Pubblicizzazione delle prestazioni di chi esercita la prostituzione: attività lecita di mera informazione o attività illecita di favoreggiamento?

Il limite tra l’attività lecita e l’attività illecita deve ritenersi travalicato ove sia ravvisabile il compimento di una qualche attività di supporto, di integrazione o di corredo al semplice servizio informativo, il cui scopo sia quello di incrementare – attraverso un autonomo apporto ideativo, gestionale o comunque causale – l’appetibilità dei servizi resi, indipendentemente dall’avvenuta pubblicazione delle inserzioni informative, da parte di chi eserciti la prostituzione.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45898/2015, depositata il 19 novembre. Il caso. Il gup presso il Tribunale di Sala Consilina, a conclusione del giudizio abbreviato, affermava la penale responsabilità di N.A. per il reato di favoreggiamento della prostituzione e lo condannava alla pena ritenuta di giustizia la Corte d’ Appello di Salerno riformava parzialmente la statuizione di prime cure solo con riferimento al trattamento sanzionatorio. Secondo la prospettazione accusatoria, l’imputato avrebbe favorito la prostituzione di alcune donne sudamericane, consigliando loro la collocazione di inserzioni pubblicitarie su siti informatici specializzati e suggerendo l’inserimento di messaggi graditi ai destinatari, nonché l’introduzione in dette inserzioni di immagini fotografiche, anche non corrispondenti alle fattezze delle inserzioniste, ed altri elementi volti a renderle più allettanti per il pubblico. Avverso la sentenza della Corte d’ Appello, l’imputato ricorreva per cassazione deducendo, in via principale, l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice oggetto di contestazione, in quanto la condotta da lui posta in essere, cioè la mera attività di supporto nell’ inserzione pubblicitaria, non avrebbe integrato gli estremi del reato a lui contestato. Favoreggiamento della prostituzione a mezzo stampa. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte di legittimità, rientra nell’attività di favoreggiamento della prostituzione, penalmente sanzionata, non ogni comportamento che sia idoneo a rendere un servizio in favore di chi eserciti la prostituzione, ma solamente quell’attività che oggettivamente comporti un aiuto all’esercizio stesso del meretricio. Tra l’altro, con specifico riferimento all’attività volta alla pubblicizzazione delle prestazioni praticate dalle meretrici, i Supremi Giudici hanno chiarito che non integra il delitto di favoreggiamento della prostituzione a mezzo stampa, di cui all’art. 3 l. n. 75/1958, la condotta di chi si limiti alla raccolta ed alla successiva pubblicazione di inserzioni pubblicitarie, su un giornale ovvero su un sito web, di persone che si offrono per incontri sessuali a pagamento, trattandosi di attività del tutto svincolata dal meretricio da tali persone esercitato e la cui finalità è esclusivamente la prestazione di un servizio e non anche l’intermediazione tra chi si prostituisce e il cliente. Ancora, la Corte di Cassazione aveva già precisato che non integra il reato de quo la condotta di chi, nella gestione di un sito internet, pubblichi su di esso gli annunci pubblicitari, quand’anche corredati da foto, a lui inviati da prostitute senza svolgere alcuna attività di collaborazione organizzativa, come, ad esempio, la predisposizione di servizi fotografici nuovi. La pubblicizzazione delle prestazioni sessuali altrui quando è reato?. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha precisato come, in tema di pubblicizzazione delle prestazioni di chi eserciti la prostituzione, tra l’attività lecita di mera informazione resa al pubblico, attraverso mezzi di comunicazione sociale della esistenza di determinati soggetti disposti ad offrire prestazioni sessuali a pagamento, e l’attività illecita di favoreggiamento della prostituzione, sussista un chiaro e preciso limite. Tale limite è ravvisabile nella realizzazione di un quid pluris rispetto al mero trasferimento dell’informazione, consistente – a titolo esemplificativo – nell’ideazione e nella redazione del contenuto dell’inserzione, e non nella semplice ricezione di un contenuto già da altri confezionato, e nella trasmissione di esso per la pubblicazione oppure nella realizzazione delle immagini destinate a corredare l’inserzione pubblicitaria o nella scelta di quelle ritenute più idonee allo specifico fine. In altri