Rapporto intimo con la moglie per salvare il matrimonio: niente ‘permesso’ per il detenuto

Respinta definitivamente la richiesta presentata dall’uomo. Poco plausibile la tesi che l’incontro intimo sia finalizzato ad evitare addirittura l’annullamento del vincolo coniugale per mancata consumazione. E, comunque, per i magistrati non ci si trova di fronte ad un fatto familiare di particolare gravità, tale cioè da legittimare la concessione del ‘permesso’.

Voglio far l’amore con mia moglie ”. Richiesta chiarissima, quella dell’uomo – condannato per associazione mafiosa e rinchiuso in carcere –, ma non sufficiente per ottenere un ‘permesso’. Risibile il richiamo allo spauracchio di un presunto annullamento del matrimonio per mancata consumazione”. Il detenuto, quindi, non può far altro che rinviare l’appuntamento con la consorte, appuntamento programmato per un rapporto intimo”. Cassazione, sentenza numero 882, sezione prima penale, depositata oggi . Appuntamento. Netta la posizione adottata dal Tribunale di sorveglianza nessuna possibilità di concedere al detenuto un ‘permesso di necessità’ per recarsi presso una casa di accoglienza dove incontrare la moglie e trattenere un rapporto intimo con lei . Nonostante le considerazioni proposte dall’uomo – destinato a rimanere in carcere fino al 2034 –, la consumazione del matrimonio non è ritenuto evento familiare di particolare gravità , cioè tale da legittimare il ‘permesso’ anche a favore di detenuti che non usufruiscono di ‘permessi premio’ . E tale visione non è scalfita, ad avviso dei giudici, neanche dal fatto l’ incontro coniugale sia stato presentato come necessario per evitare l’annullamento del matrimonio per mancata consumazione . Permesso. L’uomo però non si arrende. Consequenziale la decisione di proporre ricorso in Cassazione. E nello scenario del ‘Palazzaccio’ il legale sottolinea l’importanza della consumazione del matrimonio , catalogabile, a suo dire, come evento unico, irripetibile, eccezionale e non come esercizio ordinario dell’affettività . Obiettivo dell’avvocato è sostenere la illegittimità della decisione del Tribunale di sorveglianza. Ma ogni obiezione si rivela inutile. Per i magistrati, difatti, la necessità di trascorrere un breve periodo di tempo con il coniuge per consumare il matrimonio non rappresenta motivo grave tale da concedere al detenuto un ‘permesso di necessità’ . Di conseguenza, viene meno l’ipotesi della speciale rilevanza per il diritto del detenuto di esercitare la propria sessualità nel contesto del matrimonio .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 settembre 2015 – 12 gennaio 2016, n. 882 Presidente Siotto – Relatore Mazzei Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza dei 19 novembre 2014 il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha respinto il reclamo proposto da C.D., in espiazione di cumulo di pene di anni 24, mesi 5 e giorni 25 di reclusione per i reati di cui agli artt. 416-bis, 575, 629 cod. pen. ed altri, anche aggravati dall'art. 7 legge n. 203 del 1991, con fine pena previsto al 1° ottobre 2034, diretta ad ottenere un permesso di necessità per recarsi presso la casa di accoglienza Piccoli Passi di Padova, dove incontrare la moglie e trattenere un rapporto intimo con lei. A ragione della decisione il Tribunale ha addotto che la consumazione del matrimonio il C. si era sposato con rito civile nel corso della detenzione, il 6 aprile 2009, con la donna cui era già unito in precedenza e dalla quale ha avuto due figli di sette e dieci anni al tempo della decisione non rientrava nella previsione di cui all'art. 30, comma secondo, Ord. Pen., quale evento familiare di particolare gravità, legittimante il permesso anche a favore dei detenuti che non fruiscono di permessi premio, e, a conforto, ha richiamato la conforme giurisprudenza della Corte di legittimità sentenza n. 48165 del 2008 . L'esercizio dell'affettività, inteso come espressione della sessualità, allo stato della normativa vigente è assicurato al detenuto dal permesso premio e non dal permesso cosiddetto di necessità, che l'interessato ha invocato anche al fine di evitare l'annullamento del matrimonio per mancata consumazione. 2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il C. tramite il difensore, avvocato G.G. del foro di Padova, il quale deduce due motivi. 2.1. Erronea applicazione delle legge penale speciale e manifesta illogicità della motivazione. C. ha chiesto la consumazione del matrimonio, da ritenersi evento unico e irripetibile ed ontologicamente eccezionale, e non l'esercizio ordinario dell'affettività. Tale atto non è rinviabile ai tempi lunghissimi del permesso premio. L'art. 30, comma secondo, Ord. Pen. non va circoscritto ai soli eventi pregiudizievoli o deteriori per la condizione del nucleo familiare di appartenenza del condannato. L'interpretazione restrittiva, illegittimamente e illogicamente sostenuta, contrasterebbe con l'art. 3, punto f , della legge n. 898 del 1970 e con le disposizioni che tutelano la famiglia. 