In bilico tra diritto alla vita familiare e espulsione dello straniero condannato

Il principio stabilito dall’art. 8 CEDU è rispettato dal T.U. Immigrazione nella parte in cui la legge stabilisce i requisiti per contemperare gli interessi contrapposti avendo riguardo alla proporzionalità delle misure e al rilievo dei fini perseguiti.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 48684, depositata il 9 dicembre 2015. Il caso. Un cittadino straniero era raggiunto da un decreto di espulsione a firma del Magistrato di Sorveglianza. A seguito dell’opposizione dell’interessato, il Tribunale di Sorveglianza rigettava, con ordinanza, le censure e, pertanto, l’interessato ricorreva in Cassazione. Dalla lettura del provvedimento si deduce che l’uomo era attualmente privo di permesso di soggiorno. Il suo ingresso nel Paese era avvenuto in forza di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro che non era rinnovato. Il rigetto dell’istanza di rinnovo era determinato dal comportamento del ricorrente – definito pessimo – giacché l’uomo si era rivelato soggetto violento e trasgressivo. Condannato, in fase di esecuzione della pena, non gli erano accordate misure alternative alla detenzione intramuraria inoltre, ottenuto l’accesso alla detenzione domiciliare, in seguito la misura veniva revocata e, di conseguenza, ripristinata la detenzione in carcere a causa del comportamento non corretto. Pericolosità sociale e assenza condizioni ostative. Desunto così il giudizio di pericolosità sociale del detenuto, il Tribunale di Sorveglianza valorizzava l’assenza di condizioni ostative all’espulsione, vale a dire il residuo pena da espiare inferiore a due anni, la tipologia del reato per cui era stata riportata condanna e l’assenza di situazioni indicate dall’art. 19 T.U. Immigrazione per determinate categorie di soggetti è preclusa l’espulsione e ciò quando l’espulsione sia verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso altro Stato dove non sia protetto dalla persecuzione . Nel caso esaminato, l’interessato neppure forniva prova della circostanza che, prima del fatto, fosse convivente con un parente entro il II grado con cittadinanza italiana. In breve il giudizio di pericolosità sociale era desunto non solo dai precedenti penali a carico del cittadino straniero ma anche da una valutazione estesa alla complessiva condotta e alla sua condizione personale. La ratio sottesa all’espulsione dello straniero condannato. L’espulsione dello straniero condannato è riservata alla competenza del Giudice di Sorveglianza e ha natura amministrativa. L’espulsione costituisce misura atipica alternativa o sostitutiva della detenzione ed è finalizzata ad evitare il sovraffollamento carcerario. Si tratta di una misura obbligatoria in presenza delle condizioni previste dalla legge che sussistono nella fattispecie concreta. La Corte di Cassazione, inoltre, precisa che le norme che prevedono il contemperamento tra esigenze opposte quali le norme di ordine pubblico e quelle di conservare i legami familiari e personali sono eccezionali e non possono essere oggetto di interpretazione analogica. T.U. Immigrazione compatibile con Convenzione EDU. Il regime di espulsione dello straniero condannato è stato ritenuto coerente con le disposizioni dell’art. 8 CEDU come interpretato dalla Corte di Strasburgo. La norma salvaguarda l’unità familiare intesa come vincolo tra genitori e figli o tra parenti legali da consanguineità e convivenza effettiva e impone allo Stato di contenere le limitazioni all’esercizio del diritto di famiglia e ai rapporti familiari, potendole stabilire solo in forza di una disposizione di legge nei limiti di quanto imposto per assicurare la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del Paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale o la protezione dei diritti e delle libertà altrui e se proporzionate al fine legittimo perseguito. La Corte EDU ha affermato che gli Stati hanno diritto di espellere gli stranieri che delinquono dovendo rispettare, quando tale modalità incida sul diritto protetto dall’art. 8 CEDU diritto al rispetto della vita privata e familiare il principio di proporzione con lo scopo perseguito e valutare comparativamente gli interessi contrapposti, vale a dire quello collettivo di ordine pubblico e di controllo dei flussi di ingresso e soggiorno degli stranieri e quello personale dello straniero. Di tale bilanciamento si fa carico il T.U. Immigrazione. L’esercizio del potere di sovranità dello Stato, in altre parole, non deve provocare ingerenze nella vita privata e familiare.