Stupefacenti sillogismi: ovvero la sofferenza di Aristotele

Ai fini di stabilire se la sostanza offerta costituisca o meno sostanza stupefacente sono sufficienti le dichiarazioni rese dall’imputato circa l’utilizzo, per uso personale, di sostanze del tipo di quelle che egli ha offerto o ceduto.

Così la Suprema Corte con la sentenza n. 45881/15, depositata il 19 novembre, generata da ricorso con il quale si lamentava come la sostanza oggetto di cessione da parte dell’imputato, pur non sottoposta ad alcuna analisi qualitativa, fosse stata dichiarata quale stupefacente, con conseguente emissione di condanna per il reato previsto e punito dall’articolo 73, comma 5, l. n. 309/90. Un primo e certo moto che si produce alla lettura della sentenza, certamente figlio di una certa superficiale lettura di questo commentatore, e che il provvedimento impugnato fosse indubitabilmente da annullarsi, posto che, venendo a mancare prova certa in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, ovvero la qualità di stupefacente della sostanza ceduta, dovesse pronunciarsi, quantomeno con la formula prevista dall’articolo 530, comma 2, c.p.p. sentenza assolutoria. Ovviamente a tacere dell’esistenza, o meglio dell’inesistenza, di prova posizionatasi oltre il limite del dubbio legittimo. Gli Ermellini hanno abbattuto, in pochissime righe ogni mia certezza. Essi affermano quanto segue osserva il Collegio che nel confermare la sentenza del Giudice di , la Corte territoriale, dato atto della non univocità dell’indirizzo giurisprudenziale circa la necessità o meno di accertare il principio attivo per la punibilità del reato in esame, ha del tutto correttamente ritenuto la illiceità della condotta in base sia alle dichiarazioni dell’imputato, il quale in sede di esame all’udienza del aveva ammesso di fare uso personale di canne” del tipo di quelle che aveva offerto a , sia alle risultanze positive del narcotest . Vorrei annoiare i miei ventuno lettori con qualche piccola critica all’impianto motivazionale fornito dalla Corte. La non univocità dell’indirizzo giurisprudenziale circa la necessità o meno di accertare il principio attivo per la punibilità del reato in esame” Ho effettuato qualche piccola ricerca, e debbo dire che ho trovato tracce di pensiero piuttosto univoco in punto cfr. Cass. n. 44420/13 , secondo cui solo un accertamento tecnico specifico avrebbe consentito di quantificare la percentuale e la quantità di principio attivo effettivamente presente in ciascuna delle confezioni e nelle tre confezioni complessivamente considerate e pertanto la mancanza di detto accertamento rende impossibile affermare con certezza che il quantitativo modestissimo della sostanza sequestrata possieda livelli di principio attivo tali da avere concreti effetti stupefacenti e da comportare quelle possibili alterazioni dell’organismo che costituiscono l’offesa al bene protetto oggetto di sanzione penale ancora, Cass. nn. 16154/11 e 21814/10, secondo cui l’accertamento del principio attivo può influire sulla stessa sussistenza dell’offensività della condotta di detenzione a fini di spaccio con il non trascurabile corollario che è da escludere, dunque, il reato di cessione di sostanze stupefacenti qualora si tratti di quantitativi talmente tenui e con principio attivo irrilevante tale da non poter indurre, neppure in maniera trascurabile, la modificazione dell’assetto necroscopico dell’utilizzatore ma, anche laddove ne avessi riscontrato ben più pesante traccia, mi pare di ricordare come il contrasto tra linee interpretative vada argomentato e, ove riconosciuto, al più risolto attraverso la richiesta di pronuncia delle Sezioni Unite. Occorre altresì osservare come il contrasto” nel caso di specie riguarderebbe l’elemento oggettivo del reato, ovvero, in termini ben più banali ma non per questo meno significativi, se ciò che vien ceduto od offerto abbia le caratteristiche di sostanza stupefacente. Caratteristiche che sono determinate dalla presenza nella sostanza di principi attivi identificati ed identificabili in misura apprezzabile. La volontà di commettere un reato, da sola, non renda punibile l’atto oltre i limiti dell’art. 56 c.p In questo caso l’atto non sarebbe stato neppure idoneo posto che la sostanza ceduta avrebbe potuto avere qualsivoglia composizione. In altre parole non è ammessa l’autocertificazione circa la qualità di stupefacente della sostanza che cedo. O se si preferisce posso vendere indicando quale stupefacente una sostanza priva di principi attivi, rischiando d’essere condannato non per violazione della normativa su dette sostanze ma semmai per frode in commercio, posto che pongo alla vendita una sostanza dichiarandola quale in possesso di caratteristiche fisco, chimiche e o organolettiche che non possiede. ha del tutto correttamente ritenuto la illiceità della condotta in base sia alle dichiarazioni dell’imputato” Chi lo avrebbe mai detto, la buona vecchia ed indimenticata ed indimenticabile confessione” torna ad assurgere al ruolo di prova regina. Senza neppure che la stessa trovi riscontro oggettivo esterno in altre e differenti prove votate e capaci di sostenerla. sia alle risultanze positive del narcotest” Obiezione il narcotest ha fornito esito positivo. Vero, ma il problema dell’emivita della sostanza stupefacente? E poi, se l’uso delle canne” l’imputato lo avesse fatto prima di cedere diciamo una dozzina d’ore prima di cedere od offrire le canne” dello stesso tipo al milite potremo dedurne che la sostanza ceduta possedesse i requisiti per essere dichiarata quale stupefacente? In base a quale modello di ragionamento giuridico? Il buon vecchio sillogismo non soccorrerebbe la le premessa premesse sarebbero false. Non è detto che se le canne che io utilizzo siano simili a quelle che ho ceduto quelle che ho ceduto siano composte da sostanze stupefacenti. Vuoi perché simile non significa uguale, vuoi perché non è detto che le canne” siano costituite dalla stessa sostanza. Ma non è questo, pare di poter affermare, il ragionamento giuridico che segue la Corte che, invece, mi pare assestata a percorrere diverso sillogismo che provo ad enunciare posto che io uso canne simili a quelle che ho offerto, io risulto positivo al narcotest, le canne che ho offerto sono composte da sostanza stupefacente. Il falso sillogismo è evidente il narcotest certifica che ho utilizzato sostanza stupefacente ma non può svolgere alcuna funzione ermeneutica in relazione al contenuto della sostanza ceduta. L’emivita della sostanza o la possibilità che io l’abbia assunta diversamente non possono rendere automatica e diretta la qualificazione fisico organica della sostanza ceduta. Tra le due affermazioni non c’è nè può esistere alcun legame logico diretto o di dipendenza. L’una è invece del tutto libera ed indipendente dall’altra. Esse costituiscono autonomi postulati, o se si preferisce autonome asserzioni, scollegate, ed incapaci di svolgere reciproca efficacia euristica. Le variabili inseribili tra l’una e l’altra sono tante, molte, troppe, per portarle ad assurgere al ruolo di prove atte a dichiarare la penale responsabilità per il fatto reato contestato. A meno di voler incorrere in stupefacenti errori di logica.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 15 ottobre – 18 novembre 2015, numero 45881 Presidente Izzo – Relatore Menichetti Considerato in fatto Con sentenza 28.5.2013 la Corte d'Appello di Ancona, in riforma della sentenza emessa in data 26.2.2010 dal Tribunale di Macerata, Sezione distaccata di Civitanova Marche - che aveva condannato di B.Y. alla pena di anni 6 di reclusione ed € 26.000,00 di multa per la detenzione a finì di spaccio di due dosi di hashish, ritenuta l'attenuante di cui all'articolo 73, V comma, DPR numero 309/90 equivalente alla recidiva specifica reiterata infraquinquennale oggetto di contestazione suppletiva - riteneva detta attenuante prevalente sulla recidiva e rideterminava la pena in anni 1 mesi 3 di reclusione ed € 3.500,00 di multa. Propone ricorso l'imputato deducendo come unico motivo ai sensi dell'articolo 606 comma 1 lett.b c.p.p. la inosservanza od erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, in specie dell'articolo 73 commi 1 e 1 bis della legge in materia di stupefacenti, in quanto la Corte territoriale non aveva ritenuto essenziale