Utilizzabili video-intercettazioni ambientali, senza audio, in luogo di privata dimora?

Ai sensi dell’art. 8 CEDU e dell’art. 17 Patto Internazionale sui diritti civili e politici, deve, in particolare, escludersi la ammissibilità, come prove, delle videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi, acquisite in ambito domiciliare, in quanto contrastanti con l’art. 14 Cost. deve riconoscersi l’utilizzabilità delle videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi se avvenuti in luoghi pubblici, aperti o esposti al pubblico deve riconoscersi l’utilizzabilità delle videoregistrazioni, pur se effettuate in ambito domiciliare, se aventi ad oggetto comportamenti di carattere comunicativo, risultando in tal caso applicabile, in via interpretativa, la disciplina legislativa delle intercettazioni ambientali in luoghi di privata dimora, cui possono essere assimilate.

Queste le linee guida dettate dalla Cassazione nella sentenza n. 49843 depositata il 17 dicembre in tema di utilizzabilità di videoriprese senza audio. Alle origini della pronuncia in esame. Nell’ambito di una ampia attività investigativa, con decreto di urgenza del Pubblico Ministero, vengono disposte delle intercettazioni ambientali tramite videoripresa all’interno di un abitazione costituente privata dimora. Dalla visione delle immagini registrate, che per un guasto delle strumentazioni risultano completamente prive di audio, gli operanti comprendono che all’interno dell’abitazione sono state occultate o meglio riposte della armi da guerra. In effetti la disposta perquisizione consente di sequestrare un ingente quantitativo di armi da guerra e della sostanza stupefacente. Naturalmente alla individuazione di alcuni degli indagati si perviene attraverso la visione dei filmati registrati dalle telecamere, che, seppur privi di audio, vengono acquisiti e ritenuti completamente utilizzabili con conseguente pesante condanna inflitta agli imputati. Le ragioni del ricorrente. Richiamando la nota sentenza a Sezioni Unite n. 26795 del 2006 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 135 del 2002 il ricorrente sostiene la inutilizzabilità, come prove atipiche, delle videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi, effettuati in ambito domiciliare, anche se autorizzate dalla Autorità Giudiziaria, in quanto dette condotte sarebbero non registrabili neppure se integranti condotte delittuose in atto. Nel dettaglio i meri comportamenti non comunicativi non sarebbero captabili e gli esiti di intercettazioni, seppur autorizzate, di tali condotte in luogo di privata dimora non sarebbero utilizzabili processualmente anche alla luce dell’art. 8 CEDU, che quale norma interposta tra la Costituzione e la legge ordinaria, prevede un espresso diritto al rispetto della vita privata, al domicilio ed alla corrispondenza. Le valutazioni in diritto della Cassazione. La Cassazione sollecitata dai precisi richiami giurisprudenziali del ricorrente osserva che, effettivamente, come dedotto dalla difesa dell’imputato, ai sensi dell’art. 8 CEDU e dell’art. 17 Patto Internazionale sui diritti civili e politici, deve escludersi la ammissibilità, come prove, delle videoregistrazioni di comportamenti, non comunicativi, acquisite in ambito domiciliare, in quanto contrastanti con l’art. 14 Cost Tuttavia, rammentano gli Ermellini, detto principio subisce due deroghe. La prima attiene al caso in cui le videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi avvengano in luoghi pubblici, aperti o esposti al pubblico, in tale caso, non essendovi alcun contrasto con l’art. 14 Cost. non applicabile non trattandosi di luoghi di privata dimora , deve riconoscersi, dunque, la piena utilizzabilità delle videoregistrazioni medesime. La seconda deroga si ha allorchè le videoregistrazioni, pur effettuate in ambito domiciliare, abbiano ad oggetto comportamenti di carattere comunicativo, risultando in tal caso applicabile, in via interpretativa, la disciplina legislativa delle intercettazioni ambientali in luoghi di privata dimora, cui possono essere assimilate, e dunque utilizzabili allorchè in quel luogo si stia svolgendo attività delittuosa. Il precipitato nel caso concreto. Come noto, nel caso di specie le videoregistrazioni erano avvenute in luogo di privata dimora e per un problema di natura tecnica ne erano esitate le sole immagini video, senza che fosse possibile ascoltare alcun audio. Secondo l’assunto del ricorrente le videoriprese si risolvevano pertanto in immagini prive di alcun contenuto comunicativo e come tali inutilizzabili ai sensi del disposto dell’art. 14 Cost. Diversa la valutazione degli Ermellini. Secondo la Cassazione, infatti, le riprese versate in atti, come aveva ampiamente argomentato sulla specifica doglianza la Corte di Appello, pur effettivamente prive di supporto sonoro per un disguido tecnico, avevano consegnato al processo chiare rappresentazioni di condotte comunque comunicative, tenute da tre soggetti entrati insieme nella abitazione, con costanti dialoghi fra gli stessi, seppur non captati, con la concertata condivisione di movimenti e di scelta dei luoghi ove collocare all’interno della abitazione le armi. Contrariamente dunque a quanto affermato dal ricorrente, oggetto di captazione nel caso di specie erano condotte comunicative ed in quanto tali utilizzabili anche se avvenute in luogo di privata dimora, siccome costituenti condotte delittuose. Verso una riduzione delle garanzie? Pare evidente come la pronuncia in esame se sotto il profilo formale rimarca la garanzia costituzionale della inviolabilità del domicilio sancendo la inutilizzabilità di registrazioni di condotte non comunicative avvenute all’interno dello stesso, sotto il profilo sostanziale, per contro, procede ad ampliare a dismisura il concetto di condotta comunicativa di fatto la condotta non comunicativa diviene ipotizzabile solo allorchè un soggetto si trovi da solo” all’interno della abitazione di fatto togliendo gran parte del vigore e della efficacia alla appena riconosciuta garanzia formale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 novembre – 17 dicembre 2015, n. 49843 Presidente Chieffi – Relatore Tardio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dell'11 dicembre 2012 il Tribunale di Bologna ha dichiarato F.S. responsabile del reato di cui all'art. 2 legge n. 895 del 1967, come modificato dall'art. 10 legge n. 497 del 1974, e all'art. 3 legge n. 110 del 1975 per avere illegalmente detenuto, all'interno dell'appartamento ubicato in nella sua disponibilità, un fucile mitragliatore kalashnikov AK74 cal. 5,45 x 39, predisposto per il tiro a raffica e quindi arma da guerra, che aveva alterato munendolo di silenziatore e di mirino ottico di precisione capo a , e di ulteriori violazioni dello stesso art. 2 legge n. 895 del 1967, come modificato, per avere, nelle medesime circostanze, illegalmente detenuto anche sei caricatori, tre dei quali non compatibili con la predetta arma, costituenti parti di armi da guerra capo b , e centocinquantaquattro proiettili cal. 5,45 x 39, costituenti munizioni per armi da guerra capo e , e, ritenuta la continuazione tra tutti i reati, lo ha condannato alla pena di anni sette di reclusione ed Euro quindicimila di multa. Con la stessa sentenza il Tribunale ha assolto detto imputato dal delitto di detenzione illecita di grammi 353,20 di sostanza stupefacente del tipo hashish capo d per non avere commesso il fatto, e ha assolto con analoga formula la moglie, C.C. , dai medesimi reati di cui ai capi a , b , c e d , ascrittile in concorso. 2. La Corte di appello di Bologna con sentenza del 4 febbraio 2014, in parziale riforma della sentenza di primo grado, che ha confermato nel resto, ha escluso la continuazione tra i fatti puniti ai sensi dell'art. 2 legge n. 895 del 1967 e successive modifiche, determinando la pena infitta all'appellante F. in anni cinque e mesi otto di reclusione ed Euro dodicimilaseicento di multa. 3. La vicenda cui attengono le imputazioni contestate è analiticamente ricostruita nella sentenza di primo grado e ampiamente ripresa nella sentenza di secondo grado, che, richiamando la deposizione del teste P.A. , ispettore superiore di P.S. in servizio presso la S.C.O. della Squadra Mobile di Bologna, rappresentava che - l'origine del procedimento si inseriva in una più ampia attività di indagine che detta Squadra Mobile aveva condotto nel 2011, in coordinamento con quella di Vibo Valentia, su delega della D.D.A. di Catanzaro nei confronti dell'imputato e del fratello F.D. , che, di origine calabrese, risiedevano a omissis in due attigue villette a schiera, che, con ingressi autonomi contraddistinti dai n. 39 e 41, avevano sul retro un giardino comune, che, privo di steccato divisorio, consentiva di accedere dall'una all'altra villetta senza passare sulla pubblica via - nel contesto di tale attività di indagine, erano state eseguite intercettazioni ambientali sonore e audiovisive nell'abitazione, sita al civico n. 41, di F.D. , e attraverso la visione, avvenuta nella mattina del 28 giugno 2011, delle immagini registrate dalla videocamera la sera precedente, non percepite in diretta, era emerso che alle ore 22,50 erano entrati nella indicata abitazione tre uomini, uno dei quali era stato subito identificato dagli operanti nell'imputato, mentre un secondo era stato in seguito identificato in tale S.P. , anche originario coimputato, e un terzo era rimasto non identificato - i tre uomini avevano estratto il contenuto dei sacchetti che avevano recato con loro, consistente in armi, munizioni e parti di armi, che avevano appoggiato sul tavolo e manipolato con guanti di lattice, parlando tra loro senza che, per un disguido tecnico, la loro conversazione fosse registrata, e si erano allontanati dall'appartamento alle ore 0,15, spegnendo la luce - dalle riprese video era anche emerso che alle ore 9,09 del omissis erano entrati nell'appartamento la moglie dell'imputato C.C. , che aveva aperto la porta finestra che dava sul cortile, e, attraverso detta porta, prima lo stesso imputato e alle ore 10,04 S.P. , tutti con abbigliamento succinto, mentre il sacchetto contenente il fucile mitragliatore era ancora ben visibile sul tavolo - gli operanti, giunti sul posto per effettuare una perquisizione domiciliare alle ore 10,30/11,00 della stessa mattina, erano rimasti in osservazione, in assenza degli occupanti di entrambe le villette, fino alle ore 1,15 del 29 giugno 2011, quando avevano proceduto a perquisizione personale dell'imputato, della moglie e di S.P. , appena giunti a bordo dell'autovettura di quest'ultimo, trovando nel di lui marsupio grammi 400,88 di hashish, suddiviso in ottantuno ovuli, e nel possesso della donna le chiavi delle due abitazioni dei civici 39 e 41 - nell'abitazione sita al civico 41, sottoposta a contemporanea perquisizione domiciliare, erano stati rinvenuti un fucile mitragliatore, riposto in modo molto visibile , fuoriuscendo parzialmente la sua canna in metallo, in un sacchetto di carta dell'IKEA, poggiato sul tavolo come emerso dalle videoriprese parti di armi e munizioni e tre bicchieri di plastica che i tre uomini, ripresi dalla videocamera mentre maneggiavano le armi nella notte tra il 27 e il 28 giugno 2011, avevano utilizzato per bere, lasciandoli dove erano stati poi rinvenuti e subito prelevati all'atto della perquisizione, senza che alcuno avesse potuto in tale occasione farne uso - la consulenza tecnica sul DNA aveva consentito di rilevare che il bicchiere B reperto 3 presentava un profilo genetico maschile e misto, compatibile con la mistura tra il profilo dell'imputato e di S. con prevalenza quantitativa per alcuni foci del typing compatibile con il secondo, e che il bicchiere C dello stesso reperto presentava un profilo genetico maschile unico compatibile, anche per il cromosoma Y, con quello dell'imputato, mentre il bicchiere A del medesimo reperto presentava un profilo maschile unico sconosciuto - dall'analisi dei tabulati del traffico telefonico delle utenze dell'imputato e di S. e delle celle agganciate erano risultati circa centodieci contatti tra loro nel periodo 1 giugno 2011-29 giugno 2011, data del loro arresto quattro viaggi di S. in andata e ritorno tra la omissis , utilizzando la sua autovettura, e almeno tre suoi pernottamenti a omissis nella indicata