Tra vicini di casa non mettere lavori edilizi non autorizzati

La provocazione che scrimina la condotta di ingiuria richiede unicamente che vi sia un fatto ingiusto altrui legato causalmente con l’agito in stato d’ira, mentre non rileva la proporzione tra livello di ingiustizia e intensità della reazione, che può solo costituire indice di emozioni o patologie più gravi che portano all’esclusione della scriminante in quanto interrompono il nesso causale tra stato d’ira e fatto altrui.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 49625, depositata il 16 dicembre 2015. Il caso. Un uomo è stato condannato dal Giudice di pace per il reato di ingiurie in continuazione nei confronti di una coppia di vicini di casa e di un individuo che svolgeva lavori per conto di essi. La sentenza veniva confermata dal Tribunale in grado di appello. L’imputato aveva ingiuriato in particolare la persona offesa dopo averla vista effettuare lavori sul terrazzo dell’edificio ove era ubicata la propria falegnameria che confinava con la proprietà delle altre due persone offese. Quanto a questa posizione veniva contestata la procedibilità e denunciata la nullità del verbale contenente la querela. La querela c’è ma è nel verbale di sommarie informazioni. In realtà, la procedibilità risulta da una dichiarazione della persona offesa verbalizzata dal pubblico ufficiale. Sul punto è subito da chiarire che non vi è alcun divieto di verbalizzare la volontà persecutoria nel verbale di raccolta delle sommarie informazioni verbalizzate dalla polizia giudiziaria. Querela presentata in forma orale e adempimenti formali. Come noto, anche nella prassi, è del tutto legittima la formulazione orale della querela se recepita dal verbalizzante. La norma che impone al verbalizzante di attestare data e luogo di presentazione e identificare la persona che la propone si applica solo nell’ipotesi in cui la querela sia contenuta in atto già completo e consegnato alla polizia giudiziaria pertanto, la mancata indicazione delle generalità del verbalizzante non incide sulla validità dell’atto completo degli elementi essenziali, essendo indubbia la provenienza da parte dell’autorità di polizia giudiziaria. Nessuna nullità del verbale. Nel caso di specie non sussiste la nullità del verbale derivante da mancata sottoscrizione del pubblico ufficiale che ha redatto l’atto o l’incertezza assoluta sulle persone intervenute giacché l’apposizione della firma dell’ufficiale che sentì la persona offesa in qualità di persona informata sui fatti e la data di ricevimento dell’atto consentono senza difficoltà l’identificazione del pubblico ufficiale. Nullità solo se Il processo verbale è nullo solo quando non vi sia la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto, nemmeno in sigla è irrilevante che attraverso la sigla non possa individuarsi il nome del sottoscrittore poiché l’esatta identificazione può ricavarsi aliunde anche attraverso gli atti del reparto di appartenenza del pubblico ufficiale. È fatta salva, naturalmente, l’ipotesi di una specifica accusa di falsità relativa alla partecipazione dell’operatore all’atto oggetto di verbalizzazione. La provocazione. Costituisce ius receptum che, ai fini della configurabilità della scriminate della c.d. provocazione, per fatto ingiusto altrui si intende la condotta connotata da ingiustizia obiettiva, vale a dire caratterizzata dall’effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali o sociali, considerate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato spazio storico-temporale mentre non rilevano le personali convinzioni dell’imputato e la sua sensibilità individuale. Fonte extragiuridica dell’ingiustizia. Oltre che antigiuridico, il comportamento ingiusto rilevante ai fini della scriminante può essere, quindi, anche l’inosservanza di norme sociali o di costume che regolano la civile convivenza vi possono rientrare, pertanto, oltre ai comportamenti sprezzati o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o, in particolari circostanze, inappropriati o inopportuni. Realizzazione di lavori sulla proprietà altrui. È indubbio che l’attività posta in essere dalla persona offesa, consistente nella realizzazione di lavori