Il giudice non indica in modo specifico i luoghi frequentati dalla vittima: divieto troppo generico

In materia di misure cautelari personali, l’ordinanza che dispone ex art. 282 ter c.p.p. il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi ai quali è inibito l’accesso.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 46488/15, depositata il 23 novembre. Il caso. Il ricorrente sottopone al vaglio dei Giudici di legittimità l’ordinanza con la quale il Tribunale aveva confermato a suo carico la misura del divieto di avvicinamento e di contatti con la persona offesa imposta dal Gip in relazione al reato di lesioni personali. Tale provvedimento, in particolare, viene censurato sotto il profilo dell’assoluta indeterminatezza dell’oggetto del divieto. Vanno indicati i luoghi oggetto di divieto di avvicinamento. Gli Ermellini hanno preliminarmente ricordato che secondo la giurisprudenza di legittimità in materia di misure cautelari personali, l’ordinanza che dispone ex art. 282 ter c.p.p. il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi ai quali è inibito l’accesso, poiché solo in tal modo il provvedimento cautelare assume una conformazione completa che consente il controllo dell’osservanza delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che la legge intende assicurare, evitando l’imposizione all’indagato di una condotta di non facere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finirebbe per essere di fatto rimessa alla persona offesa Cass. n. 8333/15 . Solo così si contempera la tutela della vittima con il minor sacrificio della libertà personale dell’indagato. Appare quindi evidente, secondo Piazza Cavour, che nella misura cautelare di cui all’art. 282 ter c.p.p., assumono un’importanza fondamentale le informazioni relative ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, dal momento che sono funzionali al tipo di tutela che si vuole assicurare attraverso l’allontanamento dell’autore del reato, finalizzato ad evitare che si ripetano gli episodi delittuosi in danno della persona offesa. Proprio in relazione ai luoghi abitualmente frequentati, continua il Supremo Collegio, la norma prevede che vengano individuati luoghi determinati, perché solo così la conformazione del provvedimento potrà dirsi completa e ne saranno consentiti non solo l’esecuzione, ma anche il controllo sull’osservanza delle prescrizioni. D’altro canto, completezza e specificità del provvedimento rappresentano una garanzia per un giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, incentrate sulla tutela della vittima, e il minor sacrificio della libertà di movimento della persona sottoposta ad indagini. Poiché il provvedimento impugnato, nel porre il divieto all’imputato di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa ha omesso di indicarli in maniera specifica, la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. V, sentenza 19 ottobre – 23 novembre 2015, n. 46488 Presidente Lombardi – Relatore Amatore Ritenuto in fatto Con la ordinanza impugnata il Tribunale del Riesame di Firenze aveva respinto la richiesta di riesame avanzata dall'odierno ricorrente avverso la ordinanza cautelare emessa dal Gip presso il Tribunale di Grosseto, con la quale al predetto indagato veniva applicata la misura del divieto di avvicinamento e di contatti con la persona offesa R.M., e ciò in relazione al reato di cui all'art. 582 cp. Avverso la predetta ordinanza ricorre l'indagato, affidando la sua impugnativa a due motivi di doglianza. Il ricorso proposto nell'interesse dell'indagato deduce, come primo motivo di doglianza, ai sensi dell'art. 606 lett. c, cpp, la violazione dell'art. 282 ter cpp, per la denunziata assoluta indeterminatezza dell'oggetto del divieto, nonché per la illogicità e contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla detta violazione. Rileva la parte ricorrente che nell'ordinanza genetica il Gip aveva imposto all'indagato il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa M. Riccardo, ordinando a tal fine di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nonché al luogo di dimora . Ricorda altresì la parte ricorrente che il giudice della cautela aveva altresì imposto a quest'ultima, in caso di occasionale incontro con la parte offesa, che dovesse allontanarsi immediatamente e dovesse mantenere una distanza tale da non consentire di essere visto . Deduceva pertanto il ricorrente che il provvedimento cautelare peccava di una inammissibile genericità in ordine all'indicazione dell'obbligo di allontanamento dei luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, con conseguente inammissibile compressione del suo diritto di libera circolazione e con una sostanziale impossibilità di eseguire correttamente la misura. Deduceva altresì la ulteriore genericità del titolo cautelare anche laddove il Gip di Grosseto aveva imposto, in caso di incontro occasionale con la persona offesa, l'obbligo di un immediato allontanamento e del suo mantenimento a distanza tale da non consentire di essere visto dalla persona offesa. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità del provvedimento impugnato e di quello applicativo della misura, ai sensi dell'articolo 606, comma primo, lettere b e c, cpp, per violazione degli articoli 582,585,576, 577, 61 n. 1 e 2, cp, 280,336 e 345 cpp, per l'insussistenza delle aggravanti contestate con la conseguente impossibilità di procedere per il reato contestato per assenza di querela e conseguente inapplicabilità di qualsivoglia misura cautelare. Considerato in diritto Il primo motivo di ricorso è fondato. Sul punto, giova ricordare che questa Corte ha ribadito il principio secondo cui, in materia di misure cautelare personali, l'ordinanza che dispone ex art. 282-ter cod. proc. pen. il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi ai quali è inibito l'accesso, poiché solo in tal modo il provvedimento cautelare assume una conformazione completa che consente il controllo dell'osservanza delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che la legge intende assicurare, evitando l'imposizione all'indagato di una condotta di non facere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finirebbe per essere di fatto rimessa