abitazione dell'imputato il rientro in aereo a omissis dell'imputato e della moglie il omissis - l'arma, le parti di arma e le munizioni erano state sottoposte a perizia balistica, i cui esiti erano specificamente descritti in atti. 4. La Corte di appello, riportate le considerazioni espresse dal primo Giudice a fondamento della decisione di condanna e del rigetto delle eccezioni sollevate dalla difesa, già oggetto di apprezzamento negativo con le pur richiamate ordinanze dibattimentali, e illustrate diffusamente le ragioni di doglianza poste dall'imputato a fondamento dei motivi di appello, principali e aggiunti - riteneva infondata l'eccezione di inutilizzabilità delle captazioni visive e sonore realizzate all'interno dell'abitazione di F.D. sita al civico n. 41 di via del omissis , sotto entrambi i profili prospettati, e afferenti, rispettivamente, alla incompatibilità del differimento dell'avvio delle captazioni con l'emissione di decreto autorizzativo emesso dal Pubblico Ministero sul presupposto dell'urgenza, e alla inammissibilità, prima ancora che alla inutilizzabilità, delle captazioni aventi a oggetto comportamenti di fatto e non comunicativi - rilevava, quanto al primo profilo, la condivisibilità del principio affermato da questa Corte sez. 6 n. 11189 del 2012 circa il computo della durata delle operazioni dal momento del loro inizio effettivo, e non da quello della emissione del provvedimento autorizzativo, e circa il contenimento della durata dell'attività di indagine invasiva, assicurato dal controllo giurisdizionale, e l'applicabilità di tale principio alla ipotesi, verificatasi nella specie, di tardiva attuazione del decreto del Pubblico Ministero, emesso in data 21 aprile 2011 e convalidato dal Giudice per le indagini preliminari il 22 aprile 2011, da parte della Polizia giudiziaria, che, per difficoltà di accesso all'abitazione di F.D. , vi aveva dato attuazione pratica a partire dal 7 giugno 2011, apprezzandosi l'urgenza, secondo condivisa giurisprudenza, con riferimento al momento dell'autorizzazione - rimarcava, quanto al secondo profilo, richiamando la decisione delle Sezioni unite di questa Corte n. 26795 del 2006 e l'intervento della Corte costituzionale con sentenza n. 135 del 2002, la inammissibilità come prove atipiche delle videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi , effettuati in ambito domiciliare, nemmeno se autorizzate dall'Autorità giudiziaria, e, procedendo alla disamina del tema relativo alla individuazione dei comportamenti non comunicativi, non registrabili neppure se integranti condotte delittuose in atto, evidenziava che, nel caso di specie, erano state certamente intercettate immagini funzionali alla captazione di messaggi, tali intendendosi le forme più varie di comunicazione tra presenti - ricordava che l'autorizzazione aveva riguardato intercettazioni visive e sonore e che, per mero disguido tecnico, non si erano attuate per un certo periodo le seconde i filmati registrati avevano chiaramente intercettato forme di comunicazione gestuale, essendo evincibile chiaramente che i tre soggetti ripresi erano entrati nell'abitazione, avevano parlato e comunicato tra loro, avevano insieme visionato e maneggiato armi e parti di esse, e ne avevano gestito insieme la collocazione, in tal modo condividendo di concerto un'azione con forme gestuali di comunicazione non disgiunte da quelle verbali non captate i comportamenti comunicativi erano assimilabili alle conversazioni tra presenti, previste e ammesse dal codice di rito penale e rispettose dei principi costituzionali e delle norme C.E.D.U. - giudicava infondata l'eccezione di inutilizzabilità degli esiti della perquisizione domiciliare, poiché eseguita legittimamente in presenza dei presupposti di legge, e considerava legittimo l'eseguito sequestro, in quanto rispettoso dei principi costituzionali ed Europei, mentre era logico l'omesso riferimento nel verbale di perquisizione alle captazioni eseguite e agli elementi indiziari certi, essendo in corso le indagini della D.D.A., e in sede dibattimentale era stato esplicitato dai testi escussi, in termini riscontrati e verificati, che la perquisizione era stata eseguita in dipendenza delle emergenze delle riprese visive - rappresentava anche l'infondatezza della eccezione relativa all'arbitrario ritardo del sequestro ripercorrendo le fasi che avevano preceduto l'esecuzione della perquisizione, ostative alla richiesta di autorizzazione al Pubblico Ministero - sottolineava che il giudizio di responsabilità dell'appellante trovava fondamento nelle risultanze probatorie, correttamente valutate, senza necessità di procedere a perizia antropometrica, e in particolare nel riconoscimento dello stesso da parte degli operanti, nella visione dei filmati e dei fotogrammi, nell'assenza di un alibi, negli esiti della consulenza tecnica esperita su incarico del P.M. sui bicchieri, nella univoca manipolazione e gestione di armi la notte tra il omissis da parte dell'appellante e di S. , e nel rinvenimento delle stesse il successivo omissis senza intermedio intervento di persone diverse - riteneva fondato il motivo di appello riguardante la dedotta erronea applicazione dell'istituto della continuazione tra i reati, integrando la illegale detenzione di armi nel medesimo contesto un unico reato, incidente sulla quantificazione della pena finale, che era rideterminata. 5. Avverso la sentenza di appello F.S. ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore avv. Gabriele Bordoni, chiedendone l'annullamento sulla base di tre motivi. 