“Paga o ci saranno conseguenze anche da parte del ‘siciliano’ ”: è estorsione, non truffa aggravata

Sussiste il reato di estorsione nella condotta di chi prospetta alla persona offesa un male come certo e realizzabile anche per mano di altri, sebbene non noti, se la vittima è posta nell’alternativa secca tra subire il male minacciato o aderire alle pretese illecite e dunque la sua volontà è coartata e non meramente tratta in inganno.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 45504, depositata il 16 novembre 2015. Il caso. Gli imputati sono stati condannati per concorso di persone in estorsione continuata e aggravata per aver costretto la persona offesa a versare la somma di oltre 17 mila euro. Truffa aggravata o estorsione? La questione regina attorno a cui ruota il ricorso attiene all’esatta delimitazione tra i reati di truffa aggravata e di estorsione e, dunque, della asseritamente errata qualificazione giuridica data ai fatti dai giudici di merito. Nel caso in esame, le condotte si erano estrinsecate in ripetute prospettazioni alla vittima di ritorsioni cui sarebbe andata incontro non assecondando le pretese degli agenti, ritorsioni che potevano arrivare anche da parte di un individuo rimasto ignoto, vale a dire il siciliano”, soggetto mai identificato. Ci si è chiesti se tale condotta integri il reato di estorsione, come ritenuto dai giudici di merito, oppure quello di truffa realizzata ingenerando in capo alla vittima il timore di un pericolo immaginario. Ben tre gli orientamenti sul tema. Primo orientamento come si atteggia la condotta lesiva. Per una prima tesi, che è quella seguita dalla Suprema Corte nel caso concreto, il criterio distintivo va ravvisato nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima. Secondo questa impostazione si configura il delitto di truffa se il male viene prospettato come possibile ed eventuale e comunque non direttamente o indirettamente proveniente da chi lo prospetta, con la conseguenza che la persona offesa non è coartata ma si determina alla prestazione perché tratta in errore dalla rappresentazione di un pericolo inesistente. Si configura invece delitto di estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera dell’agente o di altri e la vittima è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. Legame con la volontà dell’agente. Per un secondo orientamento il focus è la dipendenza dalla volontà dell’agente del male minacciato la minaccia di un male reale o immaginario, essendo identico l’effetto coercitivo sulla persona offesa , è estorsione se la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell’agente e altresì se questa sia la rappresentazione della vittima seppure diversa dalla realtà effettiva che è ignota al soggetto passivo . In altri termini, criterio distintivo tra estorsione e truffa per ingenerato timore è la particolare posizione dell’agente nei rapporti con lo stato d’animo del soggetto passivo. Nell’estorsione l’agente incute il timore di un danno che fa apparire certo e proveniente da lui nel caso in cui la vittima non collabori”, con l’effetto che l’adesione della vittima è frutto di volontà coartata. Nella truffa vessatoria il danno è prospettato solo in termini di eventualità oggettiva ma non dipendente dalla volontà dell’agente la persona offesa aderisce perché tratta in inganno e il timore è ingrediente che ingenera l’errore nel processo formativo della volontà. Si tratta di una tesi che guarda alle modalità della condotta lesiva e all’atteggiamento psicologico della vittima che, nel caso dell’estorsione, è posto nell’inevitabile alternativa di far conseguire il profitto illecito o subire il male minacciato mentre nella truffa si determina all’indebita prestazione perché ingannato circa l’esposizione di un pericolo inesistente. Tesi oggettiva. Per una terza tesi che è quella invocata dalla difesa, il criterio distintivo deve essere oggettivo rileva il mezzo utilizzato e non gli effetti che artifici o raggiri hanno sulla volontà della persona offesa. La giurisprudenza ha affermato che gli elementi caratterizzanti l’estorsione sono la violenza o minaccia mentre quelli della truffa sono gli artifici o raggiri anche quando vi è prospettazione di un pericolo immaginario. Nel caso di truffa aggravata, la minaccia riguarda un male