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 settembre – 9 dicembre 2015, n. 48684 Presidente Siotto – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza resa l'8 gennaio 2015 il Tribunale di sorveglianza di Venezia rigettava l'opposizione proposta da B.M. avverso il decreto di espulsione, emesso in data 22 settembre 2014 dal Magistrato di sorveglianza di Venezia, rilevando che il reclamante si trovava nelle condizioni previste dall'art. 13, comma 2 lett. b e c del D.Lgs. nr. 286/98 in quanto privo di permesso di soggiorno per il diniego del suo rinnovo e non interessato da condizioni ostative all'espulsione, previste dall'art. 19 del predetto testo normativo escludeva a tal fine rilevanza all'interesse al mantenimento dell'unità familiare, criterio che deve essere considerato soltanto al fine del rilascio da parte dell'autorità amministrativa dei documenti legittimanti il soggiorno in favore di tutti gli stranieri, non anche dei condannati. 2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l'interessato a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l'annullamento per violazione di legge ed errata applicazione dell'art. 16 co. 5 D. Lgs. 286/98 in ragione dell'insussistenza dei presupposti di legge per far luogo ad espulsione del condannato. Il Tribunale ha ritenuto che il decreto di espulsione ex art. 16, comma 5, D. Lgs. 286/98 debba essere oggetto di automatica emissione nella ricorrenza delle condizioni del limite di pena, dell'appartenenza del soggetto alle categorie di cui all'art. 13 T.U. Imm. e della insussistenza di cause ostative all'espulsione in tal modo ha negato la natura amministrativa del provvedimento, anticipatorio dell'analoga misura adottabile da parte del Prefetto al termine dell'espiazione della pena. Al contrario, da tale premessa discende quale logica conseguenza l'applicabilità, non soltanto delle disposizioni richiamate dall'art. 16, ovvero gli artt. 13 e 19 D.Lgs. 286/98, ma anche di tutte le norme operanti in materia di immigrazione, comprese quelle di cui agli artt. 5, co. 5 e 13, co. 2-bis stesso decreto, volte a tutelare l'unità familiare ed i rapporti parentali. Sotto tale profilo è stato documentato, con certificazioni di anagrafiche, che in Italia vivono tutti i membri della famiglia del ricorrente, genitori e due fratelli, nonché gli zii materni e due nonni, dei quali quasi tutti titolari di un permesso di soggiorno CE di lungo periodo e gli zii in possesso della cittadinanza italiana. Pertanto, è irrilevante il richiamo, operato dall'art. 16 co. 5 al solo art. 19 a tutela dei rapporti familiari, dovendosi considerare anche quanto previsto dai citati artt. 5 e 13, comma 2-bis, pena un'ingiustificata disparità di trattamento. Inoltre, la tematica dell'unità familiare è stata presa in esame sia da giudici nazionali, che dalla Corte Europea dei Diritti dell'uomo. In particolare, sia la Corte Costituzionale, che il Consiglio di Stato hanno affermato recentemente che la valutazione in ordine alla pericolosità sociale di un soggetto non può essere svolta solo alla stregua delle pronunce giudiziali di condanna, ma va estesa a tutte le manifestazioni esteriori della sua personalità, comprese le relazioni familiari, che impediscono di ordinare l'espulsione. 3. Con requisitoria scritta, depositata il 2 aprile 2015 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, dr. Francesco Salzano, ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. Con memoria depositata il 14 settembre 2015 la difesa ha ulteriormente illustrato i motivi proposti ha ribadito la necessità di considerare nel caso il valore dell'unità familiare, posto che il ricorrente sino all'ultima carcerazione coabitava con la zia cittadina italiana, valore la cui rilevanza è stata riconosciuta anche dalla sentenza della Corte EDU Omojudi c/ Regno Unito del 24/11/2009. Ha quindi rappresentato anche le esigenze di tutela della salute del condannato, in quanto tossicodipendente sottoposto a programma di recupero, che non potrebbe mai proseguire nel paese d'origine, ove non viene riconosciuta ed affrontata la problematica della tossicodipendenza quale patologia. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va dunque respinto. 1. Il provvedimento impugnato, adeguatamente e logicamente motivato, resiste alle critiche difensive, ove si consideri che la Corte territoriale ha già esaminato e respinto con motivazione in sé coerente e priva di vizi le doglianze espresse con i motivi di opposizione, riproposte poi in ricorso ha, infatti, evidenziato come sia attuale il giudizio di pericolosità sociale, espresso a carico del ricorrente, che non ha affatto desunto dai soli precedenti penali. Il procedimento valutativo dei giudici di merito ha soltanto preso l'avvio dalla considerazione delle condanne riportate dal B. , ma si è esteso alla sua complessiva condotta ed alla sua condizione personale. Ha quindi evidenziato l'avvenuto ingresso nel paese con un permesso di soggiorno per motivi di lavoro, che recentemente non è stato rinnovato per rigetto della relativa istanza, determinato dal pessimo comportamento tenuto dal ricorrente, rivelatosi soggetto violento e trasgressivo, tanto che anche in corso di esecuzione inizialmente non gli erano state accordate misure alternative e, una volta avuto accesso alla detenzione domiciliare, la stessa era stata revocata col ripristino della detenzione carceraria per la non correttezza del suo comportamento. Al giudizio di pericolosità sociale del detenuto, desunto dai precedenti penali e dalla presenza irregolare sul territorio dello Stato, ha aggiunto l'assenza delle condizioni ostative all'espulsione, ossia il residuo pena da scontare inferiore ai due anni, il reato per il quale ha riportato condanna non impeditivo e la non ricorrenza delle situazioni previste dall'art. 19 D.lgs. nr. 286/98, rilievi supportati da motivazione chiara, compiuta e logica. 