termini, il predetto limite deve ritenersi travalicato ove sia ravvisabile il compimento di una qualche attività di supporto, di integrazione o di corredo al semplice servizio informativo, il cui scopo sia quello di incrementare – attraverso un autonomo apporto ideativo, gestionale o comunque causale – l’appetibilità dei servizi resi, indipendentemente dall’avvenuta pubblicazione delle inserzioni informative, da chi eserciti la prostituzione. Infatti, nel momento in cui l’attività cessa di essere meramente informativa ma viene consapevolmente indirizzata all’incremento del potenziale mercimonio delle prestazioni sessuali, cessa di essere un servizio reso alla singola persona che esercita detta attività e travalica verso quella di favoreggiamento del mercato del sesso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 aprile – 19 novembre 2015, n. 45898 Presidente Squassoni – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Salerno in data 19 novembre 2013, in parziale riforma della sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Sala Consilina il precedente 20 luglio 2012 in esito a giudizio abbreviato, ha condannato D.N.A., riconosciute a suo favore le circostanze attenuanti generiche ed esclusa la recidiva specifica, alla pena di giustizia, avendolo riconosciuto responsabile del reato di favoreggiamento della prostituzione, in continuazione con i fatti già oggetto della precedente sentenza emessa dal Tribunale di Asti in data 11 maggio 2011, divenuta irrevocabile in data imprecisata. La accusa contestata al D.N. consisteva nell'avere egli favorito la prostituzione di talune donne sudamericane, provvedendo a consigliare loro l'inserimento di inserzioni pubblicitarie su siti informatici specializzati, suggerendo loro l'inserimento di messaggi graditi ai destinatari nonché l'introduzione in dette inserzioni di immagini fotografiche, anche non corrispondenti alle fattezze delle inserzioniste, ed altri elementi volti a renderle più allettanti presso il pubblico dei fruitori. Ha proposto ricorso per cassazione il D.N., deducendo la erronea applicazione della stessa disposizione incriminatrice in ipotesi violata, ciò in quanto la condotta da lui posta in essere, cioè la mera attività di supporto nella inserzionistica pubblicitaria, non avrebbe integrato gli estremi del reato a lui contestato. Il ricorrente si doleva, altresì, della mancata concessione della attenuante di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen., posto che il lucro da lui conseguito per effetto della condotta posta in essere era stato di speciale tenuità. Infine il D.N. ha contestato la sentenza della Corte territoriale allegando l'avvenuta violazione dell'art. 81, cpv. cod. pen., in quanto non sarebbe stata motivata l'entità dell'aumento di pena per la ritenuta continuazione e perché non sarebbe stata giustificata la indicazione, ai fini della determinazione della pena, come più grave del reato già giudicato dal Tribunale di Sala Consuma e non, invece, di quello giudicato dal Tribunale di Asti. Considerato in diritto II ricorso, essendo risultato infondato, deve, pertanto, essere rigettato, con le derivanti conseguenze in ordine al regime delle spese processuali. Col primo motivo di ricorso il D.N. lamenta che la sentenza a suo carico sia viziata, per violazione di legge, non essendo riscontrabile nel suo comportamento l'attività di favoreggiamento della prostituzione. Questa Corte ha più volte chiarito che rientra nella attività di favoreggiamento della prostituzione, penalmente sanzionata, non ogni comportamento che sia idoneo a rendere un servizio in favore di chi eserciti la prostituzione, ma solamente quella attività che oggettivamente comporti un aiuto all'esercizio stesso dei meretricio Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 settembre 2012, n. 36595 . Con specifico riferimento alla attività volta alla pubblicizzazione delle prestazioni praticate dalla meretrici questa Corte ha, altresì, precisato che, non integra il delitto di favoreggiamento della prostituzione a mezzo stampa di cui all'art. 3 della, legge n. 75 del 1958, la condotta di chi si limiti alla raccolta ed alla successiva pubblicazione di inserzioni pubblicitarie, su un giornale ovvero si di un sito web, di persone che si offrono per incontri sessuali a pagamento, trattandosi di attività del tutto svincolata dal meretricio da tali persone esercitato e la cui finalità è esclusivamente la