immaginario, non reale, quindi assume i caratteri dell’inganno perché è ingrediente della induzione in errore della vittima attraverso la prospettazione di un pericolo falso. Partendo dell’equiparazione tra la nozione di pericolo immaginario” con quella di pericolo inesistente” e, quindi, corrispondente a tutto ciò che è effetto di immaginazione e non esiste nella realtà e dal rilievo che la norma non attribuisce rilevanza all’atteggiamento psicologico della vittima, parte della giurisprudenza ha affermato che la concezione psicologica/soggettivistica urta contro la formulazione della norma e altresì con la ratio legis , già oggetto di chiarimenti ad opera del Guardasigilli che sottolineava come la differenza tra i due delitti consistesse nel dato oggettivo dell’uso di artifici o raggiri, cioè a mezzi che realizzano un’induzione in errore. Simulazione di estorsione? In questo solco interpretativo, è stato ulteriormente chiarito che se il pericolo immaginario è inesistente, l’indagine non può porsi nella prospettiva della persona offesa dal reato perché nel momento in cui l’illecito si consuma la vittima è indotta in errore perché, in forza dell’artificio o raggiro, crede effettivamente e realmente che l’agente sia in grado di realizzare il pericolo prospettato. Diversamente, se la vittima si accorgesse che il pericolo è immaginario o inesistente non cadrebbe in errore e non diventerebbe vittima del reato. Pertanto, l’indagine sul pericolo immaginario va condotta ex post. Se condotta ex ante, infatti, la volontà della vittima risulterebbe sempre coartata perché si trova davanti ad una minaccia che crede seria. La truffa sarebbe una simulazione di estorsione. Successivamente, con valutazione ex post , può verificarsi se la minaccia era immaginaria inesistente in quanto l’agente non era in grado di realizzarla oppure reale se l’agente, in caso di rifiuto della vittima, era in grado di attuarla. In altri termini, secondo tale tesi, criterio differenziale fra truffa aggravata dall’ingenerato timore di un pericolo immaginario e quello di estorsione risiede solo nell’elemento oggettivo se il danno viene indotto tramite artifici o raggiri si avrà truffa, se il danno è certo e sicuro, seppur condizionato al diniego della vittima, si avrà estorsione. In breve la valutazione circa la sussistenza del danno immaginario o del danno reale va effettuata ex post essendo irrilevante ogni valutazione in ordine alla provenienza del danno prospettato ovvero lo stato soggettivo della persona offesa. Il male è certo e realizzabile dal siciliano”. Rigettando il ricorso la Corte di Cassazione aderisce al primo orientamento indicato. Nel caso di specie, infatti, il male alla persona offesa è indicato come certo e realizzabile per mano di altri” diversi dagli agenti imputati vale a dire dal siciliano” e la vittima è stata posta di fronte all’alternativa ineluttabile di far conseguire agli agenti l’ingiusto profitto preteso o di subire il male minacciato. Corretta è stata pertanto ritenuta la qualificazione giuridica in termini di estorsione in luogo della più lieve ipotesi invocata dai ricorrenti di estorsione simulata, vale a dire di condotta truffaldina.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 ottobre – 16 novembre 2015, n. 45504 Presidente Esposito – Relatore Alma Ritenuto in fatto Con sentenza in data 18/12/2014 la Corte di Appello di Ancona ha confermato la sentenza emessa in data 2/3/2006 dal locale Tribunale con la quale B.C. , C.J. e CA.Al. erano stati dichiarati colpevoli del reato di concorso in estorsione continuata ed aggravata artt. 81 cpv., 110, 629, comma 1, e 61 n. 7, cod. pen. ai danni di BE.An. che costringevano a versare loro la complessiva somma di circa 17.500 Euro e, concesse a tutti le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62 n. 6 e 62-bis cod. pen., prevalenti sulla contestata aggravante, condannati alla pena ritenuta di giustizia. I fatti sono contestati come consumati fino al 12/10/2002. All'imputato B. è, inoltre, contestata la recidiva specifica reiterata ex art. 99 cod. pen Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori degli imputati, deducendo 1. per B. e CA. trattasi di ricorsi separati ma con argomentazioni perfettamente sovrapponibili Erronea qualificazione giuridica del delitto di