alla persona offesa Cass., Sez. 6, n. 8333 del 22/01/2015 - dep. 24/02/2015, R., Rv. 262456 . Invero, il provvedimento impugnato, nel porre il divieto all'imputato di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa ha omesso di indicarli in maniera specifica, come invece richiede l'art. 282 ter c.p.p., che prevede che il divieto di avvicinamento si riferisca a luoghi determinati . In realtà, la misura prevista dalla norma citata, come pure quella di cui all'art. 282 bis c.p.p., si caratterizza per essere normativamente temperata sulla situazione che si vuole tutelare in via cautelare. Va detto che sia la misura di allontanamento dalla casa familiare, che quella del divieto di avvicinamento si caratterizzano perché affidano al giudice della cautela il compito, oltre che di verificare i presupposti applicativi ordinari, di riempire la misura di quelle prescrizioni essenziali per raggiungere l'obiettivo cautelare ovvero per limitare le conseguenze della misura stessa. Ne discende che con il provvedimento di divieto di avvicinamento il giudice deve necessariamente individuare i luoghi ai quali l'indagato non può avvicinarsi e in presenza di ulteriori esigenze di tutela può prescrivere di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dai parenti della persona offesa e addirittura indicare la distanza che l'indagato deve tenere da tali luoghi o da tali persone. È evidente che l'efficacia di queste misure, funzionali ed evitare il pericolo della reiterazione delle condotte illecite, è subordinata a come il giudice le riempie di contenuti attraverso le prescrizioni che le norme gli consentono. Ne consegue che per le misure in questione appare necessaria la completa comprensione delle dinamiche che sono alla base dell'illecito, nel senso che il giudice deve modellare la misura in relazione alla situazione di fatto. Ciò comporta che il Pubblico Ministero nella sua richiesta e ancor prima la polizia giudiziaria dovrà rappresentare al giudice, oltre agli elementi essenziali per l'applicazione della misura, anche aspetti apparentemente di contorno, che invece possono assumere una importanza fondamentale ai fini dei provvedimenti di allontanamento o di divieto di avvicinamento, che possono risultare utili per dare il migliore contenuto al provvedimento cautelare. Così, nella misura cautelare di cui all'art. 282 ter c.p.p., assumono un particolare rilievo le informazioni circa i luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa o dai suoi parenti, proprio in quanto funzionali al tipo di tutela che si vuole assicurare attraverso l'allontanamento dell'autore del reato, che dovrebbe servire ad evitare il ripetersi di episodi delittuosi ai danni della persona offesa. Ma nell'ambito dei luoghi abitualmente frequentati la norma pretende che vengano individuati luoghi determinati , perché solo in questo modo il provvedimento assume una conformazione completa, che ne consente non solo l'esecuzione, ma anche il controllo che tali prescrizioni siano osservate. D'altra parte, la completezza e la specificità del provvedimento costituisce una garanzia per un giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, incentrate sulla tutela della vittima, e il minor sacrificio della libertà di movimento della persona sottoposta ad indagini. In altri termini, deve ritenersi che con il provvedimento ex art. 282 ter c.p.p., il giudice debba necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto ai quali all'indagato è fatto divieto di avvicinamento, non potendo essere concepibile una misura cautelare, come quella oggetto di esame, che si limiti a fare riferimento genericamente ai luoghi frequentati dalla vittima. Così concepito il provvedimento, oltre a non rispettare il contenuto legale, appare strutturato in maniera del tutto generica, imponendo una condotta di non facere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finisce per essere di fatto rimessa alla persona offesa. Peraltro, va anche aggiunto che la genericità del provvedimento rivela altresì caratteri di eccessiva gravosità e di sostanziale ineseguibilità. Si tratta di carenze contenutistiche che incidono sulla validità stessa del provvedimento genetico in parte qua. Ma ad analoga conclusione deve giungersi e per la violazione dei medesimi principi già sopra ricordati in relazione alla statuizione cautelare dell'allontanamento, in caso di incontro occasionale, ad una distanza da non consentire di essere visto , giacché anche tale previsione pecca di eccessiva genericità, al punto di rendere non eseguibile la misura. Ed invero, in tal caso si affida a valutazioni soggettive e non riscontrabili il giudizio di verifica di adeguamento alla misura prescrittiva, giacché non è dato conoscere in modo oggettivo quale sia la distanza oltre la quale la parte offesa non possa più percepire la presenza della parte offesa. Ne consegue l'annullamento dell'ordinanza impugnata nella parte relativa al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e all'obbligo di mantenimento a distanza dalla persona offesa in caso di incontro occasionale, con trasmissione degli atti al Tribunale di Firenze per nuova statuizione sul punto in cui si darà applicazione ai principi sopra enunciati v. anche sez. 6, sentenza n. 26819 del 7.4.2011, rv. 250728, C. . In ordine alla seconda censura, va osservato che la motivazione resa dal Tribunale del Riesame in ordine alla possibilità di emettere il titolo cautelare per la presenza quantomeno dell'aggravante di cui all'art. 577 n. 1 cp deve essere rivisitata alla luce della considerazione che, ai sensi dell'art. 582, secondo comma, cp, non si tiene in considerazione l'aggravante di cui all'art. 577 n. 1 ai fini della valutazione della procedibilità a querela del delitto previsto dal detto art. 582 cp. Anche in ordine a tale censura pertanto si impone l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato per un nuovo esame da parte del giudice impugnato. Occorre poi disporre l'oscuramento dei dati identificativi delle persone, ricorrendo l'ipotesi di cui all'art. 52, secondo comma, D.lgs. 196/2003. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Firenze per nuovo esame. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi.