La Cassazione fa un ripasso sul trasferimento fraudolento di valori

Le operazioni, anche di carattere societario, conseguenti ad una plurima condotta di fittizia attribuzione di beni o di utilità, dirette a creare nuove società ovvero a conferire nuove utilità ai medesimi soggetti, non possono essere considerate un post fatto non punibile, ove finalizzate ad eludere le norme cui fa riferimento l’art. 12-quinquies, d. l. n. 306/1992.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47452/2015, depositata il 1° dicembre. Il caso. La Corte d’Appello di Catanzaro confermava la condanna, nei confronti di un imputato, per l’illecito di cui all’art. 110, 81 c.p. e 12 quinquies d. l. n. 306/1992 trasferimento e possesso fraudolento di valori . Il condannato ricorreva per cassazione, lamentando l’erronea applicazione dell’art. 12 quinquies della normativa suddetta, rilevando l’intervenuta prescrizione del reato, in considerazione della sua natura di illecito istantaneo con effetti permanenti. La finalità della norma è impedire l’elusione delle norme in materia di prevenzione patrimoniale o di contrabbando. La Suprema Corte ha preliminarmente confermato il proprio costante orientamento giurisprudenziale secondo cui il delitto di trasferimento fraudolento di valori è un reato istantaneo con effetti permanenti, che si consuma nel momento in cui si realizza l’intestazione fittizia. Non rileva, pertanto, a parere degli Ermellini, il fatto che la situazione antigiuridica conseguente alla condotta criminosa perduri. Il Collegio ha riconosciuto il pregio delle argomentazioni della Corte territoriale, la quale, correttamente, ha affermato che, nel caso in cui la condotta criminosa sia costituita da più attribuzioni fittizie, l’illecito deve ritenersi consumato nel momento in cui è posta in essere l’ultima di esse. Ciò in considerazione della ratio della norma in esame, che deve essere identificata nel perseguire qualsiasi forma di trasferimento di beni da un soggetto, che ne rimane comunque effettivo dominus, ad un altro che assume il ruolo di titolare apparente in un’ottica complessiva di riduzione degli spazi di autonomia privata nel cui ambito sono ritenuti leciti i fenomeni di intestazione fiduciaria o di negozi indiretti . L’ambito oggettivo della disposizione, hanno chiarito gli Ermellini, è scevro da schemi predefiniti, in quanto l’attribuzione fittizia è suscettibile di essere posta in essere attraverso modalità non classificabili in astratto. L’apprezzamento della fattispecie è dunque soggetto alla discrezionalità del giudice, soprattutto nelle ipotesi, come quella del caso di specie, in cui vengono poste in essere condotte complesse e diversificate nel tempo. La Corte di legittimità ha, pertanto, affermato il principio per cui le operazioni, conseguenti ad una plurima condotta di fittizia attribuzione di beni o di utilità, anche di carattere societario, dirette a creare nuove società ovvero a conferire nuove utilità ai medesimi soggetti, non possono essere considerate un post fatto non punibile, ove finalizzate ad eludere le norme cui fa riferimento l’art. 12 quinquies . Nei casi di cui sopra, ha chiarito il Collegio, il reato ha natura plurima o frazionata, il cui momento consumativo si identifica nel raggiungimento dell’assetto definitivo della compagine sociale. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 novembre – 1 dicembre 2015, n. 47452 Presidente Gentile – Relatore Carrelli Palombi di Montrone Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 28/1/2014, la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme del 19/2/2013, che aveva condannato I.P. alla pena di anni due e mesi sei di reclusione per il reato al lui ascritto al capo B 110, 81 cod. pen., 12 quinquies d.l. n. 306 del 1992. 1.1. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l'atto d'appello, in punto di riconosciuta responsabilità dell'imputato in ordine al reato allo stesso ascritto sotto l'aspetto oggettivo e soggettivo. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso l'imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando il seguente motivo di gravame erronea applicazione dell'art. 12 quinquies d.l. 306/1992 nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Rileva al riguardo che l'epoca di commissione del reato deve essere ravvisata nel 10/10/2001, data in cui venne costituita la società o al più in quella del 28/3/2002, quando il ricorrente viene assunto nella Deltavi Costruzioni e che quindi il reato era già prescritto all'epoca della pronuncia della Corte d'appello, trattandosi di reato istantaneo con effetti permanenti. Rappresenta ancora che i concorrenti necessari nel reato, cioè coloro i quali si intestavano fittiziamente la società, hanno visto la loro posizione archiviata, non giustificandosi la sola riconosciuta responsabilità del ricorrente, stante la comune