estorsione in luogo di quello di truffa aggravata dal pericolo immaginario. Si duole, al riguardo, la difesa dei ricorrenti dell'errore di diritto nella qualificazione del fatto nel quale sarebbero incorsi i Giudici del merito evidenziando che l'azione sarebbe stata posta in essere ingenerando nella persona offesa BE.An. il pericolo immaginario che un fantomatico siciliano prospettasse richieste estorsive nei suoi confronti per un immaginario torto subito. La Corte territoriale avrebbe trascurato di valutare l'elemento della diversa fonte dalla quale sarebbe pervenuta la produzione del male rappresentato al soggetto passivo in quanto gli imputati giammai ebbero a prospettare alla persona offesa un male direttamente proveniente da loro ma si limitarono a trarre in inganno al riguardo la persona offesa. L'indagine sul pericolo immaginario, secondo un recente orientamento giurisprudenziale avrebbe dovuto essere compiuta ex post la semplice constatazione dell'inesistenza del soggetto indicato come siciliano doveva portare a ritenere che ci si trova in presenza di una truffa che ha simulato un'estorsione. 2. per C. 2.a Inosservanza o erronea applicazione della legge penale per conseguente erroneo inquadramento della fattispecie nel reato sub. art. 629 anziché in quello di cui all'art. 640, comma 2, cod. pen Il motivo di ricorso è sostanzialmente analogo a quello prospettato dalla difesa degli imputati B. e CA. e di cui si è detto al punto precedente, evidenziandosi anche in questo caso il fatto che, secondo un più recente orientamento giurisprudenziale la differenza tra il reato di truffa aggravata dal pericolo immaginario e quello di estorsione consistente nel primo caso nell'uso di artifizi e raggiri va fatta ex post e non ex ante essendo evidente che nel caso in esame la vittima è caduta in errore in quanto la stessa credeva realmente che l'agente fosse in grado di realizzare l'immaginaria azione prospettata, il che renderebbe oltretutto irrilevante ogni valutazione in ordine alla provenienza del danno prospettato ovvero allo stato soggettivo della persona offesa. 2.b Mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 606 lett. e cod. proc. pen. e violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità quali gli artt. 125, comma 3, e 546 cod. proc. pen. in relazione all'art. 606, lett. c , cod. proc. pen Si duole, al riguardo, la difesa del ricorrente che la condotta posta in essere dal B. è estranea alle azioni poste in essere dal C. e dal CA. che non volevano il coinvolgimento del primo nella vicenda, con la conseguenza che la fase in cui è intervenuto il B. e nella quale si collocano gli interventi di P.G. è successiva, estranea ed avulsa da quella precedente. Il Tribunale sarebbe caduto in errore allorquando ha asserito che l'autovettura Mercedes con la quale il B. aveva accompagnato il F. nei confronti del quale si è proceduto separatamente nel luogo ove è poi stato arrestato era quella del C. . La Corte di Appello non avrebbe accertato le ragioni di intervento del B. solo in un secondo momento della vicenda e nulla avrebbe detto sul come le due fasi della vicenda si saldano tra loro. Né la persona offesa BE. ha fornito elementi per collegare il B. al C. con la conseguenza che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica nel momento in cui non ha accertato le ragioni dell'adesione alla vicenda del B. in un momento successivo. 2.c Inosservanza o erronea applicazione della legge penale ed in particolare degli artt. 81, 157 e segg. cod. pen. in tema di prescrizione del reato continuato e dell'art. 129 cod. proc. pen. in relazione all'art. 606, lett. b , cod. proc. pen. nonché violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità quali gli artt. 125, comma 3, e 546 cod. proc. pen. in relazione all'art. 606, lett. c , cod. proc. pen Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che alla luce della modifica del regime della prescrizione e dovendosi applicare nel caso in esame la normativa più favorevole all'imputato, il termine di prescrizione del reato in contestazione per tutti gli episodi fino al 18/9/2002 era già decorso all'atto della pronuncia della sentenza in grado di appello. La Corte di Appello, dal canto proprio, avrebbe omesso di accertare la data dei singoli fatti in contestazione rientranti sotto il vincolo della continuazione. 