Insegnante umilia gli alunni : sproporzionato l’esercizio del suo potere educativo

Il reato di abuso di mezzi di correzione o di disciplina è integrato se l’insegnante adotta comportamenti umilianti, denigratori o psicologicamente violenti nei confronti degli alunni, determinando un pericolo per la salute degli allievi.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47543/2015, depositata il 1° dicembre. Il caso. La Corte d’Appello di Firenze, confermando la statuizione del giudice di prime cure, condannava un’imputata per l’illecito di abuso di mezzi di correzione art. 571 c.p. ,aggravato e continuato, e per violenza privata art. 610 c.p. aggravata. La donna, in qualità di insegnante presso una scuola media, veniva riconosciuta responsabile di aver adottato atteggiamenti offensivi e minatori verso i propri alunni, oltre ad aver costretto alcune allieve a scrivere una lettera al dirigente scolastico per ritirare le lamentele, riguardanti la stessa docente, dalle medesime inoltrate. La condannata ricorreva per cassazione, lamentando l’erronea qualificazione giuridica dei fatti. Alunni umiliati e denigrati dall’insegnante l’illecito c’è. La Suprema Corte ha ribadito il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui deve ritenersi sussistente il reato di abuso di mezzi di correzione o di disciplina, qualora il docente ponga in essere condotte umilianti, denigratorie o psicologicamente violente nei confronti dei propri alunni. Tali comportamenti devono, a parere degli Ermellini, rappresentare un pericolo per la salute degli allievi. La Corte di legittimità ha precisato come, in ambito scolastico, il potere educativo dell’insegnante debba essere esercitato con modalità proporzionate alla gravità delle condotte scorrette integrate dall’alunno, nel rispetto dei limiti posti dall’ordinamento. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 luglio – 1 dicembre 2015, n. 47543 Presidente Marasca – Relatore Savani In fatto e diritto Con la sentenza in data 12 marzo 2015 la Corte d'Appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa in data 18 giugno 2013 dal locale Tribunale, Sezione distaccata di Empoli, appellata da G.E., dichiarata responsabile dei delitti di abuso di mezzi di correzione aggravato e continuato nel periodo dal 2007 al giugno 2010, nonché violenza privata aggravata, commesso il 18 gennaio 2008. La G., insegnante di inglese presso una scuola media di Castelfiorentino, era stata trat ta giudizio per rispondere del delitto di maltrattamenti, derubricato come sopra dal primo giudi ce, con riferimento ad atteggiamenti offensivi e minatori nei confronti di suoi allievi, sia nell'anno scolastico 2007-2008, sia in quello 2009-2010, nonché per rispondere del delitto di vi olenza privata per aver costretto tre sue allieve, le quali si erano lamentate con il dirigente scola stico per la pronuncia di espressioni offensive nei riguardi loro e dei compagni, a scrivere - sotto minaccia di bocciatura e di carcere con conseguenti risvolti per il certificato penale - una lettera diretta al dirigente scolastico con cui si ritrattavano le precedenti accuse verso l'insegnante. Propone ricorso per cassazione la prevenuta sulla base di quattro motivi. Con il primo chiede che ai sensi degli artt. 129 c.p.p. e 131 bis c.p. venga dichiarata la non puni bilità per particolare tenuità del fatto. Evidenzia il ricorrere delle condizioni di applicazione della norma al caso di specie e la mancan za di situazioni ostative, quali l'abitualità del comportamento. Con un secondo motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge per mancata assunzio ne di una prova decisiva non avendo la Corte acquisito la prodotta sentenza con cui il giudice del lavoro aveva dichiarato l'inesistenza degli addebiti disciplinari mossi nei suoi confronti in base pi fatti oggetto del processo. Con il terzo motivo deduce violazione di legge per il ritenuto ricorrere del delitto di abuso dei mezzi di correzione, non avendo mai utilizzato la ricorrente, come risulterebbe da deposizioni non considerate dalla Corte di merito, espressioni inappropriate o offensive quali quelle di cui all'imputazione, essendosi limitata a richiamare, con veemenza e in maniera decisa, le allieve che formavano un gruppo a sé stante nella classe, soggetti disattenti, poco interessati agli studi, sempre ribelli. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione sulla responsabilità affermata dalla Corte di merito senza aver considerato le argomentazioni dell'appello con le quali erano state evidenziate le dichiarazioni degli allievi della G. che avevano attestato l'assoluta correttezza del suo operato. Il ricorso è inammissibile. Manifestamente infondato è il primo motivo atteso che non ricorrono i requisiti che questa Corte dovrebbe valutare per poter esaminare la questione posta dalla ricorrente. I comportamenti della prevenuta, per come sono stati ritenuti dai giudici del merito, non possono che esser ritenuti abi tuali, secondo la definizione legislativa, atteso che si tratta di comportamenti protratti nel tempo e ritenuti costituenti una continuazione criminosa. Manifestamente infondata è anche la doglianza relativa alla mancata assunzione di prova decisi va. Invero le sentenze del giudice del lavoro oggetto della