edilizi sul tetto dell’immobile dell’imputato, sia qualificabile come ingiusta, trattandosi di attività contraria a norme giuridiche. La contrarietà è dimostrata, peraltro, dall’adozione, da parte dell’autorità competente, di un’ordinanza di sospensione dei lavori. Inoltre, non è conforme alle regole del vivere civile la condotta realizzata perché è norma comune quella che l’attività edilizia sia consentita solo nelle forme di legge, giacché plurimi sono gli interessi coinvolti da tale attività, sia di natura pubblicistica che privatistica che, di regola, proprio le dichiarazioni di inizio attività mirano a scongiurare e contemperare. Attività ingiusta ma reazione esagerata? L’attività realizzata dalla persona offesa è quindi qualificabile come ingiusta attività. Il Tribunale, quale giudice d’appello, tuttavia, pur dando atto dell’ingiustizia della condotta, astrattamente idonea a costituire provocazione” in virtù dei principi superiori enunciati, escludeva che la condotta della persona offesa fosse stata tale da contenere in sé” la necessaria potenzialità di suscitare turbamento dell’animo dell’agente, quindi escludeva la potenzialità determinante lo stato d’ira, cioè l’impulso emotivo incontenibile che provoca nell’agente la perdita dei poteri di autocontrollo, diverso dal mero rancore o dall’irritazione. La proporzione non è elemento della scriminante. Per il giudice d’appello è necessario che vi sia proporzione tra l’intensità del fatto ingiusto e la reazione dell’imputato. La Suprema Corte, tuttavia, evidenzia che tale proporzione non è richiesta dalla previsione normativa che non impone al giudice di valutare il grado di intensità dell’ingiustizia contenuta nel fatto al quale si reagisce. Al giudice non spetta qualificare la reazione in termini di ira ovvero di emozione di minore rilevanza. La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che, ai fini della configurabilità della c.d. provocazione, non rileva la proporzione tra la reazione e il fatto ingiusto, essendo solo necessario che sussista il nesso eziologico determinante tra il fatto provocante e il fatto provocato, nel senso che non è, al contrario, sufficiente un legame di mera occasionalità. Reazione adeguata? Questione differente è quella che concerne la misura della reazione, cioè la sua adeguatezza. Ciò però rileva come parametro per valutare lo stato d’animo dell’agente, così, ad esempio, in caso di sproporzione evidente, la reazione eccessiva può essere sintomo di sentimenti e stati patologici diversi e più gravi rispetto all’ira. Per questi motivi la sentenza è stata annullata con rinvio al giudice di merito affinché colmi le lacune motivazionali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 6 luglio – 16 dicembre 2015, n. 49625 Presidente Fumo – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza pronunciata il 25.9.2014 il tribunale di Ragusa, in funzione di giudice di appello, confermava la sentenza con cui, in data 1.7.2013, il giudice di pace di Modica aveva condannato R.C. alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato, in relazione al reato di cui agli artt. 81, cpv., 594, c.p., commesso in danno dei coniugi B.O. e di H.M. , che l'imputato aveva offeso, con frasi ingiuriose, dopo avere notato lo H. effettuare dei lavori sul terrazzo dell'edificio dove era ubicata, al piano terra, la falegnameria del R. , confinante con l'immobile di proprietà dei suddetti coniugi. 2. Avverso tale sentenza, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, lamentando 1 violazione di legge in relazione all'art. 337, c.p.p., in quanto nei confronti dell'H. difetta la condizione di procedibilità rappresentata da una formale querela, che, nel caso in esame, non risulta ritualmente proposta essendo contenuta nel verbale di sommarie informazioni redatto ex art. 351, c.p.p., da un pubblico ufficiale di cui, peraltro, non sono indicate le generalità, circostanza che rende l'atto non utilizzabile 2 violazione di legge in relazione all'art. 599, c.p., avendo l'imputato reagito al fatto ingiusto altrui rappresentato dallo svolgimento di lavori non autorizzati sul proprio tetto. 