2.d Inosservanza o erronea applicazione della legge penale ed in particolare degli artt. 81 e 61 n. 7 cod. pen. in relazione all'art. 606, lett. b cod. proc. pen. Si duole, al riguardo, parte ricorrente del riconoscimento della circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 7 cod. pen. non potendo considerarsi la somma di Euro 17.500 qualificarsi come di rilevante entità soprattutto tenendo conto del fatto che essendo stata ritenuta la continuazione tra i singoli episodi di dazione del denaro da parte della persona offesa, doveva rivivere l'autonomia di ciascuno di essi. Conseguentemente i Giudici del merito avrebbero errato allorquando per la quantificazione del danno alla persona offesa hanno tenuto conto della sola somma complessiva dallo stesso versata quantificata dalla Corte di Appello in Euro 8.000,00. Il fatto che all'esito della decisione sia stata dichiarata la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla predetta aggravante non elide l'esistenza dell'errore di diritto e l'incidenza sulla complessiva valutazione della vicenda in esame. Considerato in diritto 1. L'unico motivo dei ricorsi formulati nell'interesse degli imputati B. e CA. ed il primo motivo di ricorso formulato nell'interesse dell'imputato C. appaiono meritevoli di trattazione congiunta stante l'identità della questione giuridica sottoposta all'attenzione di questa Corte Suprema. Va detto subito che non è qui in contestazione il fatto che la persona offesa BE. sia stata indotta con minaccia a consegnare indebitamente delle somme di denaro quanto piuttosto deve essere esaminata la questione di diritto riguardante il fatto se il prospettare ripetutamente alla persona offesa ritorsioni anche da parte di un presunto siciliano mai identificato, fingendosi di volta in volta come meri intermediari ed in tal modo facendosi consegnare del denaro contante integri il reato di estorsione o quello di truffa realizzata ingenerando in capo alla vittima il timore di un pericolo immaginario. È nota al Collegio la sussistenza di diversi orientamenti giurisprudenziali al riguardo. Secondo un primo orientamento il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente mentre si configura l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato ex ceteris Cass. Sez. 2, sent. n. 7662 del 27/01/2015, dep. 19/02/2015, Rv. 262574 . Secondo altro orientamento si è, invece, puntata l'attenzione sulla dipendenza dalla volontà dell'agente del male minacciato dal soggetto agente o da terzi così precisandosi che integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l'effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell'agente, quanto che questa sia la rappresentazione della vittima, ancorché in contrasto con la realtà effettiva, a lei ignota ex ceteris Cass. Sez. 6, sent. n. 27996 del 28/05/2014, dep. 27/06/2014, Rv. 261479 . In sostanza secondo detta tesi, uno dei criteri distintivi tra l'estorsione e la truffa per ingenerato timore è da ravvisare nella particolare posizione dell'agente nei rapporti con lo stato d'animo del soggetto passivo. Nella estorsione, infatti, l'agente incute direttamente od indirettamente, il timore di un danno che fa apparire certo in caso di rifiuto e proveniente da lui o da persona a lui legata da un rapporto qualsiasi , di guisa che l'adesione della vittima è il frutto di una determinazione per volontà coartata l'attuazione del male minacciato deve presentarsi in forma di possibilità concreta dipendente dalla volontà dell'agente o di persona legata allo stesso. Nella truffa vessatoria, invece, il danno è prospettato solo in termini di eventualità obiettiva e giammai derivante in modo diretto od indiretto dalla volontà dell'agente, di guisa che l'offeso agisce non perché coartato, ma tratto in inganno, anche se il timore contribuisce ad ingenerare l'errore nel processo formativo della volontà Cass. 11622/1982 rv 156497 Cass. 710/1986 rv 174914 Cass. 5845/1995 rv 201333 Cass. 4180/2000 rv 215705 Cass. 29704/2003 rv 226057 Cass. 35346/2010 rv 248402 Cass. 36906/2011 rv 251149 . Si tratta, quindi, di una tesi che, da una parte, guarda alle modalità della condotta lesiva nell'estorsione, il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri nella