Sussiste il reato di dichiarazione fraudolenta anche quando i soggetti della transazione sono diversi da quelli della fatturazione

Una società emetteva fatture per transazioni effettuate da due distinte e diverse società. La Corte è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla configurabilità del sequestro preventivo del profitto del reato in materia di reati tributi ed in merito alla sussistenza del requisito della falsità della dichiarazione quando ci sia diversità tra i soggetti dell’operazione e quelli della fatturazione. Il reato per i giudici di legittimità sussiste allorquando i soggetti della fatturazione siano diversi da quelli effettivi.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 46857 depositata il 26 novembre 2015. Il sequestro per i reati tributari. Nella commentata sentenza, i Giudici di legittimità si pronunciano in merito all’applicabilità del sequestro preventivo sui reati tributari e alla configurabilità del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti nel caso di emissione di fattura solo soggettivamente inesistenti. Quanto alla prima questione, contrariamente a quanto esplicitato dal ricorrente, i Giudici affermano la piena applicabilità del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalntee, sia per il prezzo che per il profitto del reato tributario. L’art. 1, comma 143, l. n. 224/2007 rinvia, infatti, integralmente all’art. 322 ter c.p., potendosi dunque applicare ai reati tributario sia il primo che il secondo comma dell’articolo in materia di confisca. Tale approdo interpretativo è stato peraltro confermato da precedenti pronunce di legittimità che hanno precisato come il principio resti valido anche dopo le modifiche apportata dalla legge n. 190/2012 all’art. 322 ter c.p. ex multis Cass. n. 23108/13 . I soggetti inesistenti. Il caso prospettato innanzi ai Giudici di legittimità concerne il meccanismo delittuoso delle cosiddette truffe carosello” e riguarda tre distinte società. Una di queste emetteva fatture di acquisto a monte e fatture di vendita a valle tra le società coinvolte nella transazione. Svolgeva, insomma, le funzioni di tramite tra gli effettivi soggetti della transazione, lucrando l’importo dell’IVA non versata e consentendo all’effettivo destinatario della merce un vantaggio patrimoniale derivante dal prezzo ridotto della vendita finale. Mentre il ricorrente affermava che la società destinataria della merce effettivamente corrispondeva il prezzo della transazione che, poiché reale, consentiva la detrazione dell’IVA, i Giudici di legittimità affermano invece che la falsità, assunta a rilievo dalla norma incriminatrice, ben può riguardare l’indicazione dei soggetti. Ai sensi dell’art. 1 d.lgs. 74/2000 per soggetti diversi da quelli effettivi si devono intendere colore che pur avendo apparentemente emesso il documento non hanno effettuato la prestazione, sono irreali o non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente fiscale. È questo il caso avanzato innanzi alla Corte di Cassazione nella sentenza commentata. Peraltro, in tema di detraibilità dell’IVA, qualora la fattura sia emessa da parte di soggetto diverso da quello che ha realmente effettuato la cessione o prestazione, viene a mancare il requisito primo per la detrazione dell’imposta, ovvero l’effettuazione di un’operazione. Essa manca quando i soggetti dell’operazione siano distinti rispetto a quelli della fatturazione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 ottobre 26 novembre 2015, n. 46857 Presidente Franco – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. A. M. ricorre per cassazione impugnando l'ordinanza emessa in data 1 aprile 2015 con la quale il tribunale del riesame di Milano ha confermato il decreto di sequestro preventivo, disposto in funzione della successiva confisca per equivalente, di beni immobili, beni mobili registrati, somme depositate sul conto corrente, polizze assicurative ed altre disponibilità finanziarie, fino alla concorrenza della somma di euro 2.056.327,34 emesso dal giudice per le indagini preliminari per il reato previsto dagli articoli 81 cpv. codice penale e 2 decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 perché, nella qualità di legale rappresentante della società Q. S. S.r.l., con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto, utilizzava fatture per operazioni soggettive inesistenti emesse dal 25 febbraio 2011 al 29 gennaio 2013 dalla società cartiera M.C.L. S.r.l. per un importo pari a un imponibile di euro 9.738.035,03 e Iva di euro 2.056.827,34 registrandole nelle scritture contabili obbligatorie ed indicandole nella dichiarazione Iva relativa ai periodi di imposta 2011, 2012 e 2013, negli importi, per anno, specificamente indicati nel capo di imputazione provvisoria. 