2.2. In subordine, il ricorrente sollecita questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma secondo, Ord. Pen., nell'interpretazione fattane dal diritto vivente, per violazione degli artt. 2 e 3 secondo comma , 27 terzo comma , 29 e 117 Cost., in riferimento agli artt. 8 e 12 Cedu Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali , nella parte in cui dopo la parola gravità non prevede le parole o rilevanza . 3. II Procuratore generale, nella requisitoria depositata il 25 marzo 2015, ha concluso per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. II ricorso è infondato. 1.1. Questa Corte ha già affermato che non costituisce motivo grave che, se accertato, può legittimare la concessione di permesso al detenuto a norma dell'art. 30 legge 26 luglio 1975, n. 354, di Ordinamento penitenziario abbreviata in Ord. Pen. , la necessità di trascorrere un breve periodo di tempo con il coniuge, al fine di consumare il matrimonio celebrato in carcere da parte di detenuto che non si trovi ancora nelle condizioni di poter beneficiare dei permesso premio ai sensi dei successivo art. 30-ter Sez. 1, n. 48165 dei 26/11/2008, Rannesi, Rv. 242437 . 1.2. II sollevato dubbio di costituzionalità in relazione agli artt. 2 e 3 secondo comma , 27 terzo comma , 29 e 117 Cost., quest'ultimo in riferimento agli artt. 8 e 12 Cedu, è manifestamente infondato, poiché rientra nella discrezionalità propria dei legislatore la limitazione della possibilità di concedere ai condannati e agli internati il permesso cosiddetto di necessità, previsto dall'art. 30 legge n. 354 del 1975, ai soli casi di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente e, solo eccezionalmente, per eventi familiari di particolare gravità, in adesione alla struttura e finalità dell'istituto che non costituisce un beneficio premiale, supponente una soglia minima di pena già espiata e la positiva valutazione della condotta in carcere, bensì una misura concedibile a qualsivoglia condannato proprio per il suo carattere emergenziale ed eccezionale e, quindi, coerentemente limitata a situazioni la cui gravità si ponga in termini di irreparabilità attuale morte di un familiare o di un convivente o concretamente probabile imminente pericolo di vita degli stessi , o sia comunque connotata dall'incombere di eventi familiari particolarmente pregiudizievoli. Ne consegue che esula dai limiti del controllo di legittimità costituzionale l'operazione additiva, sostanzialmente richiesta con la trasmissione degli atti al Giudice delle leggi, in funzione dell'interpretazione estensiva della nozione di evento familiare di particolare gravità fino a ricomprendervi l'evento di speciale rilevanza , in cui resterebbe incluso il diritto dei detenuto di esercitare la propria sessualità a seguito di matrimonio contratto in carcere sulla inammissibilità delle questioni di costituzionalità che richiedano interventi additivi in materia riservata alla discrezionalità del legislatore, in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, si vedano, ex plurimis, le sentenze della Corte cost. n. 301 del 2012, n. 134 dei 2012 e n. 271 dei 2010 e le ordinanze n. 138 del 2012 e n. 113 del 2012 . Va aggiunto che è manifestamente infondata la censura del ricorrente che riconduce l'esercizio della propria affettività nella sfera sessuale al diritto di sposarsi e di formare una famiglia art. 29 Cost. e art. 12 Cedu e al diritto al rispetto della vita privata e familiare art. 8 Cedu , da riconoscere anche alle persone condannate, in stato di detenzione in carcere, attraverso l'istituto dei permesso di cui all'art. 30 Ord. Pen. La Corte Edu ha già, più volte, ricordato che qualsiasi detenzione regolare rispetto all'articolo 5 della Cedu comporta, per la sua stessa natura, una restrizione alla vita privata e famigliare dell'interessato e che tali restrizioni sono legittime se non abbiano ecceduto quanto è necessario, ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 2, della medesima Convenzione, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, in una società democratica c.f.r., tra le più recenti Decomma 1/4/2014, Bellomonte comma Italia, e Decomma 9/3/2013, Riina comma Italia . E, nel caso di specie, considerata la gravità dei reati per cui è condanna in espiazione inclusi nel catalogo di cui all'art. 4-bis Ord. Pen. , il lontano fine pena 2034 e la non remota decorrenza di essa dal 18 settembre 2010 le limitazioni subite dal ricorrente nella sua vita privata e famigliare risultano del tutto proporzionate agli scopi legittimamente perseguiti attraverso l'esecuzione della pena senza che lo Stato abbia oltrepassato il margine di apprezzamento di cui gode in materia. 2. Segue il rigetto del ricorso anche per manifesta infondatezza della questione di costituzionalità prospettata e, ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. procomma pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.