truffa, il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta , dall'altra, all'atteggiamento psicologico della vittima nell'estorsione, l'offeso è posto nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato nella truffa, l'offeso non è coartato nella sua volontà, ma si determina alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratto in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente . Secondo altra tesi si sostiene, poi, che il criterio distintivo fra i due reati debba essere di natura oggettiva in quanto ciò che rileva è solo il mezzo utilizzato ossia gli artifizi e raggiri e non gli effetti che i medesimi hanno sulla volontà della vittima. Si è, infatti, sostenuto che mentre gli elementi caratterizzanti la condotta estorsiva sono la violenza e la minaccia, quelli qualificanti il comportamento truffaldino - anche nell'ipotesi aggravata della prospettazione del pericolo immaginario - sono, pur sempre, gli artifizi e raggiri in quest'ultima ipotesi infatti la minaccia, poiché riguarda un male non reale, ma immaginario, assume i contorni dell'inganno perché contribuisce alla induzione in errore della parte offesa del reato attraverso la prospettazione del falso pericolo . In tale ultimo filone si inserisce anche la decisione di questa Sezione Cass. Sez. 2, sent. n. 52121 del 25/11/2014, dep. 16/12/2014, Rv. 261328 citata anche nei ricorsi che in questa sede ci occupano. Nella motivazione della sentenza da ultimo citata, partendo la presupposto che la nozione di pericolo immaginario corrisponde a quella di pericolo inesistente , ovvero a tutto ciò che è effetto dell'immaginazione, ossia che esiste soltanto nell'immaginazione e non ha alcun fondamento nella realtà, e che la norma non dice che la configurabilità del reato dipende dall'atteggiamento psicologico della vittima e che, per essere la truffa aggravata il danno prospettato non deve mai provenire direttamente o indirettamente dall'imputato, si è evidenziato che la predetta concezione soggettiva e psicologica, non solo urta contro la lapidaria ed asettica formulazione della norma, ma anche contro la ratio legis ben evidenziata dal Guardasigilli che, a fronte delle medesime obiezioni, si limitò a rilevare che la differenza fra il reato di truffa aggravata e l'estorsione consisteva in un dato puramente oggettivo e cioè nell'uso di artifici o raggiri, ossia a mezzi, che non realizzano una costrizione della volontà ma una induzione in errore . In tale ottica la decisione di questa Corte Suprema da ultimo menzionata ha ulteriormente evidenziato che se è vero - come pure sostiene la tesi contraria - che il pericolo immaginario è sia il pericolo oggettivamente inesistente sia quello frutto della mera immaginazione, è allora evidente che tale indagine non può essere effettuata ex ante ossia dal punto di vista della parte offesa nel momento in cui resta vittima del reato per la semplice ed ovvia ragione che, nel momento in cui il reato si consuma, la vittima in tanto è indotta in errore in quanto, per effetto di quella particolare forma di raggiro o artifizio prevista dall'art. 640 c.p., comma 2, n. 2, crede effettivamente e realmente che l'agente direttamente o indirettamente non importa sia in grado di realizzare il pericolo immaginario prospettatole perché, se così non fosse e cioè se si accorgesse che il pericolo è, appunto immaginario o inesistente in quanto l'agente non è in grado di realizzarlo , è chiaro che non cadrebbe nella rete truffaldina tesagli dall'agente. Ne consegue - sempre secondo quest'ultima pronuncia - che l'indagine sul pericolo immaginario va condotta ex post, sia perché non vi è motivo di discostarsi dall'insegnamento tradizionale secondo il quale l'induzione in errore va giudicata ex post Cass. 26107/2003 riv 225872, in motivazione , sia perché questo è il solo metodo che consente, in modo oggettivo, di valutare se il fatto addebitato all'imputato sia sussumibile nell'ambito della truffa aggravata ovvero dell'estorsione secondo il tradizionale criterio distintivo dei raggiri o artifizi truffa o della violenza o minaccia estorsione . In altri termini, l'atteggiamento psicologico della vittima a fronte del pericolo immaginario che può essere indotto anche con minacce prospettato dall'agente, è identico sia che si tratti di estorsione che di truffa aggravata