2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza il ricorrente solleva, tramite il difensore, i seguenti tre motivi di gravame. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l'erronea applicazione del combinato disposto dell'articolo 1, comma 143 legge n. 244 del 2007 e dell'articolo 321, comma 2, codice di procedura penale in relazione all'articolo 322 ter codice penale nella formulazione vigente prima delle modifiche apportate dall'articolo 1, comma 75, lettera o legge n. 190 del 2012 , nella parte in cui il tribunale dei riesame ha ritenuto applicabile la confisca per equivalente del profitto anche al reato tributario asseritamente commesso anteriormente alla data del 30 maggio 2012 articolo 606, comma 1, lettera b , codice di procedura penale . Assume che il rinvio operato dall'articolo 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 con riguardo ai reati tributari, all'articolo 322 ter cod. pen., deve essere inteso con riferimento al solo primo comma della richiamata disposizione e non anche al secondo tant'è che il legislatore quando ha avvertito la necessità di estendere le ipotesi di confisca al corrispettivo dei profitto, lo ha fatto con la legge n. 190 del 2012, modificativa dell'articolo 322 ter, comma 1, cod. pen. Tale innovazione normativa avvalorerebbe inoltre la tesi che richiede una esplicita previsione legislativa nel caso di estensione dell'oggetto della confisca per equivalente, vieppiù in ragione della natura sanzionatoria di tale tipologia di confisca. L'avere inoltre il Tribunale trascurato tali argomentazioni renderebbe il provvedimento impugnato reso in violazione di legge. Né la modifica normativa può operare retroattivamente in considerazione della natura sanzionatoria della confisca de qua, essendo ciò escluso ex articolo 25 Cost. e dalla pronunce della Corte Edu. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la manifesta illogicità della motivazione e il travisamento della prova per avere il tribunale del riesame ritenuto la società M.C.L. S.r.l. e I. S.r.l. facenti capo all'indagato, poggiando su tale inesistente circostanza la motivazione sul fumus commissi delicti del reato contestato articolo 606, comma 1, lettera e codice di procedura penale . Sostiene che l'impugnata ordinanza, rigettando il rilievo formulato con la richiesta di riesame, ha affermato che le società I. e M.C. L. fossero riconducibili al ricorrente, trovando ciò conferma & amp pagina 15 del decreto di sequestro ed aggiungendo poi che il fatto che le società fossero tutte riconducibile alla M. confermava che l'intero meccanismo era preordinato a simulare una situazione di credito di imposta non effettivo che quindi avrebbe comportato da parte della società finale acquirente la Q. S. S.r.l. il pagamento degli importi Iva quantificati dalla polizia giudiziaria. Sennonché questa conclusione contrasta, secondo il ricorrente, in maniera siderale con quanto riportato a pagina 15 del decreto di sequestro espressamente citata dal tribunale, nel quale non si afferma che le società M.C. L. e I. fossero riferibili al ricorrente ma, al contrario, si dà atto per tabulas che le due società in questione appartengono a soggetti del tutto differenti pagina 6 e pagina 8 del decreto . Oltretutto in alcun foglio dei processo si rinviene, neppure indirettamente, un' affermazione di tale tenore. 