5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 267, comma 2, cod. proc. pen. con riferimento al termine di avvio e di durata delle operazioni captative e alla conseguente legittimità, ammissibilità e utilizzabilità dei loro esiti. Secondo il ricorrente, che premette in fatto che la Procura della Repubblica di Catanzaro ha emesso il 21 aprile 2011 decreto di intercettazione di urgenza relativo all'abitazione di residenza di F.D. in omissis , convalidato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro il 22 aprile 2011, e, rettificandolo parzialmente, ha fissato per la sua attuazione il 27 aprile 2011, e che l'intercettazione, attivata solo il 7 giugno 2011, è terminata il 4 dicembre 2011, la Corte di appello non ha compreso i termini della doglianza difensiva, già rappresentata con l'atto di appello, svolgendo argomentazioni non coerenti e richiamando giurisprudenza inconferente. Il tema atteneva e attiene non al ritardo dell'avvio delle captazioni per difficoltà tecniche incontrate dalla Polizia giudiziaria delegata alla loro esecuzione, ma alla peculiarità del procedimento di urgenza. Tale procedimento, ad avviso del ricorrente, si caratterizza rispetto a quello ordinario per l'adozione da parte del pubblico ministero del decreto di intercettazione, in presenza di situazioni eccezionali che impongono di avviare immediatamente le captazioni e devono essere rilevantissime, straordinarie e capitali per la sorte delle indagini, con contestuale richiesta di convalida al giudice per le indagini preliminari, e soprattutto per la previsione che, ove tale convalida non intervenga nel termine stabilito, l'intercettazione non può essere proseguita, cui consegue che l'intercettazione deve essere stata già immediatamente avviata, pena lo stravolgimento dell'istituto la cui ragione fondante si rinviene nella massima urgenza, da apprezzare in rapporto all'arco temporale entro il quale il decreto deve essere convalidato. L'avvio delle intercettazioni, fissato dallo stesso Pubblico Ministero per il 27 aprile 2011 con cinque giorni di ritardo rispetto alla convalida del 22 aprile 2011, è stato quindi del tutto arbitrario, e tale differimento ha creato motivo di inutilizzabilità dell'esito della intercettazione disposta per le date successive a quella del 31 maggio 2011, corrispondente al quarantesimo giorno decorrente dal 21 aprile 2011 in cui è stato disposto il suo avvio in via di urgenza. 5.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 266, comma 2, cod. proc. pen. in relazione alla inammissibilità e inutilizzabilità di videoregistrazioni di condotte non comunicative effettuate all'interno del domicilio. Secondo il ricorrente, il materiale captato è inutilizzabile per la sua stessa natura, perché le immagini sono senza sonoro e sono rappresentative di comportamenti non comunicativi, e come tali non utilizzabili per violazione della norma indicata, che si riferisce solo a comunicazioni tra presenti . L'affermazione della Corte di appello che tali immagini derivate dalle captazioni hanno consegnato al processo comportamenti comunicativi, e quindi utilizzabili, è priva di consistenza e di fondamento, poiché le comunicazioni, se possono essere anche non verbali, devono comunque rendere percepibile e comprensibile il trasferimento di un messaggio o di una informazione da un soggetto a un altro, mentre nella specie è stata tratta dalle immagini solo la condotta dei soggetti intenti a manipolare l'arma, e quindi la semplice relazione tra le persone e l'oggetto illecito, nulla essendo evidenziato circa il contenuto e il significato di ritenuti comportamenti comunicativi tra le stesse persone. I meri comportamenti non comunicativi poiché non captabili, secondo i principi espressi dalle Sezioni unite di questa Corte con sentenza n. 26795 del 2006, non sono utilizzabili processualmente, anche alla luce dell'art. 8 C.E.D.U., che, quale norma interposta tra la Costituzione e la legge ordinaria, prevede un espresso diritto al rispetto della vita privata, al domicilio e alla corrispondenza, e pure quando integrano condotte delittuose in atto, come precisato nella stessa sentenza impugnata. L'operante di P.G. P. ha, inoltre, espresso apprezzamenti personali non utilizzabili quanto alla rilevabilità del contenuto dei sacchetti posti sul tavolo della casa di F.D. e in relazione alle sembianze dei soggetti ripresi, trattandosi peraltro di immagini di pessima qualità e oggettivamente sfalsate negli orari, senza che tale testimonianza possa ritenersi utilizzabile, essendo rappresentativa di una intercettazione inutilizzabile e rivelandosi le affermazioni del teste come inammissibili, empiriche e valutative. In ogni caso, le immagini, se utilizzabili, dovevano essere oggetto di apprezzamento secondo il metodo scientifico del c.d. raffronto dimensionale antropometrico al fine di pervenire a un giudizio di identità e non di mera compatibilità tra esse. 5.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli att. 41 T.U.L.P.S. e 352 cod. proc. pen., in relazione ai diritti fondamentali in tema di inviolabilità del domicilio e libertà personale, garantiti dagli artt. 13 e 14 Cost. e dall'art. 8 C.E.D.U Secondo il ricorrente, la Squadra Mobile della Questura di Bologna, limitandosi a dare atto nel verbale di perquisizione domiciliare del 29 giugno 2011 che l'intervento era stato eseguito perché l'Ufficio aveva acquisito da attività istituzionale la notizia che vi erano fondati motivi per ritenere che nell'abitazione indicata si trovassero occultate armi e/o munizioni non denunciate, non consegnate o comunque abusivamente detenute, non aveva precisato meglio la fonte dell'informazione, indicandola solo al dibattimento nella visione di immagini captate all'interno dell'abitazione in oggetto, invece non utilizzabili e inidonee a innescare legittimamente un'attività invasiva. La perquisizione, inoltre, non è avvenuta nella immediatezza, ma a distanza di ore dall'acquisizione della notizia come indicata, a ciò conseguendo che era necessario per gli operanti munirsi di autorizzazione del Pubblico Ministero competente, una volta che non vi era l'urgenza massima per una deviazione dalle regole comuni, con conseguente illegittimità dell'eseguita attività di ricerca della prova e della inutilizzabilità del sequestro, quale suo interdipendente esito. Tale conclusione è confortata, ad avviso del ricorrente, dalla giurisprudenza che, contrapponendosi a quella che ritiene apprensibili i frutti della pianta avvelenata , sottolinea il rapporto tra i due momenti perquisizione e sequestro ed estende al sequestro la nullità della perquisizione quale suo antecedente cronologico, logico e funzionale, in evidente rapporto di funzionalità tra loro. Il tema, che si correla con la