determinazione che sarebbe alla base della interposizione fittizia. Evidenzia poi che la procura generale rilasciata in data 28/5/2007 allo I. dalla Deltavi fa venir meno definitivamente la sussistenza del fatto. Considerato in diritto 3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, per essere manifestamente infondate tutte le doglianze proposte. Quanto all'epoca di commissione del reato, il capo di imputazione riporta la data dell'accertamento indicata nel mese di ottobre 2010 e parla di reato tuttora in corso, volendosi, evidentemente, riferire ad un reato permanente. Viceversa la costante giurisprudenza di questa Corte ha considerato il delitto di trasferimento di fraudolento di valori come un reato istantaneo con effetti permanenti che si consuma nel momento in cui viene realizzata l'intestazione fittizia, senza che possa assumere rilevanza il permanere della situazione antigiuridica conseguente alla condotta criminosa sez. U n. 8 del 28/2/2001, Rv. 218768 sez. 5 n. 30605 del 22/5/2009, Rv. 244482 sez. 6 n. 24657 del 27/5/2014, Rv. 262045 . Detto ciò, rileva il Collegio che nella sentenza impugnata, con valutazione in fatto non censurabile in questa sede e neppure contestata nel giudizio di merito, la Corte territoriale individua il momento consumativo del reato, cioè quello in cui l'attuale ricorrente acquisisce di fatto la proprietà della DELTAVI Costruzioni S.r.l., nel momento del rilascio, in data 28/5/2007, da parte di tal C.M.E. nella qualità di amministratore unico, in favore dello I. della procura generale. Sul punto i giudici di appello parlano, ragionevolmente, dell'atto con il quale il prevenuto suggella, all'esterno, l'avvenuto ingresso, da proprietario e plenipotenziario, nella società in parola consentendo altresì di datare, ai fini che qui rilevano, il perfezionamento della condotta criminosa ”. E la soluzione accolta dai giudici di merito risulta perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte, laddove, dopo avere ribadito la natura di reato istantaneo con effetti permanenti della fattispecie prevista dall'art. 12 quinquies d.l. n. 306 del 1992 convertito nella legge n. 356 del 1992, si è affermato che, qualora la condotta criminosa si articoli in una serie di attribuzioni fittizie, il reato si consuma quando viene realizzata l'ultima di esse sez. 1 n. 23266 del 28/5/2010, Rv. 247581 sez. 2 n. 39756 del 5/10/2011, Rv. 251192 . Difatti occorre tenere presente la ratio della fattispecie incriminatrice introdotta dall'art. 12 quinquies d.l. n. 306 del 1992, che è quella di perseguire qualsiasi forma di trasferimento di beni da un soggetto, che ne rimane comunque effettivo dominus, ad un altro che assume il ruolo di titolare apparente in un'ottica complessiva di riduzione degli spazi di autonomia privata nel cui ambito sono ritenuti leciti i fenomeni di intestazione fiduciaria o di negozi indiretti il tutto con la finalità ultima di impedire che vengano eluse le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648, 648 bis e 648 ter del codice penale. A ciò consegue che l'ambito oggettivo delineato dalla norma incriminatrice non si presta ad essere imbrigliato in schemi predefiniti, potendo essere molteplici e non classificabili in astratto i meccanismi attraverso i quali può realizzarsi l'attribuzione fittizia, né può ricondursi la definizione di titolarità o disponibilità entro schemi tipizzati di carattere civilistico. In sostanza la norma lascia al giudice di merito la discrezionalità di accertare, senza vincoli di carattere formale, il fatto storico apparente rispetto a quello reale e lo scopo specifico che ha caratterizzato la condotta dell'interposizione. Ciò deve essere particolarmente tenuto presente in quelle situazioni, assimilabili a quella oggetto del presente ricorso, nelle quali, attraverso meccanismi complessi e diversificati nel tempo, vengono poste in essere plurime condotte volte tutte a consentire al reale titolare del bene di mantenere il proprio rapporto di signoria con lo stesso. Ci si vuole, cioè, riferire a tutte quelle condotte gestorie, ricorrenti quando il fenomeno dell'interposizione si verifica in campo societario, che vengono ad introdurre un quid novi anche sul versante della stessa condizione qualitativa e quantitativa dei beni, come anche il riempiego di utili o operazioni di gestione ordinaria pur sempre inquadrabili nello schema dell'interposizione fittizia. Ed allora, al riguardo e con particolare riferimento al capo di specie, deve essere ribadito il principio già affermato da questa Corte, in base al quale qualora ad una plurima condotta di fittizia attribuzione di beni o utilità seguano operazioni, anche di natura societaria, dirette a creare o trasformare nuove società, ovvero ad attribuire, sempre fittiziamente, nuove utilità agli stessi o a diversi soggetti, deve escludersi che si tratti di post fatto non