Assunzione di lavoratore straniero: il datore di lavoro deve verificare il permesso di soggiorno

Ai fini della configurabilità del reato di assunzione di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, il concetto di occupazione che figura nel Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero si riferisce all’instaurazione di un rapporto di lavoro che già di per sé integra gli estremi di una condotta antigiuridica, qualora il soggetto assunto sia un cittadino extracomunitario privo del citato permesso, indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell’attività in questione.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 48651/15, depositata il 9 dicembre. Il caso. La Corte d’appello confermava la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato l’imputato alla pena ritenuta di giustizia per aver occupato alle proprie dipendenze un lavoratore extracomunitario privo di permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato. Il datore di lavoro doveva verificare l’esistenza del permesso di soggiorno. Gli Ermellini hanno ritenuto infondate le censure relative alla sussistenza del fatto-reato dal punto di vista oggettivo. L’assunzione di un lavoratore, infatti, chiariscono da Piazza Cavour, salvo i casi particolari di lavoratore in prova, a termine o apprendista, non necessita di forme particolari e si realizza per facta concludentia con la prestazione dell’attività sotto la direzione del datore di lavoro. L’occupazione quale lavoratore dipendente di un cittadino extracomunitario, chiarisce ancora il Supremo Collegio, è legittima soltanto se quest’ultimo è titolare di un permesso di soggiorno a fini lavorativi, che deve essere validamente rilasciato e deve coprire l’intera durata del rapporto. Era quindi preciso onere dell’imputato verificare che il lavoratore fosse munito di regolare permesso di soggiorno prima di adibirlo a qualsiasi mansione lavorativa Ai fini della configurabilità del reato di assunzione di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, infatti, spiegano gli Ermellini che il concetto di occupazione che figura nel d.lgs. n. 286/1998 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero si riferisce all’instaurazione di un rapporto di lavoro che già di per sé integra gli estremi di una condotta antigiuridica, qualora il soggetto assunto sia un cittadino extracomunitario privo del citato permesso, indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell’attività in questione. Per questa ragione la Corte ha rigettato il motivo di ricorso in esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 settembre – 9 dicembre 2015, n. 48651 Presidente Siotto – Relatore Novik Rilevato in fatto 1. La Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, ha confermato quella del Tribunale di Milano con la quale l'appellante A.E. , in qualità di legale rappresentante della società Al Timeout 2 titolare dell'omonimo ristorante pizzeria era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 5000,00 di multa, siccome colpevole del reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 22, comma 12, per aver occupato alle proprie dipendenze il lavoratore extracomunitario Z.S. , privo di permesso di soggiorno per motivi di lavoro fatto accertato in omissis . 1.1 La Corte territoriale, in conformità a quanto deciso dal primo giudice, ha valorizzato, ai fini dell'affermazione di responsabilità dell'imputato a le risultanze dell'indagine condotta da ispettori della direzione provinciale del lavoro di Milano b le dichiarazioni del lavoratore straniero che aveva riferito di aver iniziato a lavorare presso il ristorante da due giorni in qualità di barista senza aver stipulato alcun contratto c le dichiarazioni spontanee rilasciate nell'immediatezza dall'imputato che aveva dichiarato che lo straniero era al suo primo giorno di lavoro come addetto alle pulizie e allo spostamento merci, che lui non aveva visto alcun documento di identificazione del predetto, che non sapeva se era munito di permesso di soggiorno ma che gli aveva assicurato che glielo avrebbe portato in visione d gli accertamenti svolti presso la questura di Milano che escludevano il rilascio di permesso al nominativo del lavoratore e le dichiarazioni di C.V. che in dibattimento aveva riferito di aver assunto il lavoratore come lavapiatti su autorizzazione telefonica dell'imputato. 