pretesa omissione di valutazione ave vano avuto per oggetto l'annullamento di sanzioni disciplinari concernenti anni scolastici diversi da quelli oggetto del procedimento, come evidenziato dal giudice d'appello che ha accertato che una delle sentenze riguardava fatti verificatisi nell'anno scolastico 2005-2006 ed un'altra fatti verificatisi nell'anno scolastico 2006-2007, mentre ha poi correttamente osservato come l'annullamento della sanzione disciplinare per l'episodio verificatosi con la B. nel 2008 non poteva esser considerato fatto determinante, nel senso di destrutturare la motivazione della sentenza di condanna penale, essendo il procedimento disciplinare basato su parametri sostanzia li e processuali diversi da quello penale e non avendo la sentenza del primo giudice fondato l'affermazione di responsabilità sull'esito dei procedimenti disciplinari, ma su di una serie di e lementi di prova diversi, laddove il riferimento ai procedimenti disciplinari voleva evidenziare la regolarità e periodicità con cui la G. era stata sottoposta a tali procedimenti, circostanza significativa quanto meno di difficoltà relazionali con gli allievi. Altrettanto corretta appare la motivazione relativa alla mancata acquisizione dei restanti docu menti ed in particolare della copia della lettera di ritrattazione oggetto del capo di violenza priva ta asseritamente persa e poi ritrovata prima della proposizione dell'appello, senza che fosse stata prodotta, e poi con una produzione tardiva solo in sede di motivi aggiunti, laddove non si chiari va, se non assertivamente, il motivo della mancata produzione in primo grado per consentirne una valutazione complessiva e in contraddittorio. Le censure prospettate con i restanti motivi di ricorso sono infine inammissibili, in quanto tendo no a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprez zamento del materiale probatorio rimessi all'esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati nel loro ricorrere e nella qualificazione giuridica sia dal Tribunale che dalla Corte d'appello. Nel caso in esame, difatti,i giudici del merito hanno correttamente osservato che la prova dei fatti ascritti all'imputata riposava nelle testimonianze delle persone offese, la cui credibilità è stata adeguatamente argomentata, e nel sostegno a questa che poteva trarsi dalle dichiarazioni dei ge nitori, del preside, di altri docenti e del m.llo G. dei carabinieri, nonché, sull'episodio della ritrattazione della denuncia al dirigente scolastico, nelle dichiarazioni delle persone offese ed in quelle della teste Pelagotti. Corretta è poi stata la valutazione di inconferenza delle doglianze dell'appellante basate su di una valutazione parcellizzata delle dichiarazioni testimoniali e sull'evidenziazione di discrasie marginali non significative di inattendibilità o falsità delle accuse. Osserva infine il Collegio come non superi il livello della genericità la doglianza concernente l'omessa valutazione delle affermazioni a discarico di alcuni degli allievi, proposta senza speci ficazione dei contributi e della capacità delle stesse di mettere nel nulla la serie rilevante di dichiarazioni con quelle contrastanti. Manifestamente infondate infine le censure sulla qualificazione giuridica dei fatti da parte della Corte d'Appello che ha evidenziato la grave pressione minacciosa esercitata sulle allieve per indurle a scrivere la lettera di ritrattazione, rappresentando così un quadro chiarissimo di violenza privata, mentre erano rimaste nell'alveo dell'abuso le minacce di bocciatura e voti bassi per indurre le allieve a svolgere il tema che aveva per oggetto il preteso comportamento scorretto nei loro confronti degli altri insegnanti, comportamento peraltro significativo delle difficoltà relazio nali della prevenuta anche con i colleghi docenti. Anche con riguardo ai restanti comportamenti compresi nell'abuso di mezzi di correzione le va lutazioni della Corte territoriale sono in sintonia con gli approdi della giurisprudenza, secondo la quale Sez. VI, n. 34492 del 14/6/2012, Rv. 253654 integra il reato di abuso dei mezzi di corre zione o di disciplina il comportamento dell'insegnante che umilii, svaluti, denigri o violenti psi cologicamente un alunno causandogli pericoli per la salute, atteso che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporziona ti alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall'ordi namento o consistere in trattamenti afflittivi dell'altrui personalità. Ed in tal senso si è determina ta la Corte di merito nella valutazione di episodi non isolati e coinvolgenti un numero significati vo di allievi, pur sempre tenendo conto che il comportamento scolastico di tutti o parte degli al lievi potesse non essere corretto, come lamentato dalla prevenuta nelle sue difese. All'inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 C.P.P., la condanna della ricorren te al pagamento delle spese del procedimento e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione - di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ra gione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.000,00. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese pro cessuali ed al pagamento della somma di €. 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.