distinzione tra inutilizzabilità patologica e fisiologica degli elementi probatori, deve anche fare i conti con la regola Europea tratta dall'art. 6 C.E.D.U., alla cui stregua le prove acquisite in violazione dei diritti costituzionali sono incostituzionali, e con l'interpretazione estensiva del principio codicistico, di cui all'art. 191 cod. proc. pen., della inutilizzabilità delle prove assunte in violazione della legge, comprendendovi anche la Costituzione, e quindi rientrandovi anche le prove acquisite in violazione dei diritti da essa tutelati, come affermato in più occasioni nelle richiamate sentenze della Corte costituzionale, delle Sezioni unite di questa Corte e della Corte E.D.U Nella specie, la illegittimità della perquisizione, operata in violazione dell'art. 6 C.E.D.U., ha inciso sul sequestro insanabilmente viziato come rilevato con condivise considerazioni in situazione sovrapponibile dal Tribunale di Lecce con sentenza n. 33 del 2013, ampiamente riportata per stralci testuali e condivisa nelle sue riflessioni e conseguenti considerazioni. Espungendo dal processo le prove inutilizzabili, ad avviso del ricorrente, nulla resta a suo carico con conseguente sua necessitata assoluzione da tutte le imputazioni. Considerato in diritto 1. La censura avanzata con il primo motivo riguarda la inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni visive e sonore, eseguite all'interno dell'abitazione di F.D. , sita al civico n. 41 di Via omissis . 1.1. Detta eccezione è dedotta sotto il profilo, in diritto, della incorsa violazione dei principi che attengono all'utilizzo della procedura di urgenza, che si articola nella emissione, sul presupposto della urgenza, del decreto autorizzativo da parte del pubblico ministero, e nella sua motivata convalida, entro il previsto termine di quarantotto ore, da parte del giudice per le indagini preliminari, la cui mancanza, ai sensi dell'art. 267, comma 2, cod. proc. pen., è ostativa alla prosecuzione della intercettazione e preclusiva della utilizzazione dei suoi esiti, e sotto il profilo, in fatto, dell'avviamento da parte del Pubblico Ministero delle captazioni, convalidate il 22 aprile 2011, solo il 27 aprile 2011 e in concreto il successivo 7 giugno 2011, dopo la scadenza del quarantesimo giorno fissato con il decreto del 21 aprile 2011. 1.2. La questione, già posta dal ricorrente a oggetto del suo atto di appello e coerentemente interpretata dalla Corte di appello in correlazione alla rappresentata inammissibilità del differimento dell'avvio delle captazioni, autorizzate dal Pubblico Ministero sul presupposto dell'urgenza, in contrasto con detto stesso presupposto, è priva di fondamento. 1.3. Questa Corte, pronunciandosi sul tema delle intercettazioni disposte in via di urgenza con decreto del pubblico ministero, successivamente convalidato dal giudice per le indagini preliminari, ha ricordato, con orientamento sostanzialmente uniforme, che la inutilizzabilità degli esiti di tali intercettazioni è prevista dall'art. 267 cod. proc. pen. solo nel caso di mancata convalida e che, pertanto, una volta che la stessa intervenga assorbendo integralmente il provvedimento originario, resta preclusa ogni discussione sulla sussistenza del requisito dell'urgenza, rimessa, peraltro, alla valutazione dell'organo procedente tra le altre, Sez. 1, n. 23513 del 22/04/2004, dep. 19/05/2004, Termini, Rv. 228245 Sez. 2, n. 215 del 04/12/2006, dep. 09/01/2007, Figliuzzi, Rv. 235859 Sez. 6, n. 35930 del 16/07/2009, dep. 16/09/2009, Iaria, Rv. 244872 Sez. 5, n. 16285 del 16/03/2010, dep. 26/04/2010, Baldissin, Rv. 247266 Sez. F, n. 32666 del 24/08/2010, dep. 02/09/2010, Crupi, Rv. 248253 . 1.3.1. Sotto concorrente profilo, si è anche osservato che, ai fini dell'esercizio, da parte del pubblico ministero, della facoltà di disporre, nel concorso di grave pregiudizio alle indagini, intercettazioni in via d'urgenza, l'arco cronologico in riferimento al quale va apprezzata l'eventualità di tale pregiudizio che consente, in deroga alla procedura ordinaria della richiesta di autorizzazione, l'adozione del decreto del pubblico ministero si identifica, in mancanza di espressi riferimenti normativi, con lo stesso lasso di tempo quarantotto ore riservato al giudice per la convalida del decreto dell'organo inquirente Sez. 1, n. 21923 del 30/01/2007, dep. 06/06/2007, drillo, Rv. 236693 , e si è rimarcato che non possono di per sé influire sulla validità e utilizzabilità dei risultati delle operazioni gli eventuali ritardi intervenuti nell'attivazione delle intercettazioni, risultando tali ritardi, afferenti la fase esecutiva, inidonei a dimostrare ex post il difetto del requisito dell'urgenza che va apprezzata avendo riferimento al momento dell'autorizzazione , anche chiarendosi che il pubblico ministero, qualora ritenga di procrastinare l'inizio delle operazioni rispetto alla data del decreto per ragioni connesse alle indagini, non è tenuto a fornire in proposito alcuna motivazione, in quanto l'art. 267, comma 3, cod. proc. pen. riserva alla parte le modalità e la durata delle operazioni tra le altre, Sez. 1, n. 20568 del 15/04/2011, dep. 24/06/2011, Pelle, non massimata Sez. 1, n. 33500 del 15/04/2011, dep. 09/09/2011, Pelle, non massimata . 1.3.2. Si è anche rilevato, con ribadita enunciazione, che, in tema di intercettazione di conversazioni o comunicazioni, è principio generale che la durata delle operazioni deve computarsi dal momento di inizio effettivo delle stesse, e, cioè, dal momento iniziale dell'esecuzione, e non da quello in cui viene emesso il provvedimento che le autorizza Sez. U, n. 6 del 23/02/2000, dep. 08/05/2000, D'Amuri, Rv. 215842 tra le successive, Sez. 1, n. 3631 del 17/05/2000, dep. 13/06/2000, P.M. in proc. Dessi, Rv. 216178 Sez. 6, n. 22501 del 18/03/2011, dep. 07/06/2011, P.M. in proc. Battaglia, Rv. 250495 , rappresentandosi, sotto il profilo descrittivo e funzionale, che l'art. 267 cod. proc. pen., comma 3, prevede come oggetto di indefettibile previsione nel decreto di autorizzazione un termine di durata preordinato ad assicurare il controllo giurisdizionale sul contenimento nei limiti temporali strettamente necessari per l'esecuzione di un'attività di indagine, invasiva ed incidente sul diritto alla riservatezza nelle comunicazioni personali Sez. 5, n. 21047 del 11/03/2011, dep. 26/05/2011, D'Alfonso, Rv. 250416 , sottolineandosi che su tali premesse è ininfluente il ritardo nell'adozione del decreto esecutivo . oppure nella materiale esecuzione del provvedimento per ragioni connesse alla complessiva attività di polizia giudiziaria , e ulteriormente evidenziandosi che ciò che conta è solo il controllo giurisdizionale sul contenimento nei limiti temporali strettamente necessari per l'esecuzione di un'attività di indagine invasiva e non il momento dell'esecuzione stessa ad opera della polizia giudiziaria, condotta che implica la soluzione di problemi pratici, non conoscibili da parte dell'autorità giudiziaria che procede Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, dep. 22/03/2012, Asaro, Rv. 252189, in motivazione . 1.4. Di questi principi, che il Collegio condivide e riafferma, la Corte di appello dopo, e il Tribunale prima, hanno fatto esatta interpretazione e corretta applicazione nella fattispecie concreta. Le sentenze di merito, invero, hanno logicamente tenuto conto del provato dato fattuale che il decreto del 21 aprile 2011, con il quale il Pubblico Ministero della D.D.A. di Catanzaro ha disposto le intercettazioni in via di urgenza, ai sensi dell'art. 267, comma 2, cod. proc. pen., è stato ritualmente convalidato con decreto del 22 aprile 2001 del competente Giudice per le indagini preliminari, che ha in tal modo esercitato il controllo sull'attività del Pubblico Ministero, apprezzando, tra l'altro e per l'effetto, l'urgenza in relazione alla possibilità della verificazione del grave pregiudizio per le indagini , e si sono ragionevolmente fatte carico dell'emerso dato fattuale che l'indicato decreto ha trovato attuazione pratica solo con decorrenza dal 7 giugno 2011, coerentemente collegando il ritardo ai problemi tecnici, chiariti dal Pubblico Ministero, legati alle difficoltà di accesso della Polizia giudiziaria nell'abitazione di F.D. , dove dovevano essere collocati gli apparecchi funzionali alle operazioni di captazione. In tal modo, l'apprezzamento conclusivo della utilizzabilità delle intercettazioni è congruente, in diritto, con il ribadito rilievo che il vaglio giurisdizionale del Giudice per le indagini preliminari in ordine al decreto di urgenza del Pubblico Ministero è avvenuto, con riferimento al momento dell'autorizzazione, nel rispetto del termine perentorio previsto dalla legge con la riaffermata esclusiva pertinenza dell'inizio delle operazioni alla fase esecutiva rimessa all'organo investigativo, senza incidenza negativa del ritardo afferente a tale fase per la presenza di determinate esigenze tecniche e/o investigative sul già ritenuto requisito dell'urgenza, e con la condivisa decorrenza del termine di validità dell'autorizzazione dalla data di effettivo inizio delle operazioni. 1.5. Nella indicata prospettiva sono destituiti di fondamento i rilievi difensivi, che oppongono una lettura del testo normativo di cui all'art. 267, comma 2, cod. proc. pen., che, fondato sulla rappresentazione del dato letterale riguardante la impossibilità di prosecuzione , e non di avvio , delle captazioni in caso di diniego della convalida, non trova riscontro nella giurisprudenza di questa Corte e segnatamente nella decisione richiamata in ricorso Sez. 1, n. 21923 del 30/01/2007, citata , che, nella massima ufficiale e nella motivazione, non si riferisce all'avvio delle captazioni quale condizione di legittimità della richiesta di convalida del pubblico ministero, ma al dato temporale dell'apprezzamento della urgenza, identificato con lo spazio riservato al giudice per la convalida. Neppure induce a diversa riflessione il riferimento, peraltro aspecifico in mancanza di supporto documentale che lo attesti, al disposto avvio delle captazioni da parte del Pubblico Ministero, funzionalmente deputato alla indicazione delle loro modalità esecutive, il successivo 27 aprile 2011, mentre sono contraddittori e comunque manifestamente infondati i rilievi difensivi attinenti alla esclusa e, contestualmente, ammessa rilevanza dell'avvio effettivo delle operazioni soltanto il successivo 7 giugno 2011, con riferimenti generici a diverse emergenze di altro, pure generico, procedimento, e con la eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni successive alla scadenza del termine fissato nel decreto, fatto decorrere dal 21 aprile 2011, e non fondatamente dal 7 giugno 2011. 2. Privo di fondatezza è anche il secondo motivo che attiene alla contestata ammissibilità e utilizzabilità del materiale captato all'interno dell'abitazione di F.D. , perché consistente, per ragioni tecniche attuative, in riprese video senza sonoro rappresentative di comportamenti non comunicativi e, pertanto, non apprezzabili come consentite comunicazioni tra presenti. 2.1. Secondo la tesi del ricorrente - già dedotta dinanzi al Tribunale, che l'ha esaminata e valutata, giudicandola infondata, con l'ordinanza del 9 ottobre 2012 e successivamente con la sentenza dell'11 dicembre 2012, che ha definito il primo grado del giudizio, e sottoposta, con i motivi di appello alla Corte di appello, che ha confermato anche sul punto la prima sentenza - le captazioni che, indipendentemente dal provvedimento autorizzativo, si sono risolte in riprese video, né potevano proseguire dal momento dello svanimento dell'audio , né potevano e possono ritenersi utilizzabili, in quanto attinenti a mere condotte, ossia a meri comportamenti non comunicativi. La tesi, che muove dal concetto di comunicazione e di comportamenti comunicativi e trae ragione della non captabilità di detti comportamenti all'interno della dimora privata e della loro conseguente non utilizzabilità processuale da arresti di questa Corte e dai principi fissato dalle Sezioni unite con la indicata decisione n. 26795 del 2006 , oltre che dai principi costituzionali e sovranazionali, investe anche la inammissibilità, a commento di materiale inutilizzabile, delle prove dichiarative, di contenuto, peraltro, empirico e valutativo, non altrimenti e tecnicamente riscontrato. 