Il GIP “ammonisce” lo stalker … la Cassazione “ammonisce” il GIP

Il GIP ammonisce” se ti avvicini ai luoghi frequentati della vittima di atti persecutori vai in carcere. La Cassazione ammonisce” il GIP se non indica in dettaglio i luoghi, la misura va annullata.

Al fine di salvaguardare il pericolo di reiterazione di condotte persecutorie, che potrebbe assumere caratteri ancor più marcatamente compulsivi ed ossessivi, appare necessario applicare all’indagato la misura cautelare di cui all’art. 282-ter c.p.p., al quale viene prescritto non solo di non avvicinarsi all’abitazione ove dimora la persona offesa, ma altresì di non avvicinarsi ad alcuno dei luoghi abitualmente frequentati da quest’ultima, e di mantenere dalla vittima, dalla sua abitazione e da detti luoghi una distanza di almeno cento metri, con espresso avvertimento che la violazione di una delle qualsiasi delle suddette prescrizioni comporterà l’immediata sostituzione di questa misura cautelare con quella della custodia in carcere. Così ha stabilito il G.I.P. di Catania con l’ordinanza del 6 novembre scorso. Il Tribunale del Riesame, invece, con ordinanza del 30 novembre 2015, ha affermato che, in tema di misure cautelari, se il giudice ritenga di disporre il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa art. 282-ter c.p.p. l’ordinanza deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto ai quali è inibito l’accesso all’indagato ciò è imposto da un lato dall’inequivoco tenore del dato normativo, che fa espresso riferimento a luoghi determinati, e, dall’altro, dall’esigenza di tipizzazione della misura, perché solo in tal modo il provvedimento cautelare assume una conformazione completa che consente il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che la legge intende assicurare. Questi i principi affermati dai giudici cautelari di merito, in prime e seconde cure, in questa interessante vicenda che ha visto il Tribunale della Libertà annullare, per carenza di determinatezza, la misura cautelare del divieto di avvicinamento disposta dal G.I.P. etneo. Il caso concreto e la prima tappa cautelare. Nei confronti di un uomo, indagato di atti persecutori, tentata violenza sessuale, lesioni, violazione di domicilio e furto in appartamento ai danni dell’ex convivente, viene richiesta dal P.M. la misura cautelare della custodia in carcere. Il G.I.P., acclarato il grave quadro indiziario e ritenuta sussistente l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione, pur non accogliendo la massima misura richiesta dalla pubblica accusa, applica all’indagato la misura cautelare di cui all’art. 282-ter c.p.p., costituendo tale misura un argine alla reiterazione delle condotte persecutorie all’agire criminoso in esame da parte dello stesso, per lo meno in prima battuta”, al quale viene prescritto non solo di non avvicinarsi all’abitazione ove dimora la persona offesa, ma altresì di non avvicinarsi ad alcuno dei luoghi abitualmente frequentati da quest’ultima, e di mantenere dalla vittima, dalla sua abitazione e da detti luoghi una distanza di almeno cento metri. Tuttavia, il G.I.P. ammonisce l’uomo che in caso di violazione di una delle qualsiasi delle suddette prescrizioni e la prosecuzione nel compimento delle sue incursioni persecutorie comporterà l’immediata sostituzione di questa misura cautelare con quella della custodia in carcere. Le peculiarità del divieto di avvicinamento. L’art. 282-ter c.p.p., nel porre il divieto all'imputato di avvicinarsi ai luoghi determinati frequentati abitualmente dalla persona offesa, ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, consente di calibrare e temperare la misura alla situazione di fatto che si vuole tutelare in via cautelare. Siamo all’interno di quel microsistema cautelare orientato alla tutela della vittima o misure cautelari a tutela dell’offeso” che presenta peculiari caratteristiche in quanto, mentre il giudice penale è abituato a maneggiare misure cautelari interamente predeterminate”, che generalmente non necessitano di integrazioni prescrittive e quando vi sono, sono di minima entità, invece, nel divieto di avvicinamento si affida al giudice della cautela il compito, oltre che di verificare i presupposti applicativi ordinari, di riempire la misura di quelle prescrizioni essenziali per raggiungere l’obiettivo cautelare ovvero per limitare le conseguenze della misura stessa Cass., sez. VI, n. 26819/2011 . È evidente che l'efficacia di queste misure, funzionali ad evitare il