Mancanza cronica di documentazione contabile: la Cassazione si scopre garantista?

In tema di bancarotta documentale, qualora sia assente o insufficiente l’accertamento in ordine allo scopo eventualmente propostosi dall’agente ed in ordine alla oggettiva finalizzazione di tale carenza, la mera mancanza dei libri e delle scritture contabili deve essere ricondotta alla ipotesi criminosa della bancarotta semplice. In altre parole l’omessa tenuta delle scritture contabili, può essere sussunta nella più grave fattispecie di cui all’art. 216, comma primo, numero 2 l. fall. solo se risulti assistita non dal dolo generico, ma dal dolo specifico di realizzare un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, al pari delle condotte di sottrazione, distruzione o falsificazioni di libri o scritture contabili.

Questa la linea di confine tratteggiata dalla Cassazione, sentenza n. 50098 depositata il 21 dicembre 2015, fra bancarotta documentale semplice e fraudolenta. La mancanza cronica di contabilità. La vicenda in esame riguarda il caso di una società a responsabilità limitata il cui legale rappresentante, sin dall’inizio, e più precisamente dalla costituzione della società, non si era curato minimamente della tenuta delle scritture contabili obbligatorie per legge. Intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento e, dunque, accertata dal curatore fallimentare la grave inadempienza dell’amministratore, incombe sul giudice penale sussumere la condotta specifica e concreta nella fattispecie astratta della bancarotta documentale fraudolenta ovvero di quella semplice. Distinzione non meramente accademica, considerata la rilevante differenza di trattamento sanzionatorio riservata dal legislatore alle due fattispecie. Una differenza tutta psicologica. Come noto, la fattispecie della bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216 legge fallimentare e quella di bancarotta semplice documentale prevista invece dall’art. 217 legge fallimentare ben possono essere caratterizzate dal medesimo elemento obiettivo la mancanza della documentazione contabile obbligatoria per legge e, dunque, l’unico profilo differenziale in tale ipotesi andrà ricercato nel diverso atteggiarsi dell’elemento psicologico o soggettivo che ha animato la condotta del legale rappresentante. Si dovrà quindi delineare quale sia, sul piano astratto, l’elemento psicologico dell’una e dell’altra fattispecie previste dal legislatore per poi stabilire, in seconda battuta, a quale ricondurre il caso concreto. I precedenti giurisprudenziali. Il primo passaggio non può prescindere da una disamina dei più recenti provvedimenti giurisprudenziali che, più volte, hanno affermato che, per integrare il reato di bancarotta fraudolenta, è sufficiente la consapevolezza che la caotica e confusionaria tenuta delle scritture contabili renderà impossibile o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali della società dichiarata fallita Corte di Cassazione, Sez. V penale, sentenza n. 25746/15 depositata il 18 giugno 2015 . In termini ancora più chiari e in tempi recentissimi, sempre la V Sezione Penale, ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale, è sufficiente provare il dolo generico, consistente nella consapevolezza dell’agente che la confusa tenuta delle scritture contabili potrà rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio, non essendo invece necessario dimostrare il dolo specifico, ossia la specifica volontà di impedire tale ricostruzione Corte di Cassazione, Sez. V penale, sentenza n. 38447/15 depositata il 22 settembre 2015 . Nello stesso senso anche Corte di Cassazione, Sez. V penale, sentenza n. 9250/15 secondo cui, ai fini dell’applicabilità dell’art. 216, comma 1, n. 2, l. fall., l’elemento soggettivo deve essere ricostruito in termini di dolo generico, essendo sufficiente la consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà impossibile la ricostruzione del patrimonio. Invero per rilevare come la giurisprudenza recente non sia proprio granitica è sufficiente richiamare Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 20999/13 per cui in tema di reati fallimentari, e segnatamente di bancarotta documentale fraudolenta, l’omessa tenuta della contabilità interna integra gli estremi di tale reato solo qualora si accerti che scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, risultando altrimenti impossibile distinguere tale fattispecie da quella analoga sotto il profilo materiale, prevista dall’art. 217 l. fall., punita sotto il titolo di bancarotta documentale semplice. Il principio di diritto del caso in esame. Chiamata espressamente, dal principale motivo di ricorso, a pronunciarsi sul tratto distintivo tra bancarotta documentale semplice e fraudolenta, sempre la V Sezione penale non ha esitato a contraddire l’orientamento maggioritario citato per affermare che l’omessa tenuta delle scritture contabili può essere sussunta nella più grave fattispecie di cui all’art. 216, comma primo, n. 2, l. fall., solo se risulti assistita non dal dolo generico, ma dal dolo specifico di realizzare un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, al pari delle condotte di sottrazione, distruzione o falsificazioni di libri o scritture contabili. Detta pronuncia si pone, dunque, in aperto ed evidente contrasto con la giurisprudenza appena citata che ritiene sufficiente il mero dolo generico onde integrare la fattispecie di cui all’art. 216, comma primo, n. 2, l. fall Seppure la sentenza che si annota non si pone il problema dei precedenti giurisprudenziali, il contrasto aperto appare di tale evidenza e portata da attendersi che a breve la questione possa essere sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite ed alla conseguente funzione nomofilattica. E la Corte si scopre garantista .fino alla fine. Il ritrovato garantismo della Sezione V non si arresta al primo passaggio