2.2. I vari profili dedotti a conforto della eccezione sono privi di giuridico pregio. 2.2.1. Le Sezioni unite di questa Corte, con la predetta decisione Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, dep. 28/07/2006, Prisco, Rv. 234270 , che, richiamata dal ricorrente anche nel suo atto di appello e dai Giudici dei due gradi del giudizio di merito, è stata già oggetto del dibattito giudiziario, hanno affermato che le riprese video di comportamenti non comunicativi non possono essere eseguite all'interno del domicilio , in quanto lesive dell'art. 14 Cost., e che, trattandosi di prova illecita, non può trovare applicazione la disciplina dettata dall'art. 189 cod. proc. pen Alla stregua dei principi sanciti da detta sentenza, che ha illustrato l'intervento della Corte costituzionale con sentenza n. 135 del 2002 ed evocato, sul punto della tutela del diritto alla riservatezza, i riferimenti all'art. 8 C.E.D.U. e all'art. 17 Patto internazionale sui diritti civili e politici, deve, in particolare, escludersi l'ammissibilità, come prove, delle videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi acquisite in ambito domiciliare, in quanto contrastanti con l'art. 14 Cost. deve riconoscersi l'utilizzabilità delle videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi se avvenute in luoghi pubblici, aperti o esposti al pubblico deve riconoscersi l'utilizzabilità delle videoregistrazioni, pur effettuate in ambito domiciliare, se aventi ad oggetto comportamenti a carattere comunicativo, risultando in tal caso applicabile, in via interpretativa, la disciplina legislativa della intercettazione ambientale in luoghi di privata dimora, cui possono essere assimilate. 2.2.2. Tali principi, che questa Corte ha condiviso in successive decisioni tra le altre, Sez. 6, n. 44936 del 23/10/2012, dep. 16/11/2012, Evangelisti, Rv. 254116 Sez. 6, n. 16595 del 12/03/2013, dep. 12/04/2013, Evangelisti, Rv. 256145 , sono stati esattamente interpretati dalla Corte di appello, che, congruamente illustrandoli, e rilevando che, in coerenza con essi, le captazioni visive in ambito domiciliare ripetevano la loro legittimità dalla presenza di più persone comunicanti tra loro, ha non solo evidenziato la debita intervenuta autorizzazione delle intercettazioni visive e sonore, ma ha anche rimarcato che, pur nella temporanea assenza per disguido tecnico delle captazioni sonore, quelle visive hanno consegnato al processo chiare rappresentazioni di condotte di natura comunicativa, che, tenute dai tre soggetti entrati insieme nell'abitazione oggetto di intercettazione , si sono sostanziate nel costante dialogo tra essi intercorso, anche non captato, nella concertata condivisione dei loro movimenti e nella congiunta visione e gestione delle armi o di parti di esse. Le indicate condotte sono state, poi, correlate, nell' iter valutativo delle decisioni di merito e con diffuse e ragionevoli argomentazioni, con il successivo ritrovamento nell'abitazione di S.D. - avvenuto senza soluzione di continuità nella prospettata evoluzione degli eventi - del fucile mitragliatore kalashnikov, delle parti di armi e delle munizioni in sequestro, e con i pertinenti riferimenti alle emergenze processuali di natura dichiarativa e tecnica riconducenti, senza alcuna necessità di ulteriori verifiche peritali, alla presenza del ricorrente in detto luogo. 2.2.3. Consegue agli svolti rilievi - non oggetto di critica specifica da parte del ricorrente che, riproponendo le sue deduzioni, si è limitato a contestare la ritenuta natura comunicativa del materiale captato e la sufficienza delle emergenze disponibili e utilizzate, in contrapposizione argomentativa rispetto all'operato apprezzamento fattone in diritto e in fatto - la correttezza dell'analisi svolta che, valorizzando la chiara rappresentazione, tratta dalle captazioni, della presenza dei tre soggetti, tra cui il ricorrente, in effettiva comunicazione tra loro, e delle armi nello stesso luogo del loro successivo, ma non discontinuo, ritrovamento, è pervenuta, in termini di congruente inferenza logica, a collegare le armi, in via concorsuale, allo stesso ricorrente. 3. Destituito di fondamento è anche il terzo motivo, relativo alla utilizzabilità a fini probatori degli esiti della perquisizione domiciliare del 29 giugno 2011, che il ricorrente contesta sotto i concorrenti profili afferenti alla fonte della informazione che l'ha determinata, ai tempi differiti della sua esecuzione e alla sua inutilizzabilità patologica anche in relazione alla violazione della regola tratta dall'art. 6 C.E.D.U., refluente sulla utilizzabilità del successivo sequestro. 3.1. La Corte di appello, a fronte di analoghe eccezioni sottoposte alla sua valutazione dall'imputato appellante, che le ha testualmente riproposte a sostegno del motivo in esame, ha rimarcato sia la legittimità della perquisizione, eseguita ritualmente e nel concorso dei presupposti di legge, sia la legittimità dell'intervenuto sequestro, seguito a rituale perquisizione e rispettoso dei principi costituzionali ed Europei, dando conto, si come sintetizzato sub 4 del ritenuto in fatto , della infondatezza delle deduzioni difensive attraverso richiami fattuali alle emergenze processuali, apprezzate come dimostrative dell'espresso convincimento. 3.2. La correttezza di tale conclusivo giudizio deve essere confermata, ad avviso del Collegio, alla luce della esplicitazione di un percorso argomentativo, che, pure sotteso alle considerazioni della sentenza impugnata, assorbe in diritto le questioni poste, che nei termini dedotti si atteggiano come sub valenti. 