2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia la mancanza di motivazione e la non corretta interpretazione della legge penale in ordine alla individuazione dell'ipotizzato profitto articolo 606, comma 1, lettere b ed e codice di procedura penale . Assume che, con i motivi di riesame proposti, il ricorrente aveva evidenziato l'assenza di profitto, inteso quale risparmio fiscale. La società destinataria finale Q. S. S.r.l. infatti riceveva e pagava effettivamente la merce. Per essa dunque era fiscalmente indifferente rappresentare un costo proveniente dalla M.C.L. piuttosto che da R., posto che, anche per le importazioni da società statunitensi, si applica l'Iva e il relativo regime di detrazione dei paese dell'unione di destinazione. Nell'ordinanza impugnata, il tribunale ha affermato che, quanto alla mancanza dell'insussistenza dei risparmio fiscale, la ricostruzione difensiva nulla spiegherebbe in ordine al mancato pagamento dell'Iva, posto che la tesi fondava sul fatto che non si era in presenza di un soggetto fiscale situato in un altro paese comunitario ma che nel caso di specie al primo venditore la società R. che aveva ceduto I., che, a sua volta, aveva ceduto alla M.C. L. comunque andasse versata l'Iva. Con tale motivazione il tribunale non avrebbe affrontato nel merito le deduzioni difensive, ripiegando su una motivazione meramente apparente, omettendo del tutto di muovere una qualsivoglia considerazione sulla sussistenza del profitto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Questa Corte ha affermato che, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente , può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato Sez. 3, n. 35807 del 07/07/2010, Bellonzi ed altri, v. 248618 , con la conseguenza che l'integrale rinvio alle disposizioni di cui all'articolo 322-ter del codice penale , contenuto nell'articolo 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007, comporta che, con riferimento ai reati tributari, trova applicazione, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non solo il primo ma anche il secondo comma della norma codicistica. Siffatto approdo ermeneutico è stato successivamente ribadito dalla giurisprudenza di questa Sezione con un orientamento al quale occorre dare continuità, essendo stato chiarito che, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato Sez. 3, n. 23108 del 23/04/2013, Nacci, Rv. 255446 , con la puntualizzazione che il principio rimane valido anche dopo le modifiche apportate all'articolo 322 ter cod. pen. dalla l. n. 190 del 2012, in quanto tali modifiche, eliminando una discrasia esistente nel microsistema dei reati contro la pubblica amministrazione, non hanno inciso sull'ambito di operatività dell'articolo 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 il quale, rinviando all'intera disposizione dell'articolo 322 ter cod. pen., era già ab origine applicabile tanto al prezzo comma 1 dell'articolo 322 ter cod. pen. nella formulazione previgente alla modifica ex lege 190 del 2012 , quanto al prezzo e al profitto del reato comma 2 dell'articolo 322 ter cod. pen. . Ne consegue l'infondatezza dei primo motivo di impugnazione. 3. Il secondo ed il terzo motivo, essendo afflitti dal medesimo vizio, possono essere congiuntamente esaminati. Essi sono inammissibili non essendo consentita la loro proposizione in materia di impugnazioni cautelare reali. 3.1. Le Sezioni Unite di questa Corte, in materia di ricorso per cassazione contro i provvedimenti coercitivi reali, hanno affermato che l'impugnazione è ammessa solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o dei tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 . Nel caso di specie, la motivazione del provvedimento impugnato non è né mancante e neppure apparente perché il decreto di sequestro preventivo e l'ordinanza confermativa dei tribunale della libertà, provvedimenti che si integrano tra loro, hanno dato atto che la Guardia di Finanza, mediante accertamenti e verifiche incrociate aveva acquisito la documentazione di riferimento e denunciato il ricorrente quale autore di un meccanismo delittuoso riconducibile alle cosiddette truffe carosello , consistente nel coinvolgimento di almeno tre società, una delle quali situata in un altro paese comunitario rispetto allo Stato membro ove è stata perpetrata la frode emetteva, a monte, fatture di acquisto e, a valle, fatture di vendita tra le società coinvolte nella transazione, svolgendo la funzione di cartiera ed interponendosi tra gli effettivi soggetti della negoziazione, conseguendosi, con tale meccanismo, il vantaggio patrimoniale di lucrare l'importo relativo all'Iva non versata e consentendo anche all'effettivo destinatario della merce di acquistarla ad un prezzo ridotto. Per quanto qui interessa, si è evidenziato, nel caso in esame, che la società Q. S. posseduta dal ricorrente quale socio di maggioranza risultava avere rapporti commerciali con la società filtro o