1.2 - In particolare, la Corte territoriale riteneva a che gli accertamenti su indicati davano certezza dell'assunzione del lavoratore in nero b che era da escludere che il lavoratore fosse cittadino italiano sia per i tratti somatici inconfondibili sia in relazione alle stesse dichiarazioni rilasciate dall'imputato, che davano contezza ch'egli fosse consapevole si trattava di cittadino straniero c che l'incertezza sull'identità effettiva non faceva venir meno il reato in quanto gli accertamenti avevano escluso la presenza regolare sul territorio dello Stato di un soggetto con le generalità fornite d se pure su un verbale non sottoscritto figurava un diverso nominativo Za.Sh. , non era appurato da chi e come fosse stato sottoscritto. 2. Avverso la indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato che ne ha richiesto l'annullamento, articolando due motivi d'impugnazione. 2.1. Con il primo, il ricorrente deduce l'illegittimità della sentenza impugnata per inosservanza ed erronea applicazione di norme di legge sostanziale e processuale D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 22, comma 12, art. 192 cod. proc. pen. , mancando l'elemento oggettivo del reato, sia perché non si poteva affermare che il lavoratore fosse occupato alle dipendenze dell'imputato, in quanto si trovava nel locale solo da un giorno, sia perché non vi era prova che fosse uno straniero senza permesso di soggiorno. Sul verbale figuravano due nominativi e le indagini amministrative erano state eseguite solo su uno di essi. Il fatto che il nominativo verificato non fosse stato associato ad alcun permesso di soggiorno non era sufficiente a qualificare la persona come clandestina sia perché poteva aver fornito un nome falso sia perché non poteva essere esclusa l'ipotesi che il nominativo fosse presente con una ortografia diversa, ipotesi piuttosto frequente nei casi di traslitterazione di nomi dall'alfabeto arabo . Peraltro, l'indagine amministrativa era nulla in quanto il risultato era stato trasfuso su una missiva dell'ispettorato del lavoro che portava in calce un timbro della questura privo di data, sottoscrizione e nominativo dell'agente preposto all'indagine. 2.2. Mancava anche l'elemento soggettivo del reato. L'imputato aveva chiesto a Za. i documenti attestanti la sua regolare permanenza sul suolo italiano e questi aveva promesso una successiva consegna. La circostanza che il giorno dopo non li avesse ancora portati non era fattore determinante per accertare la colpa né tantomeno il dolo. Il reato era punito a titolo di dolo e quindi era irrilevante la responsabilità colposa, come affermato con la sentenza del giudice di legittimità n. 9882 del 2011. L'errata applicazione della norma contestata aveva dato luogo alla violazione dell'art. 192 del codice di rito sul punto della gravità indiziaria per l'affermazione del giudizio di colpevolezza. 3. Con il secondo motivo denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Si ribadisce che non vi era prova che il lavoratore fosse stato già assunto e che era apodittica l'affermazione della corte territoriale secondo cui i tratti somatici escludevano che si potesse trattare di cittadino italiano. Afferma il ricorrente che il calciatore B. è cittadino italiano nonostante le sue caratteristiche morfologiche. La sentenza era contraddittoria per aver ritenuto che il lavoratore fosse straniero, nonostante non fosse certa la sua identificazione per la diversità di nominativi riportati negli atti. Considerato in diritto 1. L'impugnazione è basata su motivi infondati e va respinta. 1.1. Privo di fondamento deve ritenersi, in primo luogo, l'argomento secondo cui non vi è prova che il lavoratore fosse un cittadino straniero. Tranciante in proposito è l'argomentazione contenuta nelle sentenze di merito, secondo cui l'imputato era consapevole di tale condizione della persona. Circostanza questa ammessa nel ricorso, dal momento che trattando dell'elemento soggettivo è lo stesso ricorrente che riconosce di avere chiesto i documenti attestanti la regolare presenza sul suolo italiano e che il lavoratore aveva promesso che li avrebbe portati. Sono quindi inconciliabili con questa situazione tutte le deduzioni difensive articolate per contestare la compiuta identificazione del lavoratore. 