e dunque alla ricostruzione dell’elemento psicologico che caratterizza la fattispecie astratta, ma si spinge anche oltre nel ricondurre all’una o all’altra delle fattispecie legali la condotta concreta serbata dal ricorrente. Infatti, nel caso di specie, la condotta, almeno apparentemente sfrontata, dell’imprenditore, che sin dalla costituzione della società non si era mai curato di tenere le scritture contabili obbligatorie, non viene ritenuta di per sé sufficiente a provare il fine specifico di recare un danno ai creditori o di realizzare un ingiusto profitto, seppur posta in essere in evidente e continuo spregio delle norme che impongono la tenuta obbligatoria delle scritture contabili. Una condivisibile e garantista interpretazione anche in punto di onere della prova, spettando alla pubblica accusa, secondo quanto si può desumere dalla massimo in commento, fornire la prova puntuale del dolo specifico, che non può desumersi dal mero atteggiarsi di una condotta che potrebbe sottendere anche un mero dolo generico.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 luglio – 21 dicembre 2015, n. 50098 Presidente Lapalorcia – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17/06/2014 la Corte d'appello di Catania ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato alla pena di giustizia E.D., in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale commessa nella qualità di amministratore unico della Arched s.r.l. La Corte d'appello ha rilevato a che la mancata tenuta dei libri e delle scritture contabili aveva reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e delle attività sociali, precludendo la dimostrazione sia dell'effettiva sussistenza dei crediti vantati dalla società sia del loro adempimento b che il dolo generico richiesto dalla fattispecie incriminatrice, anche nella forma del dolo eventuale, era integrato dalla consapevolezza che la condotta omissiva serbata avrebbe reso impossibile o estremamente difficile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari c che, nel caso di specie, non risultava che l'imputato, sin dalla costituzione della società, avvenuta nel 1995, avesse tenuto i libri e le scritture contabili. 2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge. Rileva il ricorrente a che, mentre il Tribunale aveva ritenuto sussistente, da un lato, l'ipotesi della sottrazione o della distruzione delle scritture contabili e, dall'altro, il dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, la Corte territoriale aveva valorizzato il mero fatto dell'omessa tenuta delle scritture contabili e, come detto, ritenuto sufficiente il dolo generico b che, tuttavia, l'omessa tenuta delle scritture contabili può essere qualificata come bancarotta fraudolente anziché come bancarotta semplice quando sussista il dolo specifico richiesto dall'art. 216, comma primo, n. 2, prima ipotesi, l. fall. c che la Corte territoriale aveva fatto discendere la prova del dolo dai soli profili oggettivi della condotta. 2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali, in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sottolineando a che gli elementi valorizzati dalla sentenza impugnata o confermavano il comportamento collaborativo dell'imputato e ciò vale per la produzione delle fatture occorrenti per la ricostruzione delle somme da incassare o erano irrilevanti taie era la gestione da parte dell'imputato di altre tre società, che risultavano prive di collegamenti con la fallita o ancora contrastavano con la realtà processuale così il rilievo assegnato all'entità dei preteso passivo, che collideva con la mancata contestazione della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità b che comunque la sentenza impugnata aveva omesso di considerare la sottoposizione ad esame dell'imputato, la produzione documentale, la reale intensità del dolo o il grado della colpa, l'assenza di precedenti penali e, infine, la circostanza che il passivo fosse costituito per lo più da debiti verso l'erario. Considerato in diritto 1. II primo motivo di ricorso è fondato. La Corte territoriale muove dalla premessa della totale mancanza, nel caso di specie, dei libri e delle scritture contabili. Ora, in tema di bancarotta documentale, qualora sia assente o insufficiente l'accertamento in ordine allo scopo eventualmente propostosi dall'agente ed in ordine alla oggettiva finalizzazione di tale carenza, la mera mancanza dei libri e delle scritture contabili deve essere ricondotta alla ipotesi criminosa di bancarotta semplice. Invero la bancarotta fraudolenta documentale, prevista dall'art. 216 comma primo, n. 2 , l. fall., è un delitto doloso, mentre la bancarotta semplice è punibile indifferentemente a titolo di dolo o di colpa, per cui è superflua la indagine sulla efficacia causale dell'omessa o irregolare tenuta dei predetti documenti, che è punita per sè stessa, indipendentemente dalle conseguenze Sez. 5, n. 10364 del 14/04/1999, Ragaldi, Rv. 215031 . In altre parole, poiché l'omessa tenuta delle scritture contabili è, a livello oggettivo, espressamente sanzionata dall'art. 217, comma secondo, I. fai[., essa può essere sussunta, nonostante l'assenza di una esplicita previsione, nella più grave fattispecie di cui all'art. 216, comma primo, n. 2, I. fall. solo se risulti assistita, non dal dolo generico, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, ma dal dolo specifico di realizzare un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, al pari delle condotte di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014 - dep. 23/04/2015, Caprara, Rv. 263242 . 2. L'accoglimento del primo motivo comporta l'assorbimento del secondo, che investe la determinazione della pena. 3. In conseguenza delle superiori considerazioni, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Catania per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Catania per nuovo esame.