2.1. Con motivi nuovi depositati il 23.6.2015, il ricorrente insisteva nelle proprie doglianze, rilevando, da un lato l'assenza di un valido atto di querela, che non può essere sostituito dal verbale di sommarie informazioni testimoniali redatto a norma dell'art. 351, c.p.p. dall'altro la configurabilità dell'esimente della provocazione di cui all'art. 599, co. 2, c.p.p 3. Il ricorso deve ritenersi parzialmente fondato e va, pertanto, accolto nei termini che seguono. 4. Infondato appare il primo motivo di ricorso. Ed invero, premesso che l'art. 337, c.p.p., richiede solo che la querela presentata in forma orale sia verbalizzata, nulla vieta che la verbalizzazione sia compiuta nel verbale di raccolta delle sommarie informazioni previste dall'art. 351, c.p.p., che, per l'appunto, vanno verbalizzate dalla polizia giudiziaria sia nel caso in cui agisca autonomamente che su delega del pubblico ministero , ai sensi degli artt. 357, co. 2, lett. b , e 373, co. 1, lett. d , c.p.p., norme che, non a caso, prevedono espressamente l'obbligo di procedere alla verbalizzazione, tra l'altro, anche delle denunce e delle querele presentate oralmente cfr. artt. 357, co. 2, lett. a , e 373, co. 1, lett. a , c.p.p. . Sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte ha sottolineato come sia del tutto legittimo che il querelante formuli a verbale le proprie dichiarazioni in modo che l'atto sia recepito dal verbalizzante, evidenziando come, in tal caso, la previsione contenuta nell'art. 337, co. 4, c.p.p., - che impone all'autorità destinataria della querela di attestarne la data e il luogo di presentazione e di identificare la persona che la propone - non trovi applicazione, dovendo applicarsi solo nell'ipotesi in cui la querela sia contenuta in un atto già completo e così consegnato all'ufficiale di polizia giudiziaria cfr. Cass., sez. VI, 26/01/2011, n. 4622, rv. 249343 . Né la mancata indicazione delle generalità del verbalizzante, oggetto di specifica doglianza del ricorrente, può incidere sulla validità formale dell'atto, completo di tutti i suoi elementi essenziali, essendone, peraltro, indubbia ed incontestata la sua provenienza dall'autorità di polizia giudiziaria, in quanto tale omissione si traduce in una mera irregolarità amministrativa, del tutto ininfluente. Corretta, dunque, appare la decisione della corte territoriale, che, nel rigettare la doglianza difensiva al riguardo, ha rilevato come l'apposizione sul verbale della firma dell'ufficiale di polizia giudiziaria che in data 25 giugno 2011 sentì negli uffici della procura della Repubblica l'H. , in qualità di persona informata sui fatti, e la data di ricevimento dell'atto consentono agevolmente l'identificazione del suddetto pubblico ufficiale, per cui non è ravvisabile nel caso di specie nessuna delle ipotesi di nullità del verbale che l'art. 142, c.p.p., fa dipendere dalla mancanza di sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto o dalla incertezza assoluta sulle persone intervenute. Ed invero, come affermato dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, il processo verbale è nullo solo qualora non vi sia almeno in sigla la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha compilato, e non quando il nome e cognome di questo non risultino in alcuna parte del verbale medesimo ed è irrilevante che attraverso detta sigla non possa individuarsi il nome del sottoscrittore, alla cui identificazione può risalirsi aliunde , anche attraverso gli atti del reparto di appartenenza degli operatori stessi, salvo che si contesti con una precisa accusa di falsità l'effettiva partecipazione del pubblico ufficiale all'atto documentato cfr., ex plurimis, Cass., sez. II, 22.5.1997, n. 3513, rv. 208075 . 