1.2. Infondate sono da ritenere le censure che attengono alla sussistenza del fatto-reato dal punto di vista oggettivo. L'assunzione di un lavoratore, salvo i casi particolari di lavoratore in prova, a termine o apprendista, non necessita di forme particolari e si realizza per facta condudentia con la prestazione dell'attività sotto la direzione del datore di lavoro. Tanto è che la sentenza che riconosce la instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato ha natura di accertamento. L'occupazione quale lavoratore dipendente, a tempo determinato o indeterminato, di un cittadino extracomunitario è legittima soltanto se quest'ultimo è titolare di un permesso di soggiorno a fini lavorativi. Il permesso, sempre a fini lavorativi, deve essere validamente rilasciato e deve coprire l'intera durata del rapporto l'unica apparente eccezione prevista riguarda la situazione di permesso lavorativo scaduto per il quale sia stato tempestivamente avanzata richiesta di rinnovo. Sicché l'esistenza di un permesso turistico, pur rinnovato o per il quale sia avanzata richiesta di rinnovo, non legittimerebbe comunque l'assunzione e l'occupazione. Era quindi preciso onere dell'imputato verificare che il lavoratore fosse munito di regolare permesso di soggiorno prima di adibirlo a qualsiasi mansione lavorativa. I giudici di merito hanno accertato che il lavoratore prestava attività da due giorni e correttamente hanno ritenuto realizzato l'elemento oggettivo del reato in linea con l'insegnamento di questa corte di legittimità secondo cui ai fini della configurabilità del reato di assunzione di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, il concetto di occupazione che figura nel D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 22 testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero si riferisce all'instaurazione di un rapporto di lavoro che già di per sé integra gli estremi di una condotta antigiuridica, qualora il soggetto assunto sia un cittadino extracomunitario privo del citato permesso, indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell'attività in questione cosi Sez. 1, Sentenza n. 15463 del 26/03/2008, dep. 14/04/2008, Rv. 239618, imp. Zhao . 1.3. Quanto alla dedotta nullità degli accertamenti, dagli atti del processo, cui questa Corte può accedere quando è dedotta violazione di legge processuale, risulta che i funzionari del ministero del lavoro al momento dell'accesso redassero un verbale di accesso ispettivo , regolarmente firmato dai verbalizzanti e dal datore di lavoro, di cui facevano parte integrante come allegati le dichiarazioni spontanee rese da A. e dal lavoratore irregolarmente assunto che compitava il proprio nome Z.S. dichiarava chiamarsi. Allo stesso verbale è allegata la risposta fornita dall'ufficio immigrazione della polizia di Stato che, a richiesta del dirigente della direzione provinciale del lavoro di Milano comunicava che il soggetto indicato, Zi.Sh. , era clandestino in banca dati. Irrilevante e che in altri passaggi del verbale detto nominativo sia stato scorrettamente riportato ciò che rileva è che gli accertamenti hanno riguardato il soggetto trovato nel locale ispezionato. 3. Infondata è anche la censura relativa all'elemento soggettivo del reato. L'imputato era consapevole che il lavoratore era un soggetto straniero e lo ha volontariamente assunto. Il dolo richiesto dalla norma è quello generico. Inconferente è il richiamo alla sentenza 9882 del 2011, che riguardava il caso dell'assunzione di un lavoratore straniero regolarmente denunziato, per il quale erano stati assolti tutti gli oneri retributivi, contributivi e previdenziali, da ciò nascendo un dubbio ragionevole sul fatto che l'imputato fosse consapevole della irregolarità della permanenza dello straniero nel territorio italiano. Situazione questa quindi radicalmente diversa da quella in esame in cui vi è stata una assunzione irregolare di un lavoratore straniero. 4. Il secondo motivo ripropone sotto l'aspetto del vizio motivazionale le stesse doglianze in precedenza ricondotte alla violazione di legge e si risolve in congetturali e non consentite censure in fatto al percorso argomentativo seguito nella sentenza in verifica, che, come agevolmente si evince da quanto innanzi esposto sub 1.1. e 1.2., ha preso minuziosamente in esame tutti i motivi di appello e ha dato conto delle ragioni che giustificano la conclusione alla quale perviene. 5. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.