Omicida si appropria di beni della vittima per sviare le indagini: assolto dal reato di furto

Il dolo specifico del reato di furto deve ritenersi integrato solo in caso di accertata finalità in capo all’agente di percepire dal bene asportato un’utilità, anche di carattere non patrimoniale, che sia diretta e non mediata.

In tal senso si è pronunciata la IV Sezione Penale della Suprema Corte, con la sentenza 46996/2015, depositata il 26 novembre, e relativa alla materia dei delitti contro il patrimonio. Il decisum in oggetto presenta una puntuale indicazione degli elementi costitutivi del delitto di furto, concentrandosi, in particolar modo, sul dolo specifico e sul concetto di profitto cui occorre aver riguardo dinanzi a determinate fattispecie concrete. La questione. Il caso che ci occupa ha origine dalla sentenza pronunciata dal gup di Firenze nei confronti di un’imputata di omicidio volontario e rapina aggravata, responsabile di aver ucciso una donna ed essersi impossessata di monili e valori appartenenti alla stessa. In primo grado, l’omicida veniva condannata ad anni dieci di reclusione per il delitto di omicidio volontario - esclusa la premeditazione e previo riconoscimento del vizio parziale di mente e delle attenuanti generiche – ed assolta per il reato di rapina, sulla scorta del fatto che l’imputata non aveva agito col fine di trarre profitto, bensì con l’intento di inscenare una rapina per sviare i sospetti. La sentenza veniva appellata tanto dal difensore quanto dal Procuratore Generale, ma la Corte territoriale di Firenze accoglieva parzialmente il gravame della pubblica accusa, riqualificando il delitto di cui all’articolo 628 c.p. in quello di furto aggravato, in ragione dell’accertato impossessamento dei monili e dei valori della vittima che, in qualche modo, avrebbe procurato un profitto all’imputata. Per tale motivo, ritenuti i reati di omicidio e furto legati dal vincolo della continuazione, la pena inflitta veniva rideterminata in anni dieci e mesi due di reclusione. Avverso siffatto provvedimento ricorre per Cassazione il difensore della prevenuta, limitatamente al delitto di furto, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alle valutazioni sviluppate in ordine all’elemento psicologico del delitto de quo . Il merito della doglianza difensiva. Il principale motivo di ricorso attiene alla precipua individuazione del profitto e del rapporto col dolo specifico, quale elemento costitutivo del reato di furto. Rileva la difesa che, pur nella consapevolezza che il profitto possa rivestire anche una mera connotazione morale, è necessario che, ai fini della esatta configurazione del delitto in parola, il vantaggio promani direttamente dal bene e non dalla sua scomparsa. Diversamente, verrebbe frustrata la natura stessa del dolo di furto. L’accoglimento del ricorso. I giudici di Piazza Cavour, diversamente opinando rispetto al P.G. che chiede l’inammissibilità del gravame, annullano la sentenza senza rinvio limitatamente alla statuizione relativa alla declaratoria di penale responsabilità dell’imputata per il delitto di cui agli articolo 624 e 625 c.p. . Secondo gli Ermellini, nell’ambito di siffatta fattispecie criminosa, vero è che il vantaggio dell’agente possa consistere in una qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale, ma è altrettanto vero che il concetto di profitto non può essere esteso a qualunque tipo di beneficio poiché sarebbe, così, vanificata la presenza del dolo specifico e della sua efficacia limitativa della punibilità. Sulla scorta di tali considerazioni, i Giudici di legittimità, con la pronuncia in commento, esprimono il principio di diritto in base al quale il dolo specifico del reato di furto è integrato dalla finalità di percepire dalla res asportata un’utilità diretta, non mediata, anche se non di carattere economico, realizzata dall’impossessamento della cosa mobile altrui con coscienza e volontà, in danno della persona offesa. Pertanto, poiché nel caso di specie, l’imputata, dopo aver ucciso la malcapitata, si era impossessata dei beni della vittima solo al fine di sviare le indagini, deve essere mandata assolta per il delitto di furto, avendo agito per ottenere un vantaggio di tipo indiretto.