prestazione di un servizio e non anche l'intermediazione tra chi si prostituisce e il cliente Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 novembre 2014, n. 48981 nel medesimo ambito era stato già precisato che non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione la condotta di chi, nella gestione di un sito internet, pubblichi su di esso gli annunci pubblicitari, quand'anche corredati delle foto, a lui inviati dalle prostitute senza svolgere alcuna attività di collaborazione organizzativa, come ad esempio la predisposizione di servizi fotografici nuovi Corte di cassazione, Sezione III penale, 2 febbraio 2012, n. 4443 . Alla luce dei condivisibili orientamenti giurisprudenziali riportati appare pertanto chiaro quale sia, in tema di pubblicizzazione delle prestazione di chi eserciti la prostituzione, il limite fra l'attività, lecita, di mera informazione resa al pubblico attraverso mezzi di comunicazione sociale della esistenza di determinati soggetti disposti ad offrire prestazioni sessuali a pagamento, e l'attività, illecita, di favoreggiamento della prostituzione siffatto limite è ravvisabile nella realizzazione di un quid pluris rispetto alla mero trasferimento della informazione, consistente, a titolo esemplificativo, nella ideazione e redazione del contenuto della inserzione e non nella semplice ricezione di un contenuto già da altri confezionato e trasmissione di esso per la pubblicazione nella realizzazione delle immagini destinate a corredare l'inserzione pubblicitaria o nella scelta di quelle ritenute più idonee allo specifico fine il predetto limite deve ritenersi travalicato ove sia ravvisabile il compimento, in altre parole, di una qualche attività di supporto, di integrazione o di corredo al semplice servizio informativo, il cui scopo sia quello di incrementare - attraverso un autonomo apporto ideativo, gestionale o, comunque, causale - la appetibilità del servizi resi, indipendentemente dall'avvenuta pubblicazione delle inserzioni informative, da chi eserciti la prostituzione. Infatti, nel momento in cui l'attività cessa di essere meramente informativa ma viene consapevolmente indirizzata, anche in cooperazione con i soggetti inserzionisti, all'incremento dei potenziale mercimonio delle prestazioni sessuali, cessa di essere un servizio reso alla singola persona che esercita la detta attività ma decampa verso quella di favoreggiamento del mercato dei sesso. Nel caso in esame, come segnalato dalla Corte di Salerno il prevenuto non si limitava, beninteso previa corresponsione al medesimo di una somma di danaro quale corrispettivo per le sue prestazioni, alla condotta passiva di ricezione e successiva trasmissione per la pubblicazione delle inserzioni su siti web già a lui indicati, ma il suo compito comprendeva anche la dazione di suggerimenti alle clienti in ordine alla individuazione dei siti informatici ove più efficace sarebbe stata la informazione pubblicitaria nonché nella indicazione delle modalità redazionali attraverso le quali rendere quest'ultima più allettante, sino alla individuazione, autonoma e computa addirittura all'insaputa delle persone che gli richiedevano i suoi servizi, delle immagini da accostare ai nomi delle donne pubblicizzate, onde accattivarsi una maggiore fetta di clientela è assai significativo rilevare, a riprova della autonomia con la quale il D.N. svolgeva questa sua attività nonché del fatto che la medesima non poteva certamente ritenersi diretta ad adiuvare direttamente le singole persone ma era chiaramente diretta a sostenere la attività da queste svolta il fatto che l'uomo non si peritava di accostare alla singola inserzione immagini, evidentemente ritenute più idonee a permeare il mercato, che ritraevano persone diverse da quelle cui l'inserzione di riferiva, senza peraltro che queste fossero a conoscenza di tale astuto stratagemma. Correttamente, pertanto, la Corte salernitana ha riscontrato nella condotta dei D.N. gli estremi dei reato di cui all'art. 3, comma 8 , della legge n. 75 del 1958. Quanto alla mancata rilevazione degli estremi concernenti la integrazione della attenuante di cui all'art. 62, numero 4 , cod. pen., la quale prevede la diminuzione della pena laddove, nei delitti determinati da motivi di lucro, l'agente abbia conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l'evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità, osserva la Corte che, sebbene sia condivisibile l'assunto di partenza della doglianza lamentata dal ricorrente, cioè che, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte territoriale, la predetta circostanza attenuante è riferita non ai soli reati che offendono il patrimonio, ma ha come suo perimetro di riferimento, in virtù dei tenore testuale assunto dali'art. 62, comma primo, n. 4 , cod. pen. a seguito della modifica introdotta dell'art. 