la verifica dell'effetto drogante in concreto attribuibile alla sostanza sequestrata ed aveva basato la condanna unicamente sulle dichiarazioni confessorie di esso imputato, che in sede di esame alla udienza del 26.2.2010 aveva affermato di fare uso di canne del tipo di quelle che stava per cedere al momento dell'arresto. Ritenuto in diritto Il motivo di ricorso è infondato. Già a sostegno dell'appello il difensore dell'imputato aveva dedotto che il primo giudice aveva erroneamente ritenuto sussistente la prova del reato in assenza di una consulenza tecnica in ordine alla quantità di principio attivo della sostanza trovata in possesso del Birouk, oggetto soltanto di analisi con il reagente colorante in dotazione alla Polizia Giudiziaria. Ciò posto, osserva il collegio che nel confermare la sentenza del giudice di Civitanova Marche la Corte territoriale - dato atto della non univocità dell'indirizzo giurisprudenziale circa la necessità o meno di accertare il principio attivo per la punibilità del reato in esame - ha del tutto correttamente ritenuto la illiceità della condotta in base sia alle dichiarazioni dell'imputato, il quale in sede di esame alla udienza del 26.2.2010 aveva ammesso di fare uso personale di canne del tipo di quelle che aveva offerto al milite Antonio Carosella, sia alle risultanze del positive del narcotest. Per quanto attiene invece al trattamento sanzionatorio deve rilevarsi che al momento della pronuncia della sentenza di secondo grado e del deposito dei ricorso non erano ancora intervenute né la sentenza numero 32/2014 della Corte Costituzionale né le modifiche normative dell'articolo 73, V comma, D.P.R. numero 309/90. Una prima modifica si è avuta infatti con l'articolo 2, comma 1 lett.a del D.L. 23.12.2013 numero 146, convertito, senza modifiche sul punto, dalla legge 21.1.2014 numero 10, che ha previsto, per i fatti di lieve entità di cui al comma quinto dell'articolo 73 D.P.R. numero 309/90 qualificati, a differenza di quanto ritenuto in passato, come un'ipotesi autonoma di reato e non più una circostanza attenuante ad effetto speciale la pena della reclusione da uno a cinque anni e la multa da € 3.000,00 ad € 26.000,00, mantenendo indistinta la sanzione penale per i fatti che riguardassero le droghe c.d. °leggere e quelle c.d. pesanti . Solo qualche mese dopo si è inserita la sentenza della Corte Costituzionale numero 32/2014 che, per le droghe leggere e per i fatti commessi fino al 23.12.2013, dichiarando l'illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter D.L.30.12.2005 numero 272, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 21.2.2006 numero 49, ha comportato la reviviscenza dei V comma di cui alla legge Iervolino-Vassalli e, di conseguenza, il trattamento sanzíonatorio previsto dalla originaria formulazione che puniva i fatti ritenuti di °lieve entità riguardanti le sostanze di cui alle tabelle II e IV c.d. droghe leggere con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e la multa da € 1.032,00 pari a £ 2.000.000 ad € 10.329,00 pari a £ 20.000.000 , poi esteso con il D.L. 20.3.2014 numero 36 convertito nella legge 16.5.2014 numero 79 a tutte le ipotesi previste dal comma V dell'articolo 73 D.P.R. numero 309/90, indipendentemente dalla collocazione dello stupefacente nell'una o nell'altra tabella. Tanto premesso, in relazione ai fatti commessi fino al 23.12.2013, la legge vigente al momento del fatto deve considerarsi quella di cui alla legge Iervolino-Vassalli, rispetto alla quale, la nuova formulazione dell'articolo 73, comma V, D.P.R. numero 309/90 come introdotto dalla legge numero 79/2014 è sempre più favorevole, e in quanto tale andrà applicata ai sensi dell'articolo 2, comma 4, c.p. come lex mitíor sopravvenuta rispetto a quella di cui al tempus commíssi delicti. Ne deriva l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio sul punto alla Corte d'Appello di Perugia. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio sul punto alla Corte d'Appello di Perugia. Rigetta il ricorso nel resto. Visto l'articolo 624 c.p.p. dichiara l'irrevocabilità della sentenza in ordine all'affermazione di responsabilità dell'imputato.