Redditi prodotti dai familiari del detenuto agli arresti domiciliari: non si esclude l’autorizzazione al lavoro

Il requisito dell’assoluta indigenza, richiesto ex art. 284, comma 3, c.p.p., deve essere inteso in senso strettamente pauperistico, facendo riferimento alle condizioni reddituali e patrimoniali del soggetto in vinculis. Pertanto, l’autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, per lo svolgimento di attività lavorativa, prescinde dall’individuazione della situazione economica del nucleo familiare, in quanto non è contemplata espressamente dalla legge, né sussiste un obbligo di mantenimento a carico dei familiari del detenuto, al di fuori di quello alimentare.

In tal senso si è pronunciata la Suprema Corte, con la sentenza n. 48026/2015, in tema di modalità di esecuzione di misure cautelari. La sentenza in commento, sulla scorta di precedenti giurisprudenziali conformi, fa luce sull’atteggiarsi del requisito dell’assoluta indigenza, la cui presenza è necessaria per il detenuto agli arresti domiciliari che avanzi richiesta di autorizzazione all’allontanamento dal luogo di esecuzione della misura per svolgere attività lavorativa. La questione. Nel caso di specie, il Tribunale del riesame di Potenza, adito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., rigettava l’appello proposto da un soggetto in stato di arresti domiciliari che aveva proposto impugnazione avverso l’ordinanza del gip in sede, con cui veniva negata la richiesta di autorizzazione a svolgere attività lavorativa, ex art. 284, comma 3, c.p.p. Il Tribunale della libertà assumeva, in buona sostanza, di non intravedere la prova dello stato di assoluta indigenza dell’appellante, il quale aveva prodotto il certificato ISEE della di lui moglie, recante come indicatore economico la somma di Euro 12.000,00. Contro siffatto provvedimento ricorre per Cassazione il prevenuto, lamentando violazione di legge e vizio della motivazione in quanto tautologica e carente sotto vari profili, soprattutto in merito all’erronea valutazione di insussistenza dello stato di indigenza economica. La posizione della Corte di legittimità. Il ricorso merita accoglimento, stante la carenza motivazionale che non consente di cogliere la congruità delle argomentazioni addotte dal Tribunale del riesame. Spiegano gli Ermellini che in tema di autorizzazione a svolgere attività lavorativa per il soggetto detenuto agli arresti domiciliari, la valutazione del decidente in ordine allo stato di assoluta indigenza del medesimo, pur in un’ottica di estremo rigore di analisi in virtù dell’eccezionalità della previsione di favore, non può allargarsi sino al punto di pretendere una sorta di prova legale della situazione di indigenza del nucleo familiare del richiedente. Tale condizione, cui, ope legis , è subordinata l’autorizzazione all’allontanamento del detenuto dal luogo di esecuzione della misura, deve essere intesa e soppesata in senso strettamente papeuristico”, dunque in maniera inerente in via esclusiva alla sfera reddituale/patrimoniale dell’interessato. Va escluso, pertanto, che ai fini richiesti dall’art. 284, comma 3, c.p.p., assuma rilevanza la situazione economica del nucleo familiare, giacché non sussiste nessun obbligo a carico dei familiari di mantenere il congiunto agli arresti domiciliari, eccetto che sotto il profilo alimentare. Da tali considerazioni discende che nel caso in esame il riferimento al certificato ISEE della moglie dell’appellante, con indicatore economico pari alla somma di Euro 12.000,00 , non costituisce valida motivazione per escludere lo stato di indigenza del medesimo. Dunque, in siffatti termini il provvedimento merita annullamento, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Potenza.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 6 luglio – 3 dicembre 2015, n. 48026 Presidente Fumo – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con l'ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Potenza, in funzione di tribunale dei riesame, adito ex art. 310, c.p.p., rigettava l'appello proposto nell'interesse di G.L. avverso l'ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Potenza aveva rigettato l'istanza volta ad ottenere l'autorizzazione a svolgere attività lavorativa ex art. 284, co. 3, c.p.p., ritenendo, da un lato non provato lo stato di assoluta indigenza dei G., dall'altro che l'arco di tempo particolarmente prolungato in cui si sarebbe dovuta svolgere l'attività lavorativa appare 'del tutto incompatibile con le esigenze cautelari ed il pericolo di recidiva ravvisabile nei confronti dei G 2. Avverso tale ordinanza, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il G., a mezzo dei suo difensore di fiducia, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in quanto, da un lato, l'assunto dei tribunale della libertà secondo cui il periodo di tempo eccessivamente lungo in cui si sarebbe dovutq svolgere l'attività lavorativa sarebbe tale da frustrare la ritenuta esigenza di tutela della collettività, è del tutto tautologico, non spiegando il tribunale perché l'attività lavorativa a quale il G. avrebbe dovuto dedicarsi sia incompatibile con le esigenze cautelari, esponendosi la motivazione dell'impugnata ordinanza al medesimo rilievo critico nella parte in cui il giudice dell'impugnazione cautelare deduce la mancata dimostrazione dello stato di indigenza dell'indagato dalla circostanza che l'indicatore economico di cui al certificato ISEE è di quasi 12.000,00 euro dall'altro il tribunale del riesame non ha fornito risposta al rilievo difensivo, formulato sia nei motivi di appello, che con l'istanza al giudice procedente, sull'insussistenza dell'esigenza cautelare di tutela della collettività, posta a fondamento della misura cautelare degli arresti domiciliari attualmente in esecuzione, il cui mantenimento, peraltro, non si giustifica, alla luce della previsione dell'art. 275, co. 2 bis, c.p.p., come modificato dal d.l. n. 92 del 2014, convertito nella I. n. 317 del 2014, essendo stato il G. condannato ad una pena inferiore ai tre anni di reclusione. 