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, tutti i delitti determinati da motivi di lucro o che comunque ne comportano la realizzazione - fra i quali è rintracciabile anche il favoreggiamento della prostituzione nei quali, sebbene non ne costituisca un profilo strutturale, è usualmente rinvenibile un lucro da parte dei favoreggiatore - indipendentemente dalla natura giuridica del bene tutelato ex multis Corte di cassazione, SezioneV penale, 3 marzo 2015, n. 9248 idem Sezione V penale, 27 ottobre 2014, n. 44829 idem Sezione V penale, 19 giugno 2013, n. 26807 , tuttavia è necessario, affinché la fattispecie attenuata sia effettivamente sussistente che, oltre alla speciale tenuità dei lucro conseguito, risulti di speciale tenuità anche della lesione inferta al bene tutelato dalla disposizione penale che abbia fatto seguito alla condotta dell'agente. Rileva questa Corte, con riferimento al caso di specie, che la tipologia del reato commesso dal D.N., al di là del contingente motivo di lucro, comporta una delle più odiose violazioni della dignità umana, essendo connesso alla realizzazione di condotte il cui fine è il parassitario vantaggio tratto, più ameno direttamente, dal commercio degli altrui corpi, con particolare riferimento al mercimonio sessuale, inevitabilmente coinvolgente, ancora nella cultura del nostro tempo, uno degli aspetti più personali ed intimamente complessi della soggettività umana. II fenomeno di reificazione dell'individuo e dei suoi più reconditi atteggiamenti, che è inevitabile retaggio dell'esercizio della prostituzione, è tale che la lesione dei primario bene tutelato dalla legge n. 75 del 1958, costituito dalla stessa dignità umana della persona, non può, se non in presenza di condizioni assolutamente peculiari - certamente non ricorrenti nel caso in esame non foss'altro che a causa della pluralità delle multiformi condotte attribuite al D.N. ed al numero delle persone danneggiate dal suo operato - essere ritenuta di speciale tenuità. Con riferimento al terzo motivo di impugnazione, col quale è lamentata la violazione di legge e la mancanza o illogicità delle motivazione in ordine alla identificazione, una volta ritenuta la esistenza del vincolo della continuazione fra i fatti giudicati con la sentenza ora impugnata e quelli oggetto della sentenza emessa a carico del D.N. in data 11 maggio 2011 dal Tribunale di Asti dei reato più grave, sul quale poi calcolare l'aumento di pene ai sensi dell'art. 81, cpv, cod, peri., questa Corte ne ritiene la inammissibilità stante la sua evidente genericità. II ricorrente, infatti, il quale si duole dei fatto che la Corte territoriale, rilevata l'esistenza dei predetto vincolo fra i reati giudicati con le due diverse sentenze, abbia affermato che il reato più grave fosse quello oggetto della sentenza emessa dalla Corte salernitana avrebbe avuto l'onere, onde consentire a questa Corte di valutare la correttezza o meno della decisione assunta dalla Corte di appello, quanto meno di allegare, nel rispetto dei principio di autosufficienza dei ricorso, la sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Asti la difesa del De Nicola si è, invece, limitata ad evidenziare che i capi di imputazione contestati all'imputato nell'un processo erano più gravi di quelli contestati nel processo dei quale l'odierno giudizio è l'epilogo, postulando da parte di questa Corte io svolgimento di una verifica che, oltre ad attenere, per come richiesta, a profili meramente di merito la maggiore o minore gravità dei reati contestati nei due processi , come tali insindacabili da questa Corte, presupporrebbe l'accesso all'esame della sentenza emessa dal Tribunale di Asti che non è nella disponibilità di questa Corte né è da essa acquisibile, non competendo a questa Corte il poteri di compiere atti istruttori, ivi compresa l'acquisizione di atti. II ricorso deve, pertanto essere rigettato, essendone risultati infondati i motivi posti a sostegno, con la derivante condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.