3.2.1. Le Sezioni unite di questa Corte hanno, invero, fissato da tempo il principio di diritto, qui condiviso e riaffermato, alla cui stregua, allorquando la perquisizione sia stata effettuata senza l'autorizzazione del magistrato e non nei casi e nei modi stabiliti dalla legge, come prescritto dall'art. 13 Cost., si è in presenza di un mezzo di ricerca della prova che non è compatibile con la tutela del diritto di libertà del cittadino, estrinsecabile attraverso il riconoscimento della inviolabilità del domicilio, cui consegue che, non potendo essere qualificato come inutilizzabile un mezzo di ricerca della prova, ma solo la prova stessa, la perquisizione è nulla e il sequestro eseguito all'esito di essa non è utilizzabile come prova nel processo, salvo che ricorra l'ipotesi prevista dall'art. 253, comma 1, cod. proc. pen., nella quale il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, costituendo un atto dovuto, rende del tutto irrilevante il modo con cui ad esso si sia pervenuti Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, dep. 16/05/1996, Sala, Rv. 204643 . 3.2.2. Il principio che l'eventuale vizio della perquisizione non ha riflessi invalidanti sul sequestro che costituisce un atto dovuto a norma dell'art. 253, comma 1, cod. proc. pen. del corpo del reato, che venga ritrovato nel corso della perquisizione in quanto dimostrativo in via immediata del collegamento della cosa stessa con l'illecito penale, o delle cose pertinenti al reato, che siano indispensabili per l'accertamento dei fatti e della responsabilità penale ipotizzati a carico dell'indagato, espresso nella immediatezza dell'indicato intervento compositore del precedente rilevato contrasto giurisprudenziale Sez. 3, n. 3879 del 14/11/1997, dep. 10/01/1998, Bigazzi B., Rv. 209400 , è stato costantemente ribadito da questa Corte, tanto da costituire ius receptum tra le altre, Sez. 1, n. 2791 del 27/01/1998, dep. 04/03/1998, Beltrami, Rv. 210002 Sez. 5, n. 6712 del 07/12/1998, dep. 16/02/1999, Bartoli M., Rv. 212896 Sez. 4, n. 8052 del 02/06/2000, dep. 07/07/2000, Griggio, Rv. 216865 Sez. 1, n. 41449 del 02/10/2001, dep. 17/11/2001, Mini, Rv. 220082 Sez. 1, n. 497 del 05/12/2002, dep. 09/01/2003, Dammagio, Rv. 222799 Sez. 2, n. 26683 del 14/05/2003, dep. 19/06/2003, Ciccarone, Rv. 225175 Sez. 1, n. 18438 del 28/04/2006, dep. 25/05/2006, Proietti, Rv. 234672 Sez. 2, n. 40833 del 10/10/2007, dep. 07/11/2007, Lonoce, Rv. 238114 Sez. 6, n. 37800 del 23/06/2010, dep. 25/10/2010, M'Nasri, Rv. 248685 Sez. 1, n. 42010 del 28/10/2010, dep. 26/11/2010, Raso, Rv. 249021 , di recente ulteriormente riaffermato in applicazione del principio male captum bene retentum Sez. 2, n. 31225 del 25/06/2014, dep. 16/07/2014, Mykhailo, Rv. 260033 . 3.2.3. Tale condiviso approccio interpretativo risponde anche a esigenze di coerenza del sistema, che, a fronte di un obbligato sequestro e di una obbligata confisca di un oggetto costitutivo del corpo del reato, come tale da introdurre sempre obbligatoriamente nel contesto del procedimento, sarebbe in sé contraddittorio ove si ammettesse che lo stesso oggetto non potrebbe essere utilizzato ai fini della prova Sez. 1, n. 42010 del 28/10/2010, citata, in motivazione . 3.2.4. È consequenziale alle svolte considerazioni il rilievo che, nel caso di specie, versandosi in ipotesi di sequestro del corpo del reato, costituito da arma, parti di arma e munizioni, l'eseguito sequestro, in quanto atto dovuto, è utilizzabile probatoriamente nel processo in qualsiasi modo si sia ad esso pervenuti, e quindi prescindendo da ulteriori valutazioni afferenti alla legittimità della eseguita perquisizione. Tale legittimità è, peraltro e in ogni caso, anche sussistente, trovando il suo fondamento normativo nella disposizione di cui all'art. 41 T.U.L.P.S., che, espressamente mantenuta in vigore dall'art. 225 norme coord. cod. proc. pen., prevede la possibilità per la polizia giudiziaria di compiere perquisizioni di iniziativa quando abbia comunque notizia, anche se per indizio, della presenza in un determinato luogo di armi e munizioni abusivamente detenute, prevalendo in tal caso le esigenze di difesa sociale e di accertamento dei reati sulla tutela dei diritti dei privati, che subiscono un affievolimento nel superiore interesse pubblico tra le altre, Sez. 4, n. 8919 del 04/06/1993, dep. 28/09/1993, Kila, Rv. 195189 Sez. 4, n. 30313 del 17/05/2005, dep. 10/08/2005, Cicerone, Rv. 232021 Sez. 1, n. 18438 del 28/04/2006, citata Sez. 1, n. 42010 del 28/10/2010, citata . 3.3. Nel descritto contesto non possono trovare accoglimento le argomentazioni del ricorrente, che, aspecifiche nella operata riproposizione dei contenuti dell'atto di appello tra le altre, Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, dep. 25/03/2005, Giagnorio, Rv. 231708 Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, dep. 14/05/2009, Arnone, Rv. 243838 , sono prive di fondatezza nella eseguita reiterazione dei principi giurisprudenziali che, in tema di rapporti tra i momenti della perquisizione e del sequestro, hanno preceduto l'intervento suindicato delle Sezioni unite Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, citata , e come espressivi del rilevato contrasto sono stati richiamati sia in detta sentenza sia nella collegata relazione dell'Ufficio del Massimario penale Rel. 9694 , e che, con riguardo al tema della inutilizzabilità della prova, hanno ricevuto risposta nello stesso intervento delle Sezioni unite, che richiamando le categorie della nullità e inutilizzabilità in tema di patologia della prova e i diversi presupposti cui sono correlate, in fattispecie relativa a perquisizione illegittima e a successivo sequestro di cose pertinenti al reato, ritenuto in sentenza atto dovuto, hanno sottolineato, come da massimazione ufficiale, che la inosservanza delle formalità prescritte dalla legge ai fini della legittima acquisizione della prova nel processo non è, di per sé, sufficiente a rendere quest'ultima inutilizzabile, per effetto di quanto disposto dal primo comma dell'art. 191 cod. proc. pen. Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, dep. 16/05/1996, Sala, Rv. 204644 . Né induce a diversa conclusione il richiamo fatto dal ricorrente nel suo ricorso alla sentenza n. 33 del 7 febbraio 2013 del Tribunale di Lecce, che ha svolto riflessioni e sostenuto sue considerazioni in contrasto con i predetti principi di diritto, reiterando rilievi oppositivi, che il ricorrente ha affermato di condividere, già oggetto di apprezzamento negativo nella coerente condivisa lettura e interpretazione dei dati normativi sviluppate nel tempo da questa Corte. 4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.