - dep. 2015, Rv. 263503 . Tanto premesso, è appena il caso di significare che il controllo della corretta qualificazione giuridica del fatto, che la legge pone espressamente a carico del giudice, si estende pacificamente alle circostanze che connotino l'imputazione formulata e, dunque, ove risulti contestata la recidiva - come nel caso in esame - anche a quest'ultima. Ne consegue che, stante l'intervenuta estinzione, ex lege, del solo precedente in forza dei quale era stata elevata all'imputato la circostanza di cui all'art. 99 cod. pen., si è qui in presenza di un errore che inficia la stessa legittimità dell'accordo intervenuto fra le parti, con conseguente invalidità dello stesso e della sentenza che lo ha recepito cfr., esattamente in termini, in relazione ad un'ipotesi di erronea contestazione della recidiva per assenza di pregresse condanne, Cass. Sez. 2, sent. n. 36 del 15.12.2010, dep. 2011, Rv. 249488 . II che integra senza meno l'esigenza di specificità rafforzata che - giusta l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, cui si è richiamato anche il requirente P.G. cfr. Sez. Un. n. 25939 del 28.02.2013, P.G. in proc. Ciabotti ed altro, Rv. 255348 - deve assistere le doglianze mosse avverso una sentenza di applicazione della pena che abbia fatto proprie le richieste formulate dalle parti, posto che la critica svolta vale in effetti a disarticolare il provvedimento che pure ha recepito la domanda proveniente dallo stesso odierno ricorrente. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Roma per nuovo giudizio.