3 II ricorso è fondato nei termini che seguono. Ed invero non può non rilevarsi come l'ordinanza del tribunale del riesame sia caratterizzata da una carenza motivazionale che non consente di cogliere la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo dei provvedimento. Come affermato da un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di autorizzazione dell'imputato sottoposto agli arresti domiciliari ad assentarsi per svolgere un'attività lavorativa, la valutazione dei giudice in ordine alla situazione di assoluta indigenza dello stesso, pur dovendo essere improntata, stante l'eccezionalità della previsione, a criteri di particolare rigore, non può, però, spingersi sino al punto di pretendere una sorta di prova legale dello stato di assoluta indigenza del nucleo familiare dell'indagato mediante produzione di una autocertificazione attestante la impossidenza dei redditi necessari a soddisfare le ordinarie esigenze di vita cfr. Cass., sez. II, 12.2.2015, n. 12618, rv. 262775 . La condizione di assoluta indigenza dell'imputato, cui la legge subordina l'autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di arresto per esercitare un'attività lavorativa, deve essere riferita ai bisogni primari dell'individuo e dei familiari a suo carico, ai quali può essere data risposta solo attraverso il lavoro, che assume, dunque, nella prospettiva indicata dall'art. 284, co. 3, c.p.p., un ruolo centrale nell'assicurare i suddetti bisogni primari, nozione che peraltro comprende anche per l'evolversi delle condizioni sociali le spese per l'educazione, quelle per la comunicazione o per il mantenimento in salute cfr. Cass., sez. IV, 29.1.2007, n. 10980, rv. 236194 . Proprio in applicazione di tali principi in un condivisibile arresto della Suprema Corte, si è affermato che l'assoluta indigenza non deve essere intesa in senso esclusivamente pauperistico , dovendo farsi riferimento alle condizioni reddituali e patrimoniali del soggetto, eventualmente comprensive delle utilità economiche costituenti anche esse reddito personale, che siano corrisposte dalle persone obbligate per legge o per rapporti contrattuali al suo mantenimento per motivi che prescindano dalla capacità al lavoro, dovendosi escludere che a tali fini possa rilevare la situazione economica del nucleo familiare, in quanto non è presa in considerazione dalla legge, né sussiste alcun obbligo di mantenimento del sottoposto agli arresti domiciliari a carico dei componenti la famiglia, al di fuori di quello strettamente alimentare cfr. Cass., sez. VI, 3.6.2005, n. 32574, rv. 231869 . Evidente, dunque, che il mero riferimento all'indicatore economico desumibile dal certificato ISEE di quasi 12.000 euro , derivante dal reddito prodotto dalla moglie dell'imputato, non costituisce motivazione adeguata per escludere lo stato di indigenza dei G Allo stesso modo appare del tutto apodittica l'affermazione dei tribunale del riesame, laddove afferma, senza spiegarne le ragioni, che l'orario in cui si sarebbe dovuta svolgere l'attività lavorativa dalle ore 6.30 alle ore 16.30 sia del tutto incompatibile con le esigenze cautelari ed il pericolo di recidiva ravvisabile nei confronti dei G. . Proprio quest'ultimo passaggio della motivazione dei tribunale del riesame non consente di accogliere l'ulteriore rilievo difensivo in tema di esigenze cautelari. Appare, infatti, evidente che il tribunale del riesame ha ritenuto sussistente un concreto ed attuale pericolo di reiterazione criminosa rafforzato dalla intervenuta condanna dell'imputato alla pena di anni due mesi otto di reclusione ed euro 10.000,00 di multa , correttamente desumendolo dalla gravità dei fatti per cui si procede nei confronti dei G. lesioni personali volontarie commesse con l'uso di un'arma e con premeditazione detenzione e porto illegali di un'arma da fuoco e di strumenti atti ad offendere e dalla negativa personalità dello stesso, gravato da vari precedenti penali per reati in materia di armi e di stupefacenti cfr. p. 2 del provvedimento impugnato . Né può essere invocata l'applicazione dell'art. 275, co. 2 bis, come sostituito dall'art. 8 , d.i. 26 giugno 2014, n. 92, convertito, con modificazioni, nella I. 11 agosto 2014, n. 117, in quanto tale disposizione fa riferimento solo alla misura cautelare della custodia in carcere, disponendo che non può essere applicata nei confronti di chi si presume non possa essere condannato ad una pena detentiva superiore ai tre anni, e non anche agli arresti domiciliari. 4. Sulla base delle svolte considerazioni l'impugnata ordinanza va, dunque, annullata con rinvio per nuovo esame al tribunale del riesame di Potenza, che provvederà a colmare le evidenziate lacune motivazionali, uniformandosi ai principi di diritto innanzi indicati. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al tribunale di Potenza.