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 12 – 26 novembre 2015, numero 46996 Presidente Brusco – Relatore Menichetti Considerato in fatto Con sentenza in data 15.11.2013 all'esito di rito abbreviato il G.U.P. dei Tribunale di Prato condannava T. N. alla pena di anni dieci di reclusione e alla misura di sicurezza del ricovero in casa di cura e custodia per il reato di omicidio volontario, commesso con l'uso di un coltello da cucina in danno di N. C., esclusa l'aggravante della premeditazione, concesse le attenuanti generiche e la diminuente del vizio parziale di mente la assolveva contestualmente dal reato di rapina aggravata articolo 628 commi 1 e 3 numero 1 c.p. , contestatole per essersi impossessata di monili vari e valori detenuti dalla stessa N. indosso alla propria persona e all'interno dell'abitazione in cui era avvenuto il fatto, sul rilievo che l'imputata non aveva agito per fine di profitto ma con l'intento di inscenare una rapina per sviare i sospetti. La sentenza veniva appellata dal difensore dell'imputata, che si doleva del mancato riconoscimento dei vizio totale di mente, e dal P.G., che chiedeva la condanna anche per il delitto di rapina, sulla duplice considerazione che la T. aveva agito per impossessarsi dei beni, occultati nella fodera del giubbotto in modo da renderli trasportabili, e ne aveva tratto comunque profitto, inteso come utilità morale, con violenza antecedente alla condotta di rapina. La Corte d'Assise d'Appello di Firenze condivideva parzialmente il gravame dei P.G. rilevando che l'episodio relativo alla sottrazione dei gioielli non potesse qualificarsi come rapina, posto che il proposito criminoso era certamente assente prima e durante la condotta omicidiaria, ed era maturato dopo un lasso di tempo tale da escludere ogni rapporto causale con la violenza esercitata sulla vittima riteneva però che, per tentare di sviare le indagini, l'imputata avesse posto in essere non solo manovre simulatorie e diversive, ma una vera e propria sottrazione di cose mobili, a fine di profitto, non necessariamente economico, utilizzando una particolare scaltrezza nel cucire i monili all'interno della fodera del giubbotto. Riqualificata allora la originaria imputazione nel delitto di cui agli articolo 624, 625 numero 2 e 61 numero 2 c.p. e ritenuta la continuazione con il più grave delitto di omicidio, rideterminava la pena inflitta in anni dieci e mesi due di reclusione, confermando nel resto l'impugnata sentenza. Propone ricorso l'imputata limitatamente al reato di cui al capo 2 della originaria imputazione lamentando, come motivo principale in relazione all'elemento soggettivo, la erronea applicazione di legge articolo 42, 43, 624 c.p. e la contraddittorietà ed illogicità della motivazione articolo 606 comma 1 lett.b e lett.e c.p.p. , ed articolando motivi subordinati in cui censura la mancata applicazione della diminuente di cui all'articolo 89 c.p. e la violazione dell'articolo 522 c.p.p. in relazione alle aggravanti ritenute per il furto. Alla odierna udienza il P.G. ha concluso per la inammissibilità del ricorso. Ritenuto in diritto Argomenta la ricorrente a sostegno del primo e principale motivo di gravame come non vi fosse stata alcuna sottrazione dei beni della vittima, cuciti unitamente ai propri all'interno di un giubbotto solo per tentare di inscenare una rapina ad opera di terzi e sviare le indagini sull'omicidio della N. deduce ancora che - pur nella consapevolezza che il profitto può rivestire anche una mera connotazione morale - è necessario che il vantaggio promani comunque direttamente dal bene e non dalla sua scomparsa, ove il soggetto agente non intenda trarre in via diretta alcuna utilità dalla cosa. Diversamente, in base all'assunto difensivo, si perverrebbe ad una dilatazione eccessiva dei dolo di furto, a maggior ragione ove l'autore voglia commettere altro reato offensivo di diverso bene giuridico, nel caso di specie la simulazione di