cartiera M.C.L. la quale fatturava, nel periodo di riferimento, le somme e i relativi crediti Iva indicati nella provvisoria imputazione. Le indagini e l'acquisizione documentale con particolare riguardo a quella doganale acquisita presso il porto della Spezia, quella bancaria e le fatture consentivano di ricostruire i passaggi della merce Q. S. acquistava da M.C.L. facente capo a tale T. e allo stesso ricorrente che a sua volta acquistava da I. altra cartiera, anch'essa riferibile al ricorrente e priva di qualsiasi struttura organizzativa , amministrata da tale M., ma di fatto riconducibile anch'essa a T., socio di M. anche nella società R., società di diritto statunitense, che, come altre, acquistava la merce da un fornitore cinese. Tale ricostruzione consentiva, in sostanza, di accertare che la società R. acquistava la merce da fornitori cinesi, la cedeva successivamente a I. cartiera , che fittiziamente la vendeva a M.C.L. altra cartiera che infine la cedeva fittiziamente sottocosto a Q. S. s.r.l., la quale ultima lucrava un risparmio di spesa di circa l'8,5% rispetto al costo fatturato dalla R. alla I., con l'ulteriore conseguenza che la Q. S. non pagava l'Iva e che il giro di tali somme sottratte all'erario consentiva alla società texana R., riferibile come detto al T. ed al socio M., un guadagno rappresentato dal risparmio delle somme riferibili all'ammontare dell'Iva non versata. 3.3. Neppure esatto è, secondo la prospettazione della doglianza, il rilievo formulato con il terzo motivo di ricorso circa la determinazione dei profitto, operata dai giudici cautelare, in considerazione del fatto che la società destinataria finale della merce la Q. S. avrebbe effettivamente corrisposto il prezzo della transazione la quale, essendo vera e reale, le consentiva di detrarre l'Iva, senza che perciò fosse configurabile un indebito profitto erariale da parte sua. Questa Corte, sul punto, ha recentemente affermato Sez. 3, n. 42994 del 07/07/2015, dep. 26/10/2015, De Angelis, non mass. l'utilizzazione nella dichiarazione fiscale di fatture per operazioni solo soggettivamente inesistenti integra la fattispecie di reato contestata in via cautelare e legittima, a condizioni esatte, il sequestro, anche per equivalente, finalizzato alla confisca del prezzo, del prodotto o del profitto dei reato. Questa Corte ha, infatti, precisato che anche l'inesistenza soggettiva delle operazioni è condotta che può rientrare tra quelle considerate dalla norma incriminatrice sul rilievo che la falsità ben può essere riferita anche all'indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l'operazione, intendendosi per soggetti diversi da quelli effettivi , ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, articolo 1, lett. a , coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto, come nella specie, alcun rapporto con il contribuente finale ex multis, in tal senso, Sez. 3, n. 27392 del 27/04/2012, Bosco, Rv. 253055 . Sul tema della detraibilità dell'Iva, va chiarito che, nel caso, come quello in esame, di emissione della fattura da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione, viene a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione dell'Iva, costituita dall'effettuazione di un'operazione, giacché questa riferendosi il D.P.R. n. 633 del 1972, articolo 19, comma 1, all'imposta relativa alle operazioni effettuate deve ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell'operazione non coincidano con quelli della fatturazione. Come è stato reiteratamente osservato dalla Sezione tributaria di questa Corte ex multis, Sez. 5, n. 23626 del 11/11/2011 la previsione del D.P.R. n. 633 del 1972, articolo 21, comma 7 secondo la quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura è, con riguardo all'ipotesi considerata, esplicita nel senso di imporre il versamento dell'imposta, ma di precluderne la detrazione. La disposizione viene, infatti, letta nel senso che il tributo viene ad essere considerato fuori conto e la relativa obbligazione, conseguentemente isolata dalla massa di operazioni effettuate, estraniata , per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione tra Iva a valle ed Iva a monte , che presiede alla detrazione d'imposta di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, articolo 19. E ciò per il rilievo che il versamento dell'Iva ad un soggetto che non