proprio perché, per la vittima, la minaccia prospettatagli dall'agente è come se fosse reale ed attuabile da parte dello stesso agente direttamente o indirettamente la volontà della vittima, cioè, ove valutata ex ante, risulta sempre, per assioma, coartata perché si trova di fronte ad una minaccia che egli crede seria proprio perché, è perfettamente identica sia che si tratti di estorsione che di truffa. La vittima, invero, proprio a causa del raggiro, pensa di trovarsi di fronte ad una richiesta estorsiva essendole del tutto indifferente che il male minacciato rectius il pericolo immaginario sia attuabile dall'agente direttamente o indirettamente la truffa, infatti, consiste proprio nella simulazione, da parte dell'agente, di un'estorsione. Solo successivamente, con valutazione ex post , invece, si può verificare se la minaccia era immaginaria inesistente in quanto l'agente, né direttamente né indirettamente, era in grado di realizzarla, ovvero, era reale perché l'agente, ove la vittima non avesse ceduto alla richiesta minatoria, era in grado - direttamente o indirettamente - di attuarla. Ciò ha portato questa Corte Suprema nella decisione qui in esame ad enunciare il seguente principio di diritto il criterio differenziale fra il delitto di truffa aggravato dall'ingenerato timore di un pericolo immaginario e quello di estorsione, risiede solo ed esclusivamente nell'elemento oggettivo si ha truffa aggravata quando il danno immaginario viene indotto nella persona offesa tramite raggiri o artifizi si ha estorsione, invece, quando il danno è certo e sicuro ad opera del reo o di altri ove la vittima non ceda alla richiesta minatoria. La valutazione circa la sussistenza del danno immaginario e, quindi, del reato di truffa aggravata o del danno reale e, quindi, del reato di estorsione va effettuata ex post e non ex ante essendo irrilevante ogni valutazione in ordine alla provenienza del danno prospettato ovvero allo stato soggettivo della persona offesa . Ritiene l'odierno Collegio di aderire al primo degli orientamenti indicati, di recente ribadito dalla citata sentenza n. 7662/2015 atteso che nel caso di specie il male alla persona offesa è stato indicato come certo e realizzabile ad opera di altri nella specie il siciliano con la conseguenza che la persona offesa è stata posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato e tale valutazione non poteva certo che essere effettuata ex ante cioè al momento in cui la situazione è stata posta all'attenzione del BE. . Ciò determina l'infondatezza dei motivi di ricorso esaminati. 2. Il secondo motivo di ricorso formulato nell'interesse dell'imputato C. è manifestamente infondato. Deve innanzitutto osservarsi che il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte un nuovo giudizio di merito, non consentito anche dopo la Novella. La modifica normativa dell'articolo 606 cod. proc. pen., lett. e , di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha lasciato infatti inalterata la natura del controllo demandato la corte di Cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Al giudice di legittimità resta tuttora preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è - e resta - giudice della motivazione. Non compete pertanto a questa Corte Suprema ricostruire i rapporti tra gli imputati, il momento e le ragioni per le quali, come sostiene la difesa del ricorrente - senza peraltro neppure specificamente evidenziare la rilevanza del proprio assunto per quanto concerne la posizione del C. - il coimputato B. sia intervenuto nella vicenda in un momento successivo o addirittura vi sarebbero dubbi circa l'appartenenza dell'autovettura con la quale il B. aveva accompagnato il F. nel luogo ove è poi quest'ultimo è stato arrestato. La Corte di Appello ha, del resto adeguatamente motivato in ordine al fatto che l'adesione al programma criminoso avvenuta in un momento successivo da parte del B. è risultata caratterizzata da una consapevole ed attiva partecipazione al piano criminoso intrapreso da C. e CA. , richiamando poi legittimamente - quanto alla scansione temporale degli eventi - il contenuto della sentenza del Tribunale e francamente non si ravvisa alcun vizio motivazionale della decisione della Corte distrettuale sul punto. Al riguardo e per solo dovere di completezza