5. Fondato, invece, appare il secondo motivo di ricorso. Al riguardo si osserva che la motivazione con cui la corte territoriale ha disatteso la doglianza difensiva con cui si invocava l'applicazione della causa di non punibilità della provocazione prevista dall'art. 599, co. 2, c.p., non è condivisibile, perché fondata su di una non corretta interpretazione della suddetta disposizione normativa in rapporto alla fattispecie concreta. Come è noto, infatti, ai fini della configurabilità della scriminante di cui all'art. 599, co. 2, c.p., per fatto ingiusto altrui deve intendersi la condotta connotata dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, 14.11.2013, n. 47840, rv. 258454 Cass., sez. V, 18.3.2014, n. 47043, rv. 261290 esso, pertanto, può essere costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto, ma anche dall'inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l'ordinaria, civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati cfr. Cass., sez. I, 8.11.2011, n. 5056, rv. 251833 . Orbene non appare revocabile in dubbio che l'attività che ha scatenato la reazione del R. posta in essere dall'H. , consistente nella realizzazione di lavori edili sul tetto del proprio immobile, sia qualificabile in termini di ingiustizia, trattandosi di un'attività contraria a norme giuridiche, come dimostrato dall'adozione da parte dell'autorità competente di un'ordinanza di sospensione dei lavori, ed al tempo stesso, non conforme alle ordinarie regole del vivere civile, le quali esigono che non si proceda ad attività edilizia se non nelle forme di legge, proprio in considerazione della pluralità degli interessi, pubblici e privati, coinvolti da tale attività. Sul punto, peraltro, la stessa corte territoriale non nutre dubbi, ritenendo la condotta della persona offesa astrattamente qualificabile quale ingiusta attività , proprio in considerazione dell'ordinanza di sospensione dei lavori adottata il 24.5.2011 cfr. p. 2 della sentenza oggetto di ricorso . La corte di appello ha, tuttavia, errato nell'affermare che, nonostante debba ritenersi ingiusta, la condotta della persona offesa non sia stata tale da contenere in sé quella necessaria potenzialità di suscitare un giustificato turbamento nell'animo dell'agente, ossia quella potenzialità determinante per la gravità e platealità del fatto ingiusto lo stato d'ira, ossia quell'impulso emotivo incontenibile che provoca nell'agente la perdita dei poteri di autocontrollo, diverso dal mero rancore o dall'irritazione cfr. p. 3 della sentenza oggetto di ricorso . In tal modo il giudice di secondo grado ha individuato come componente della causa di non punibilità di cui si discute un rapporto di necessaria proporzione tra l'intensità del fatto ingiusto e la reazione dell'imputato, nel senso che solo un fatto ingiusto grave e plateale può giustificare lo stato d'ira altrui, non richiesto, tuttavia, dalla previsione normativa, che non impone al giudice, a differenza della prospettiva indicata dalla corte di appello, di valutare il grado di intensità dell'ingiustizia insita nel fatto al quale si reagisce, al fine di verificare se la reazione sia qualificabile in termini di ira ovvero secondo una diversa caratterizzazione emotiva di minore valenza. Come affermato, infatti, dal costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità dell'esimente di cui all'art. 599, c.p., non rileva la proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto, essendo semplicemente necessario, oltre all'ingiustizia del fatto, che sussista un nesso di causalità determinante tra il fatto provocante e il fatto provocato, in quanto non è sufficiente al riguardo un legame di mera occasionante cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 11.5.2012, n. 39508, rv. 253732 Cass., sez. V, 04/10/2012, n. 43173, rv. 253787 . Questione diversa è, ovviamente, quella riguardante l'adeguatezza della reazione, che si pone, tuttavia, come parametro da utilizzare per la valutazione dello stato d'animo del reo, che, nel caso di evidente sproporzione, può essere sintomo di sentimenti e stati patologici diversi e ben più gravi rispetto all'ira. Sicché la motivazione della sentenza impugnata appare inadeguata poiché richiede una sorta di proporzione che non è prevista dalla norma con criterio di assolutezza e che deve essere comunque valutata, sub specie dell'adeguatezza, in relazione all'ambiente ed alle circostanze in cui è avvenuto il fatto per cui si procede. 6. Si impone, pertanto, sul punto un annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice di merito che provvederà a colmare le evidenziate insufficienze motivazionali, attenendosi a principi di diritto innanzi indicati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Ragusa.