sia la genuina controparte, aprendo la strada ad un indebito recupero dell'imposta, è evento dirompente, nell'ambito dei complessivo sistema Iva. Il diritto alla detrazione dell'IVA non può infatti prescindere dalla regolarità delle scritture contabili ed in particolare della fattura che è considerata documento idoneo a rappresentare un costo dell'impresa. Avuto riguardo ai due poli soggettivi dei rapporto negoziale, è stato chiarito Sez. civ. 5, n. 13803 del 18/06/2014 come debbano tenersi distinte le vicende relative al rapporto tributario tra il cedente/prestatore di servizi soggetto passivo emittente la fattura, tenuto a versare allo Stato l'IVA riscossa in rivalsa e l'Erario, dal differente rapporto tributario che, in conseguenza della dichiarazione fiscale e della utilizzazione della fattura passiva per la detrazione d'imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex articolo 19 , sorge tra il cessionario/committente e l'Amministrazione finanziaria. Diversamente opinando, ritenendo cioè rilevante ai fini dell'evasione fiscale soltanto il mancato versamento dell'IVA da parte del cedente, si aggirerebbero elusivamente le disposizioni dei D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 26 che legittimano la detrazione IVA da parte dei cessionario solo in relazione ad effettive operazioni commerciali beni o servizi importati od acquistati nell'esercizio dell’attività economica e riconducono ad unità il sistema della rivalsa e della detrazione con la conseguenza che, in presenza di operazioni inesistenti, non si realizza l'ordinario presupposto impositivo, né la configurabilità stessa di un pagamento a titolo di rivalsa , né i presupposti del diritto alla detrazione di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 19, comma 1. Si tratta di principi che si applicano sia alle false fatturazioni emesse per operazioni oggettivamente inesistenti che a quelle emesse per operazioni solo soggettivamente inesistenti quindi ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa perciò anche l'ipotesi di inesistenza soggettiva, nella quale, pur risultando i beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell'impresa utilizzatrice delle fatture che ha regolarmente versato il corrispettivo, venga accertato che uno o entrambi i soggetti del rapporto documentato dalla fattura siano falsi e, dunque, anche con specifico riferimento alla fattispecie in esame, riconducibile alle cd. frodi carosello , caratterizzate dal fatto che la merce acquistata dal contribuente che esercita il diritto alla detrazione IVA proviene in realtà da soggetto diverso da quello fittiziamente interposto che ha emesso la fattura, incassando l'IVA in rivalsa ed omettendo poi di versarla all'Erario. La rigorosità di tale impostazione risulta, peraltro, stemperata con effetto anche sull'ordinamento interno dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che ha, in ogni caso, escluso che, in funzione dei principi della tutela dell'affidamento e della certezza del diritto, l'esercizio dei diritto alla detrazione Iva possa essere negato al committente/cessionario in buona fede, che, cioè, dimostri di non aver avuto e non aver potuto avere, avendo in proposito adottato tutte le ragionevoli precauzioni la consapevolezza di partecipare, con il proprio acquisto, ad illecito fiscale v. Corte di Giustizia, sentenza 21/06/2012, nelle cause riunite C 80/11 e 142/11, sentenza 6 luglio 2006 nelle cause riunite C-439/04 e C-440/04 e sentenza 12 gennaio 2006 nelle cause riunite C-354/03, C-355/03 e 484/03 . Sul punto, deve del tutto escludersi qualsiasi inconsapevolezza neppure prospettata da parte del ricorrente circa l'esistenza del meccanismo fraudolento, posto che, come è stato in precedenza osservato v. sub 3.2. , si ricava tranquillamente, dal testo dei provvedimenti impugnati che si integrano tra loro , come il meccanismo criminoso fosse strutturato su più livelli per cui la merce, prima di giungere definitivamente a Q. S., è stata fatta oggetto di numerose operazioni di compravendita, solo cartolari, finalizzate esclusivamente alla creazione in capo alle simulate alienanti, assetti societari riconducibili al ricorrente, di un credito Iva non spettante, mai versato all'erario e al quale va perciò parametrato il profitto conseguito con l'evasione. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.