punibile, se tali operazioni siano dirette al medesimo scopo di eludere le disposizioni normative cui si riferisce l'art. 12 quinquies citato. Diversamente proprio le condotte elusive più insidiose, collegate ad operazioni di ripetute fittizie intestazioni in ambito societario, resterebbero fuori dalla portata della norma incriminatrice, che risulterebbe sostanzialmente aggirata ” sez. 6 n. 10024 del 11/12/2008, Rv. 242754 . Ed allora quando, come avvenuto nel caso di specie e come già affermato da questa Corte sez. 1 n. 23266 del 28/5/2010, Rv. 247581 , la condotta di attribuzione fittizia della società si è articolata in una serie di atti che sono culminati nel conferimento all'attuale imputato della procura generale di cui si è detto, il reato viene ad assumere la natura di fattispecie a condotta plurima o frazionata, in ordine alla quale la serie concatenata di atti trasformativi realizza un'azione unitaria che si esaurisce e si qualifica, sul piano dell'individuazione del relativo momento consumativo, con il raggiungimento dell'assetto stabile e definitivo della nuova apparenza della compagine sociale. E come si è visto detto momento di stabile e definitivo assetto di nuova apparenza è stato, ragionevolmente individuato nella data del 28/5/2007 al momento del conferimento allo I. della procura generale, a nulla rilevando, ai fini dell'individuazione del momento consumativo del reato, la data di costituzione della società e la data in cui il ricorrente era stato assunto nella stessa. Manifestamente infondata è pure la questione relativa alla diversa valutazione riservata ai concorrenti nel reato, la posizione dei quali è stata archiviata. Deve al riguardo precisarsi, come correttamente evidenziato dal ricorrente, che, ad esclusione del P.R. , non si tratta dei concorrenti necessari nel delitto di cui all'art. 12 quinquies, essendo tali solo coloro i quali si rendono disponibili all'intestazione fittizia, ma di concorrenti eventuali nel reato, cioè, come indicato nel capo d'imputazione, dei soggetti che intestavano fittiziamente la proprietà societaria della Deltavi Costruzioni s.r.l. a P.R. , mentre di fatto I.P. ne era proprietario esclusivo ovvero socio occulto e gestore di fatto. Ciononostante essa non rileva ai fini della ritenuta responsabilità dello I. per il reato allo stesso ascritto, essendo contenuta nella sentenza di primo grado ed in quella di appello una motivazione più che esaustiva in ordine alla ricorrenza in capo all'attuale imputato dell'elemento materiale e di quello psicologico del reato di intestazione fittizia. Difatti i giudici di merito, in linea con le affermazioni di questa Corte, hanno preso atto dell'archiviazione del procedimento per mancanza dell'elemento psicologico nei confronti degli altri soggetti indicati nel capo d'imputazione come concorrenti nel reato ed hanno evidenziato quali erano gli elementi di fatto in forza dei quali, in relazione alla posizione dell'attuale ricorrente, si era concluso per la sussistenza del reato sez. 2 n. 29517 del 17/6/2015, Rv. 264422 . Quanto, infine, all'asserita insussistenza del reato proprio in conseguenza del rilascio della procura di cui si è detto, il motivo proposto attiene a valutazioni di merito che sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l'argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Rv. 214794 Sez. U., n. 12 del 31.5.2000, Rv. 216260 Sez. U. n. 47289 del 24.9.2003, Rv. 226074 . E così segnatamente la Corte territoriale, come aveva fatto il giudice di prime cure, ha dato, adeguatamente, atto, con argomentazioni prive di contraddittorietà o illogicità manifesta, della valenza riconosciuta a tale atto in termini di sussistenza del reato contestato sotto il profillo oggettivo e soggettivo non essendovi spazio per ulteriori valutazioni da parte di questa Corte. Ed anche con riguardo alla finalità della condotta posta in essere che, come si è visto, deve essere volta ad eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, nella sentenza impugnata, con argomentazioni in fatto, viene evidenziato come, all'epoca di accertata consumazione del reato, l'imputato non potesse affatto considerarsi immune dal pericolo di subire l'ablazione dei beni a sé intestati. 4. Tutto ciò comporta l'inammissibilità dell'impugnazione per manifesta infondatezza dei motivi proposti. Ne consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000,00. Il ricorrente deve essere, inoltre, condannato alla rifusione in favore della costituita parte civile Comune di Lamezia Terme delle spese processuali sostenute nel grado che si ritiene di dovere liquidare in Euro 2.900,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende nonché alla rifusione in favore della costituita parte civile Comune di Lamezia Terme delle spese processuali sostenute nel grado che liquida in Euro 2.900,00 oltre accessori di legge.