pericolo della reiterazione delle condotte illecite, è subordinata a come il giudice le riempie di contenuti attraverso le prescrizioni che le norme gli consentono. Ne consegue che per le misure in questione appare necessaria la completa comprensione delle dinamiche che sono alla base dell'illecito, nel senso che il giudice deve modellare la misura in relazione alla situazione di fatto. Ciò comporta che il pubblico ministero nella sua richiesta e ancor prima la polizia giudiziaria dovrà ben rappresentare al giudice, oltre agli elementi essenziali per l'applicazione della misura, anche aspetti apparentemente di contorno, che invece possono assumere una importanza fondamentale ai fini dei provvedimenti di allontanamento o di divieto di avvicinamento, che possono risultare utili per dare il migliore contenuto al provvedimento cautelare. In tal modo, nella misura cautelare di cui all'art. 282-ter c.p.p., assumono un particolare rilievo le informazioni circa i luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa o dai suoi parenti, proprio in quanto funzionali al tipo di tutela che si vuole assicurare attraverso l'allontanamento dell'autore del reato, che dovrebbe servire ad evitare il ripetersi di episodi delittuosi ai danni della vittima. Il Tribunale del Riesame annulla la misura cautelare. I giudici cautelari di seconde cure accolgono il riesame proposto dall’indagato e annullano il divieto di avvicinamento. Ciò in quanto, nell'ambito dei luoghi abitualmente frequentati dalla vittima di stalking, la norma pretende che vengano individuati luoghi determinati , perché solo in questo modo il provvedimento assume una conformazione completa, che ne consente non solo l'esecuzione, ma anche il controllo che tali prescrizioni siano osservate. D'altra parte, la completezza e la specificità del provvedimento costituisce una garanzia per un giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, incentrate sulla tutela della vittima, e il minor sacrificio della libertà di movimento della persona sottoposta ad indagini. In altri termini, deve ritenersi che con il provvedimento ex art. 282-ter c.p.p., il giudice debba necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto ai quali all'indagato è fatto divieto di avvicinamento, non potendo essere concepibile una misura cautelare, come quella oggetto di esame, che si limiti a fare riferimento genericamente ai luoghi frequentati dalla vittima Cass., sez. VI, n. 28666/2015 . Così concepito il provvedimento, oltre a non rispettare il contenuto legale, appare strutturato in maniera del tutto generica, imponendo una condotta di non facere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finisce per essere di fatto rimessa alla persona offesa Cass., sez. V., n. 5664/2015 . Peraltro, la genericità del provvedimento rivela altresì caratteri di eccessiva gravosità e di sostanziale ineseguibilità. Si tratta di carenze contenutistiche che incidono sulla validità stessa del provvedimento genetico in parte qua. Il superamento del contrasto tra le sezioni semplici di Cassazione. La pronuncia del Tribunale del riesame di Catania, consente di porre l’attenzione sul contrasto tra la Quinta e la Sesta sezione di legittimità, laddove all’obbligo di non avvicinarsi alla persona offesa si aggiunga” quello del divieto di avvicinamento ai luoghi di abituale frequentazione. La Quinta sezione riteneva che in questi casi, poiché con il riferimento all’offeso è volto ad arginare il costante pedinamento della vittima di stalking, per tutelarla da attenzioni sgradite e da interferenze abusive nella sua sfera di vita personale, in tali casi dimensione essenziale della misura è il divieto di avvicinamento a quest’ultima nel corso della sua vita quotidiana ovunque essa si svolga. La predeterminazione dei luoghi frequentati risulterebbe chiaramente dissonante con le finalità della misura e verrebbe a porti come un’inammissibile limitazione del libero svolgimento della vita sociale della persona offesa Sez. V, n. 13568/2012 n. 14297/2013 n. 19552/2013 n. 36887/2013 n. 48395/2015 n. 5664/2015 . Ma tale orientamento non è condivisibile in quanto proprio la flessibilità e la scarna descrizione normativa dei contenuti del divieto di avvicinamento, ampliando gli spazi di discrezionalità normalmente riconosciuti al giudice alquanto esigui in materia di provvedimenti de libertate, caratterizzata da un elevato tasso di legalità, per la massima salvaguardia della libertà personale dell’imputato , è al limite