reato, esclusa dal primo giudice in quanto la condotta di per sé non era idonea a determinare neppure l'inizio di un procedimento penale, stante l'immediata spontanea confessione e la palese mal destrezza del tentativo di depistaggio . Di qui la asserita violazione di legge ed il vizio motivazionale della sentenza di appello. Il rilievo è fondato. La prevalente dottrina e giurisprudenza, nell'interpretare gli elementi costitutivi dei reato di furto ed in particolare il dolo specifico, ritengono che il profitto avuto di mira dall'agente possa consistere in una qualsiasi utilità o vantaggio, anche di natura non patrimoniale si è obiettato però che una dilatazione del concetto di profitto, fino a ricomprendere un qualunque vantaggio anche non patrimoniale, porterebbe ad una eccessiva estensione dell'operatività della norma, vanificando la presenza dei dolo specifico e svilendola ad una connotazione priva di una vera valenza limitativa della punibilità. Ciò posto, come già affermato da questa Corte Sez.IV, 16.12.2009, numero 47997 , deve ritenersi che il dolo specifico del reato di furto sia integrato dalla finalità di percepire dal bene asportato un'utilità diretta, non mediata, anche se non di carattere economico, finalità realizzata con l'impossessamento della cosa mobile altrui commesso con coscienza e volontà in danno della persona offesa. Nel caso di specie, nessun beneficio diretto l'imputata aveva intenzione di trarre dai monili della vittima, essendosi ella limitata ad inscenare un tentativo assai maldestro di sviare le indagini verso un'ipotesi di rapina ad opera di ignoti, tentativo destinato a rimanere privo di alcuna utilità, sia per la modalità grossolana della condotta posta in essere, sia per la immediata confessione resa dalla T. agli operanti intervenuti sul posto tanto da non essere ipotizzabile neppure una simulazione di reato . Né, sotto diverso aspetto, può ritenersi integrata la condotta di impossessamento, da intendersi come comportamento di colui che si impadronisce di un bene sottraendolo definitivamente alla sfera patrimoniale del detentore, persona offesa, ed acquisendone così l'autonoma disponibilità, anche per un breve lasso di tempo. Anche sotto tale profilo infatti appare dubbio che l'occultamento dei beni da parte dell'imputata, con le modalità dell'agire di cui si è detto, possa costituire condotta appropriativa - risultato cioè della sottazione e a seguire dell'impossessamento - per difetto dell'elemento oggettivo, atteso che i beni erano stati solo momentaneamente nascosti alla vista degli agenti intervenuti per i rilievi a seguito dell'omicidio, per un lasso di tempo talmente breve, data la immediata confessione dell'imputata, da non integrare con certezza il comportamento tipizzato dalla norma incriminatrice per il furto ma che, dettato come già detto da una ragione diversa, rimane - stante la particolarità della fattispecie - penalmente irrilevante. Per tali considerazioni l'impugnata sentenza va annullata senza rinvio limitatamente al capo 2 oggetto di ricorso perché il fatto non sussiste, con passaggio in giudicato della pronuncia di condanna per omicidio volontario. Poiché per il reato di cui al capo 2 era stato determinato l'aumento di pena di mesi due di reclusione, in continuazione con la pena di dieci anni inflitta per l'omicidio, tale aumento deve essere eliminato e deve essere disposta la scarcerazione dell'imputata limitatamente a tale reato, essendo ella detenuta anche a tale titolo. L'accoglimento del primo motivo rende ultroneo l'esame di quelli subordinati. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di furto aggravato di cui al capo 2 della rubrica così modificata l'originaria imputazione di rapina aggravata perché il fatto non sussiste. Elimina l'aumento di pena determinato in mesi due di reclusione per questo reato in aumento per la continuazione con il reato di omicidio volontario e dispone la scarcerazione dell'imputata limitatamente al reato di furto aggravato. Dichiara l'irrevocabilità delle sentenze di merito per quanto riguarda la condanna per omicidio volontario.