2. L'impugnazione non contraddice nemmeno a livello di allegazione, men che meno sotto il profilo del riscontro documentale, sia il rilievo circa la natura vincolata della decisione sull'espulsione una volta che ricorrano le condizioni pretese dalla legge, compresa l'assenza di titolo legittimante la permanenza in Italia, sia quello sull'insussistenza di situazioni ostative disciplinate dal citato art. 19, in quanto non prova che il ricorrente prima della carcerazione fosse convivente con un parente entro il secondo grado cittadino italiano non smentisce neanche la logicità e la pertinenza al caso dei rilievi che hanno condotto ad assegnare valore preminente nel caso specifico all'esigenza di allontanamento del condannato. Pretende piuttosto che l'analisi da condurre per legittimare l'espulsione sia estesa con effetti vincolanti ai criteri dettati dagli artt. 5, comma 5 e 13, comma 2-bis del D.lgs. nr. 286/98. 2.1 Anche tale tematica è stata già risolta dai giudici di merito con esiti giuridicamente corretti e meritevoli di piena condivisione. Sebbene debba concordarsi che l'espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, prevista dall'art. 16, comma quinto, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, riservata alla competenza del giudice di sorveglianza, ha natura amministrativa, va però aggiunto che essa costituisce un'atipica misura alternativa o sostitutiva della detenzione, finalizzata ad evitare il sovraffollamento carcerario, della quale è obbligatoria l'adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge, che nel caso risultano ricorrenti Cass. sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, Turtulli, rv. 249175 sez. 1, n. 17255 del 17/03/2008, Lagji, rv. 239623 sez. 1, n. 16446 del 16/03/2010, Noua, rv. 247452 . Dalla correttezza della premessa teorica sulla sua natura e sugli effetti anticipatori di provvedimenti di eguale tenore, adottabili dal Prefetto una volta esaurita l'espiazione della pena detentiva, non può però discendere quale automatica conseguenza l'applicabilità dei parametri di valutazione dettati da altre norme disciplinanti l'immigrazione a fini differenti, quali quelli stabiliti dall'art. 5, comma 5 e 13 comma 2-bis richiamati dalla difesa. Entrambe le disposizioni prevedono che debbano prendersi in considerazione anche la natura e l'effettività dei vincoli familiari dell'interessato e l'esistenza di legami familiari e sociali col suo paese d'origine, ma la prima riguarda soltanto i provvedimenti di rifiuto del rilascio del permesso di soggiorno, della revoca o del diniego di rinnovo del predetto titolo nei riguardi di cittadini stranieri presenti nel territorio per ragioni di ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto, la seconda l'espulsione amministrativa di coloro che versino in tali situazioni, non già di soggetti stranieri condannati e sottoposti esecuzione, destinatari dei provvedimenti specificamente regolati dall'art. 16 D.lgs. n. 286/98. Tale norma contiene, infatti, la regolamentazione specifica dell'istituto e la relativa disciplina costituisce essa stessa un contemperamento tra esigenze contrapposte, quella dello Stato all'allontanamento del condannato straniero sulla base di norme di ordine pubblico e quella di quest'ultimo a trattenersi per conservare i legami familiari e personali, tanto da aver previsto per esigenze umanitarie una serie di esenzioni dalla soggezione all'espulsione, che, stante la loro eccezionalità, non possono essere oggetto di interpretazione analogica, al fine di scongiurare facili scappatoie che renderebbero il regime di regolamentazione dell'immigrazione facilmente aggirabile e che costituiscono un ragionevole bilanciamento tra gli interessi in gioco, frutto di valutazioni discrezionali del legislatore che non configgono né con i precetti costituzionali, né con quelli comunitari Cass. sez. 1, n. 24710 del 22/05/2008, Sendane, rv. 240596 . 