deve essere sottolineato come il ricorso al riguardo presentato al riguardo dalla difesa del C. non solo è caratterizzato da espressioni apodittiche circa una presunta illogicità della sentenza ma non comprova neppure la tesi che vorrebbe accreditare mediante le necessarie produzioni documentali. È, infatti, appena il caso di ricordare che, tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che la teoria dell'autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente indicati ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in precedenza , posto che anche in sede penale - in virtù del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato - deve ritenersi precluso a questa Corte l'esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso” Sez. I, sentenza n. 16706 del 18 marzo - 22 aprile 2008, CED Cass. n. 240123 Sez. I, sentenza n. 6112 del 22 gennaio - 12 febbraio 2009, CED Cass. n. 243225 Sez. V, sentenza n. 11910 del 22 gennaio -26 marzo 2010, CED Cass. n. 246552, per la quale è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze . 3. Il terzo motivo di ricorso formulato nell'interesse dell'imputato C. così come proposto è infondato. Il reato ascritto al C. ed ai coimputati risulta testualmente contestato come consumato fino al omissis . Il periodo massimo di prescrizione del reato stesso tenuto conto anche degli eventi interruttivi è di anni 12 e mesi 6 e, quindi, verrebbe normalmente a scadere per C. e CA. in data 12/4/2015 mentre diversa è la situazione del B. al quale è stata contestata la recidiva specifica reiterata ex art. 99 cod. pen La sentenza della Corte di Appello di Ancona qui impugnata risulta essere stata pronunciata in data 18/12/2014. Pacifico è che sulla base nella nuova normativa in materia di prescrizione essendo stato eliminato dall'art. 158 cod. pen. ogni riferimento al reato continuato, il termine di prescrizione, per i reati uniti da tale vincolo, decorre dalla consumazione di ciascuno di essi e non più dalla data di cessazione della continuazione. Orbene, sulla base della ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza di primo grado risulta che la persona offesa BE.An. effettuò in relazione al progetto criminoso ordito a suo danno a un primo versamento al CA. della somma di Euro 1.700,00 qualche giorno dopo la fine di giugno 2002 b in una non meglio indicata data ma successiva al periodo di cui al punto che precede un versamento altri 3.500,00 Euro c un ulteriore versamento al C. della somma di Euro 3.500,00 verso la metà di XXXXXX XXXX ndr. d un ulteriore versamento al F. della somma di Euro 1.500,00 il omissis , giorno in cui avvenne l'arresto in flagranza dell'imputato. Ora, anche partendo dall'ipotesi più favorevole al ricorrente ed ipotizzando che il primo versamento di denaro sia avvenuto il giorno 1/7/2002 in realtà sulla base della ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di merito dovrebbe essere avvenuto in un momento addirittura successivo indicato come qualche giorno dopo la fine di omissis ne deriva che la estinzione per prescrizione di tale episodio delittuoso è avvenuta non prima del 1/1/2015 e, quindi, successivamente alla decisione della Corte di Appello 18/12/2014 . Quanto agli ulteriori episodi in contestazione al ricorrente ed al coimputato CA. gli stessi hanno un termine di prescrizione successivo ricompreso tra il omissis ed il omissis . Diversa è la situazione relativa al B. al quale, come detto, è contestata anche la recidiva specifica e reiterata ex art. 99, comma 4, cod. proc. pen Alla luce di quanto detto emerge quindi che per quanto concerne gli imputati C. e CA. il reato in contestazione agli stessi si è estinto per intervenuta prescrizione in epoca successiva alla pronuncia della sentenza della Corte di Appello di Ancona ma anteriore rispetto alla data odierna. Essendo i ricorsi degli stessi infondati ma non inammissibili il rapporto processuale innanzi a questa Corte Suprema risulta essersi regolarmente instaurato con la conseguenza che si impone la declaratoria di estinzione del reato agli stessi contestato per essere lo stesso estinto per prescrizione e per l'effetto l'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna pronunciata nei loro confronti. La causa estintiva del reato non risulta, invece, essere ad oggi maturata nei confronti del coimputato B. . 