della compatibilità con l’art. 13 Cost., che ammette restrizioni per mano dell’autorità giudiziaria nei soli [] modi previsti dalla legge”. In tale senso va salutato con favore la rivisitazione del precedente orientamento da parte di Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2015, n. 46488, che giunge alle stesse conclusioni della VI sezione in difetto della necessaria e specifica indicazione dei luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa la misura va annullata per censurabile indeterminatezza. Determinatezza anche in relazione alla distanza” in caso di incontri occasionali. La sentenza n. 46488/2015 va anche oltre, annullando la misura cautelare per violazione dei medesimi principi e delle stesse carenze di determinatezza in relazione alla statuizione cautelare dell’allontanamento, in caso di incontro occasionale tra l’indagato di atti persecutori e la vittima, ad una distanza da non consentire di essere visto”, giacché anche tale previsione pecca di eccessiva genericità, al punto da rendere non eseguibile la misura. Ed invero, in tal caso si ci affida a valutazioni soggettive e non riscontrabili il giudizio di verifica di adeguamento alla misura prescrittiva, giacché non è dato conoscere in modo oggettivo quale sia la distanza oltre la quale la parte offesa non possa più percepire la presenza dello stalker.

Tribunale di Catania, sez. GIP, ordinanza 6 novembre 2015 Giudice Rizza Fatto e diritto Il procedimento penale nell'ambito del quale è stata proposta l'odierna richiesta di applicazione di misura cautelare ha preso le mosse dalle dichiarazioni rese, nelle denunzie querele e nelle successive integrazioni proposte, nel periodo di tempo compreso fra l' 1 1 settembre ed l'8 ottobre 2015, da L. J. K Costei, nella prima delle denunzie da lei proposte, rappresentava di avere convissuto per circa sette anni, presso la sua abitazione, con l'indagato, suo connazionale, già divorziato e con una figlia che sin dall'inizio del detto rapporto di convivenza la ex moglie del R., non accettando la relazione sentimentale da lei intrapresa con l'ex coniuge, l'aveva contatta telefonicamente più volte minacciandola che tali contatti telefonici si erano intensificati da circa una settimana, avendo peraltro lei appreso nel corso degli stessi che la ex coniuge e la figlia del suo convivente avevano intenzione di recarsi a Catania che l'indagato, al quale lei aveva confidato i suoi timori, le aveva a sua volta confermato la sua intenzione di ospitare moglie e figlia presso l'abitazione ove entrambi convivevano, ed a fronte delle sue lamentele l'aveva percossa con due violenti schiaffi che a seguito di tale litigio il R. aveva lasciato la sua abitazione, trasferendosi presso una vicina di casa anch'essa loro connazionale che quella mattina aveva appreso dalla figlia, rimasta in casa mentre lei era al lavoro, che il R., dopo averla più volte contattata al telefono, si era recato presso la sua abitazione tentando di accadervi. Nella successiva integrazione avvenuta due settimane dopo, la L. aggiungeva a quanto già prospettato che il R., nel tentativo di riconcialirsi con lei, la aveva ripetutamente contattata telefonicamente, seguendola e cercando altresì, in una di tali occasioni di abbracciarla e baciarla. Ancora in data 1.10.2015 la L. presentava un’ulteriore querela rappresentando che il R. quattro giori prima si era introdotto nelal sua abitazione dopo aver sfondato la porta d’ingresso, trattenendosi all’interno della stessa contro la sua volotnà costringendola a dormire con lui, pur senza compiere atti sessuali aggiungeva inoltre la denunziante che quello stesso giorno, alle ore 12.00, l’indagato si era ripresentato presso la sua abitazione minacciandola e schiaffeggiandola al cospetto della figlia per costringerla a recarsi con lui nella stanza da letto. Infine, nell'ultima integrazione, depositata il 9.10.2015, la persona offesa, dopo aver precisato che il suo rapporto di convivenza con il R. risaliva non già a selle anni prima, come erroneamente riportato nella denunzia - querela iniziale, bensì a quattro mesi prima avendo avuto inizio tra il Viaggio ed il giugno del 2015 , ripercorreva tutti gli episodi già descritti aggiungendo che il il preceedenle 5 ottobre l'indagato si era introdotto ancora una volta nella stanza da abitazione, all'invito da lei rivolole dii andare via, l'aveva strattonata buttandola a letto e dandole. un morso, e si era quindi allontanata dopo averle sottrailo le chiavi