2.2 Dei resto il regime dell'espulsione del condannato cittadino straniero, come risultante dal combinato disposto degli artt. 16, comma 5 e 19 D.lgs. nr. 286/98, è stato già ritenuto coerente con le disposizioni dell'art. 8 CEDU come interpretato alla giurisprudenza comunitaria, che salvaguarda l'unità familiare, intesa quale vincolo tra genitori e figli o tra parenti legati da consanguineità e convivenza effettiva e che impone allo Stato di contenere le limitazioni all'esercizio del diritto alla famiglia ed ai rapporti familiari, potendole stabilire soltanto in presenza delle condizioni di cui al paragrafo 2 dell'art. 8, ossia in forza di una disposizione di legge, nei limiti di quanto imposto per assicurare la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale o la protezione dei diritti e delle libertà altrui e se proporzionate al fine legittimo perseguito. E, come già richiamato nella sentenza Cass. sez. 3, n. 18527 del 03/02/2010, Nabil, rv. 246974, al riguardo la Corte di Strasburgo, nella sentenza El Boujaidi e. Francia, 26 settembre 1997 nonché nelle successive 30 giugno 2005, Bove comma Italia 7 aprile 2009, Cherif ed altri comma Italia 12 gennaio 2010 Khan A.W. comma Regno Unito , ha precisato che, nel garantire l'ordine pubblico e nell'esercitare il controllo dei flussi in ingresso ed il soggiorno degli stranieri, gli Stati hanno diritto di espellere coloro, tra questi, che delinquono, dovendo rispettare, quando tale misura incida su diritto protetto dall'art. 8 CEDU, il principio di proporzione con lo scopo che intendono perseguire e valutare comparativamente i contrapposti interessi, quello collettivo e quello personale dello straniero, bilanciamento che, per quanto già esposto, è riscontrabile nelle disposizioni di legge del T.U. sull'immigrazione. 2.3 Infine, non può riscontrarsi nemmeno il denunciato contrasto l'interpretazione delle norme di riferimento, offerta dall'ordinanza impugnata, ed i principi generali dettati dagli artt. 2 e 29 della Costituzione. La Corte Costituzionale con ordinanza nr. 361 del 26 settembre 2007 si è già occupata della tematica, che ha risolto, dichiarando manifestamente infondato l'incidente di incostituzionalità relativo all'art. 19 D.lgs. nr. 286/98 nella parte in cui dispone il divieto di espulsione esclusivamente in favore degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado - oggi entro il secondo grado - o con il coniuge di nazionalità italiana , escludendo analogo divieto in favore degli stranieri conviventi con parenti o con il coniuge già residenti in Italia e regolarmente muniti di permesso di soggiorno, ma privi della cittadinanza italiana. Richiamando la precedente decisione su identica questione, contenuta nell'ordinanza n. 158 del 2006, ha riconosciuto che il legislatore può legittimamente porre dei limiti all'accesso degli stranieri nel territorio nazionale effettuando un corretto bilanciamento dei valori in gioco, esistendo in materia un'ampia discrezionalità legislativa, limitata soltanto dal vincolo che le scelte non risultino manifestamente irragionevoli , profilo già comunque escluso nella materia dalla sentenza nr. 353 del 1997. Inoltre, nella richiamata ordinanza n. 158 del 2006 la stessa Corte aveva rilevato come il D.lgs. n. 286 del 1998 appresti, agli artt. 28 e seguenti, una specifica tutela del diritto dello straniero, regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, a mantenere l'unità del suo nucleo familiare, prevedendo la possibilità del ricongiungimento, nella sussistenza delle condizioni di cui all'art. 29, a favore del coniuge e dei figli minori a carico, mentre la pronuncia di incostituzionalità sollecitata avrebbe finito per vanificare i fini sottesi alla legge per il ricongiungimento familiare, dal momento che sarebbe consentito in ogni caso allo straniero coniugato e convivente con altro straniero di aggirare le norme in materia di ingresso e soggiorno, con evidente sacrificio degli altri interessi, ritenuti meritevoli di tutela e considerati dal D.lgs. n. 286 del 1998. A tali chiare indicazioni esegetiche, non efficacemente contraddette dal ricorrente, che ha preferito non farvi alcun cenno, questa Corte ritiene di doversi uniformare per confermare la coerenza con i valori costituzionali del regime dell'espulsione quale sanzione sostitutiva. 3. Il ricorrente prospetta poi esigenze personali di cura dalla tossicodipendenza in ragione del percorso terapeutico già intrapreso anche in costanza di detenzione e la necessità di completarlo nel paese, posto che in quello d'origine ove verrebbe espulso la relativa problematica non è conosciuta e trattata. Si tratta però di profili di merito che non sono stati rappresentati ai giudici in sede di opposizione e che non possono essere presi in esame direttamente da questa Corte nemmeno ai sensi dell'art. 609 cod. procomma pen. comma 2, sia per l’assenza di qualsiasi impedimento ad una più tempestiva deduzione nel grado precedente, sia per i limiti cognitivi del giudizio di legittimità, che inibiscono l’accesso agli atti e la valutazione di situazioni di fatto. Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.