4. Quanto, infine, al quarto ed ultimo motivo di ricorso formulato nell'interesse dell'imputato C. , ma che deve essere preso in considerazione solo per i potenziali effetti estensivi anche nei confronti del coimputato B. , va detto che lo stesso non è fondato. Se, infatti, è ben vero che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema hanno affermato il principio secondo il quale i reati uniti dal vincolo della continuazione, con riferimento alle circostanze attenuanti ed aggravanti, conservano la loro autonomia e si considerano come reati distinti con la conseguenza che rispetto all'aggravante della rilevanza economica del pregiudizio patrimoniale art. 61, n. 7, cod. pen. l'entità del danno deve essere valutata in relazione ad ogni singolo reato e non al complesso di tutti i fatti illeciti avvinti dal vincolo della continuazione Cass. Sez. U, sent. n. 3286 del 27/11/2008, dep. 23/01/2009, Rv. 241755 . Deve essere però evidenziato che questa Corte Suprema, in modo condiviso anche dall'odierno Collegio, ha avuto modo di chiarire in epoca successiva Cass. Sez. 2, sent. n. 2201 del 13/11/2013, dep. 20/01/2014, Rv. 258477 che in caso di reato continuato, valendo, in mancanza di tassative esclusioni, il principio della unitarietà, la valutazione in ordine alla sussistenza o meno dell'aggravante del danno di rilevante gravità deve essere operata con riferimento non al danno cagionato da ogni singola violazione, ma a quello complessivo causato dalla somma delle violazioni cfr. Cass. sez. 1, 24.5.2012, n. 49086 . Deve inoltre considerarsi che nel processo deciso dalla pronuncia da ultimo richiamata - e diversamente dalla fattispecie trattata nella citata pronuncia a Sezioni Unite - agli imputati era, in generale, contestato di aver compiuto reati ai danni di un medesimo soggetto. Appare fondamentale, per la compiuta valutazione della decisione, osservare che la persona offesa del reato era, in ogni caso, sempre la stessa e identica situazione si prospetta nel caso di specie . Infatti nel caso in esame il danno complessivamente cagionato non si ripartisce tra più persone offese, ma resta confinato nel patrimonio della stessa vittima, nel quale si accumula ed accresce ad ogni episodio delittuoso della serie oggetto di giudizio. La scomposizione del danno unitariamente arrecato dalla vittima - e in tale misura complessiva dalla stessa sopportato - in ragione dei singoli episodi truffaldini non corrisponderebbe pertanto alla realtà dei fatti. A ciò si aggiunge che già il Tribunale a pag. 8 della sentenza di primo grado aveva chiarito che la contestata aggravante di cui all'art. 61 n. 7 cod. pen. era comunque configurabile alla luce dei fatto che per far fronte ai pagamenti delle somme estorte la persona offesa ha dovuto prima dare tutti i suoi risparmi in banca, poi consegnare la liquidazione, poi far ricorso ai familiari . Al riguardo non può sottacersi che secondo preciso orientamento giurisprudenziale di questa Corte Suprema, condiviso anche dall'odierno Collegio, la valutazione del danno patrimoniale cagionato dal reato agli effetti del riconoscimento sia dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 7 cod. pen. sia dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen., va compiuta con criterio soggettivo, in rapporto non al livello economico medio della generalità , ma in riferimento alle condizioni della persona offesa dal reato e cioè di colui che ha subito, in concreto ed in via diretta, gli effetti dannosi del reato. Ciò è quanto correttamente evidenziato dai Giudici di merito che hanno ritenuto di configurare detta circostanza aggravante proprio in relazione alla sopraindicata situazione della persona offesa per la quale il danno patrimoniale cagionato era certamente da considerarsi di rilevante gravità. Da quanto sopra consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti degli imputati C. e CA. perché estinto il reato loro ascritto per prescrizione ed il contestuale rigetto del ricorso formulato nell'interesse dell'imputato B. con condanna di quest'ultimo al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C.J. e di CA.Al. perché estinto il reato loro ascritto per prescrizione. Rigetta il ricorso di B.C. che condanna al pagamento delle spese processuali.