dell'autovettura, che lei aveva poi recuperato grazie all’intervento di un amico al quale R. le aveva poi restituite. Orbene, la condotta così come descritta può reputarsi nel suo materiale accadimento, alla luce della consolidata giurisprudenza di leggittimità secondo cui le dichiarazioni della persona offesa sono ex se idonee ad integrare prova piena di quanto in esse rappresentato e tenuto conto per un verso della piena credibilità della persona offesa, la quale ha reso dichiarazioni precise e circostanziate, costantemente ribadite nel tempo ed immuni da vizi logici o incongruenze, e per altro verso degli elementi di riscontro alla attendibilità della denunziante medesima e di quanto da lei riferito, desunti dalle riproduzioni litografiche allegate in atti, che documentano le lesioni subite dalla stessa, nonché dal referto medico rilasciato in data 6.10.2015 dal Pronto Soccorso presso l’Ospedale Garibaldi, pur esso allegato, nel quale si attesta come tali lesioni siano consistite in contusioni ecchimotiche braccio sinistro e collo con prognosi di cinque giorni. E tale condotta, come sopra ricostruita ed accertata, integra tutte le fattispecie delittuose in contestazione. Avuto infatti riguardo al reato previsto dall'art. 612bis c.p., è evidente come il comportamento dell'indagato sia qualificabile persecutorio , sia, dal punto di vista obiettivo, per il suo carattere molesto e per l'efficacia intimidatoria di cui è connotato, sia, dal punto di vista soggettivo, per la sua idoneità a cagionare nella persona offesa un comprensibile stato di ansia e di paura ed un giustificato timore per la propria incolumità sotto tale profilo, invero, il carattere compulsivo ed ossessivo del modus agendi proprio del R. ha inevitabilmente determinato i timori e le ansie descritte nelle querele di volta in svolta proposte dalla L., ulteriormente aggravate dalla consapevolezza in capo a quest'ultima della piena conoscenza da parte dell'ex convivente delle sue abitudini di vita, che essa è stata dunque costretta a modificare per non esporsi al rischio di essere aggredita. Con riferimento poi al reato di lesioni, si è già evidenziato come la sussistenza di tale reato sia comprovata dal contenuto della certificazione medica allegata. Quanto infine alle rimanenti contestazioni, anch'esse possono reputarsi accertate con la necessaria gravità indiziaria sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla denunziante Ricorrono altresì, nel caso di specie, le esigenze cautelaci di cui alla lett. e dell'art. 274 c.p.p., tenuto conto che l'agire molesto del R., con il trascorrere del tempo, non si è diradato né ridimensionato, ma si è all'opposto protratto con una progressione sintomatica della sussistenza dei concreto pericolo che, in assenza di misure a ciò ostative, l'indagato possa ulteriormente proseguire nella sua condotta, che potrebbe assumere caratteri ancor più marcatamente compulsivi ed ossessivi. Appare pertanto necessario, al fine di salvaguardare le dette esigenze, applicare all'indagato la misura cautelare di cui all'art. 282ter c.p., costituendo tale misura l'indispensabile ostacolo alla reiterazione dell'agire criminoso in esame da parte dello stesso, ai quale viene con il presente provvedimento prescritto non solo di non avvicinarsi all'abitazione ove dimora la persona offesa, ina altresì di non avvicinarsi ad alcuno dei luoghi abitualmente frequentati da quest'ultima, con espresso avvertimento che la violazione di una qualsiasi delle suddette prescrizioni comporterà l'immediata sostituzione di questa misura cautelare con quella della custodia in carcere. P.Q.M. Visti gli artt. 273 e s.s. c.p.p. Applica . a R. J., nato in Mauritius il 3.9.1968, la misura cautelare prevista dall'art. 2821er c.p.p., prescrivendo all'indagato di non avvicinarsi all'abitazione ove è domiciliata L. J.K. né al luogo di lavoro ed agli altri luoghi da essa abitualmente frequentati, e di mantenere da quest'ultima, dalla sua abitazione e dai detti luoghi una distanza di almeno cento metri, con assoluto divieto per l'indagato di comunicare in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo con la L. visto l'art. 282-quafer c.p.p., dispone che il presente provvedimento sia comunicato al Commissariato di P.S. territorialmente competente ai lini dell'eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni, nonché alla persona offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio. Manda la Cancelleria per gli adempimenti di competenza.

Tribunale del Riesame di Catania, sez. V Penale, ordinanza 26 - 30 novembre 2015 Giudice Vagliasindi Fatto e diritto Omissis coglie nel segno il proposto gravame in punto di diritto per ìl primo dei denunciati profili e segnatamente l’indeterminatezza in parte qua del provvedimento impugnato e, in particolare, nella parte in cui, oltre alle altre prescrizioni, è imposto all' indagato anche genericamente e onnicomprensivamente il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla parte offesa .Cass. pen sez VI 23/6/ 2015 n 28666 ha, infatti, affermato il principio che in tema di misure cautelari, se il giudice ritenga di disporre il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa articolo 282ter del Cpp e lo moduli guardando ai luoghi frequentati dalla vittima, il divieto di avvicinamento deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto ai quali è inibito l'accesso all'indagato ciò è imposto, da un lato, dal1'inequivoco tenore del dato normativo, che fa espresso riferimento a luoghi determinati, e, dall'altro, dall'esigenza di tipizzazione della misura, perché solo in tal modo il provvedimento cautelare assume una conformazione completa che consente il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che la legge intende assicurare nel caso affrontato la Corte ha ravvisato una eccessiva indeterminatezza del provvedimento, perché né il provvedimento impositivo, né quello successivo del tribunale del riesame, avevano ritenuto necessaria la specifica indicazione dei luoghi frequentati dalla persona offesa rispetto ai quali all'indagato era fatto divieto di avvicinarsi per l'effetto, l'ordinanza è stata annullata con. rinvio . Nel caso che ci occupa il divieto di avvicinamento a tutti i luoghi frequentati dalla parte offesa è cumulato all' obbligo di mantenere una determinata distanza dalla parte offesa e a quello di non avvicinarsi né al luogo di lavoro né all' abitazione della parte offesa sicchè per una parte il provvedimento è determinato e la nullità involgerebbbe, pertanto, unicamente la prescrizione omnicomprensiva relativa a tutti i luoghi frequentati dalla parte offesa. Assorbentemente il collegio osserva che la richiesta di riesame è fondata quanto alla dedotta carenza di gravità del costrutto indiziarlo. Al riguardo assume , invero, decisivo rilievo I' ambiguo comportamento processuale della parte offesa e non solo ha fornito indicazioni contraddittorie cieca al durata della relazione, sentimentale con la parte offesa prima ha parlato di sette anni e in altra dichiarazione di quattro mesi ma ha addirittura anche rimesso la querela cosa ingenerando un ragionevole dubbio circa lo stato di ansia connesso al rifiuto del rapporto con l'indagato. Tanto basta per ritenere carente la gravità del costrutto indiziario. Se è pur vero, poi, quanto alle lesioni che esse sono riscontare dal certificato in atti e dal corredo fotografico acquisito vero è anche che non si tratta di reato che per l’entità del trattamento sanzionatorio edittalmente previsto è inidoneo a sorreggere il titolo custodiale, Alla stregua delle pregresse considerazioni si annulla í' impugnata ordinanza con conseguente revoca della misura in atto. P.q.m. Annulla l’ordinanza impugnata. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza tra cui la notifica dell' ordinanza alla parte offesa L. J. K