Infarto non diagnosticato, muore il paziente. Ma un precedente ricovero in ospedale può salvare il medico...

Accusa pesantissima omicidio colposo. Nel mirino una guardia medica, che, in occasione di una visita a domicilio, non ha diagnosticato l’infarto. Conseguenziale, poche ore dopo, la morte del paziente. Condotta da valutare, però, anche tenendo presente che, a fronte di un’ analoga sintomatologia, all’uomo, in ospedale, era stata diagnosticata una semplice colica addominale.

Visita a domicilio. Una volta completati i controlli, la vecchia ‘guardia medica’ tranquillizza il paziente niente infarto, è solo una patologia gastrica. Nessuna necessità, quindi, di rivolgersi al ‘Pronto Soccorso’. Neanche dieci ore dopo, però, l’uomo muore a causa di una sindrome coronarica acuta”. Medico sotto accusa, ovviamente. Ma la sua condotta potrebbe essere qualificabile come colpa lieve”, non punibile in ambito penale. Decisiva la diagnosi effettuata, pochi giorni prima, in occasione di un ricovero in ospedale per una analoga sintomatologia. In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45527/2015, depositata oggi. Visita a domicilio. Pesante l’accusa ai danni del medico di continuità assistenziale omicidio colposo. A lui, difatti, viene attribuita la morte di un uomo, causata da una sindrome coronarica acuta , erroneamente non diagnosticata durante la visita effettuata a casa del paziente. Il medico aveva invece riscontrato una semplice patologia gastrica , nonostante la sintomatologia di dolore toracico retrosternale, con irradiazione al braccio bilateralmente . Per il gip, però, pur essendo evidente l’errore compiuto, il medico non è punibile. Manca, in sostanza, l’elemento soggettivo della colpa . A salvare il professionista è l’aver fatto affidamento sulla diagnosi effettuata, pochi giorni prima, durante un ricovero in ospedale dell’uomo, con una analoga sintomatologia . Anche in ospedale, difatti, era stata riscontrata solo una sospetta colica addominale . Visione opposta, invece, quella adottata in appello, dove il medico viene ritenuto colpevole. Conseguente la condanna alla pena di un anno di reclusione . Per i giudici di secondo grado l’ errore diagnostico compiuto in ospedale non può rappresentare un giustificazione. Ciò perché la guardia medica avrebbe dovuto effettuare una autonoma valutazione del quadro sintomatologico, chiaramente indicativo di un infarto , anche tenendo presente che in ospedale il paziente era stato dimesso, contro la volontà dei sanitari, prima del completamento di tutti gli esami . E, ragionando in questa ottica, la decisione di non disporre immediati accertamenti ed il ricovero è da valutare, secondo i giudici d’appello, come un atteggiamento gravemente imprudente . Diagnosi. Appiglio difensivo, nel contesto della Cassazione, è il richiamo alla legge Balduzzi, e più precisamente alla colpa lieve . Secondo il legale del medico, la condotta tenuta a fronte delle condizioni del paziente visitato a domicilio è da valutare come non punibile, anche tenendo presente che il perito d’ufficio aveva definito l’atteggiamento della guardia medica come prudente e in assonanza con le buone pratiche mediche . Ebbene, tale obiezione viene ritenuta plausibile dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali evidenziano l’errore compiuto in appello. Per esser chiari, viene ritenuta illogica la colpevolezza del medico motivata con l’ errata diagnosi dovuta ad imperizia nella autonoma valutazione della sintomatologia del paziente. Ciò perché il processo diagnostico , sottolineano i giudici, parte da una attività di anamnesi che comprende anche la conoscenza della storia clinica del paziente, e, quindi, le precedenti terapie e ricoveri a cui è stato sottoposto . E, viene aggiunto, correttamente in primo grado, era stata effettuata una valutazione della possibile incidenza delle valutazioni dei medici dell’ospedale sulla successiva errata diagnosi effettuata dal medico di continuità assistenziale , con conseguente possibile applicazione della depenalizzazione introdotta dalla legge Balduzzi . Appare nuovamente in discussione, quindi, la punibilità della guardia medica. Su questo fronte ora la palla viene passata ancora ai giudici d’appello

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 1 luglio – 16 novembre 2015, n. 45527 Presidente Sirena – Relatore Izzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 22\10\2012 il G.i.p. del Tribunale di Asti, in sede di giudizio abbreviato, assolveva C.G. dal delitto di omicidio colposo, perché il fatto non costituisce reato. All'imputato era stato addebitato che, in qualità di medico di continuità assistenziale ex guardia medica , intervenuto presso l'abitazione di Z.J. domenica 3\10\2010, alle ore 10,00, avendo rilevato una sintomatologia di dolore toracico retro sternale con irradiazione al braccio bilateralmente aveva omesso di disporre l'immediato invio dei paziente al Pronto Soccorso, diagnosticando erroneamente una patologia gastrica, di tal che il paziente decedeva alle ore 19.51 per una sindrome coronarica acuta acc. in Capriglio il 3\10\2010 . Riteneva il G.u.p. che, pur sussistendo l'elemento oggettivo del delitto contestato, difettava l'elemento soggettivo della colpa, avendo l'imputato fatto affidamento sulla diagnosi effettuata pochi giorni prima, durante un ricovero in ospedale con un'analoga sintomatologia, all'esito del quale era stata diagnosticata una sospetta colica addominale. 2. A seguito di impugnazione dei P.M., la Corte di appello di Torino, con sentenza del 7\5\2014, riformando la pronuncia di primo grado, ritenuta la colpevolezza del C. per omicidio colposo, lo condannava alla pena di un anno di reclusione, con le attenuanti generiche, la diminuente del rito ed i doppi benefici. Osservava la corte distrettuale che l'errore in cui era caduto il G.u.p. era stato quello di appiattirsi sulle conclusioni del perito d'ufficio, il quale aveva attribuito assorbente rilievo all'errore diagnostico dei medici che avevano avuto in osservazione lo Z. in Ospedale e che non si erano accorti, fin dal 26 settembre, giorno del ricovero, della patologia cardiaca in atto. Invero - l'errata diagnosi di sospetta colica addominale, formulata all'atto delle dimissioni non doveva considerarsi vincolante per il C., in quanto il paziente era stato dimesso, contro la volontà dei sanitari, prima del completamento di tutti gli esami - l'imputato avrebbe dovuto effettuare una autonoma valutazione del quadro sintomatologico all'atto del suo intervento che, come rilevato dal C.T. del P.M., era chiaramente indicativo di un infarto in atto - pertanto la decisione di non disporre immediati accertamenti ed il ricovero, erroneamente era stata ritenuta dal giudice di primo grado come un atteggiamento prudente , mentre invece era stato gravemente imprudente ed imperito ed idoneo a configurare, con valutazione ex ante, l'elemento soggettivo della colpa del delitto contestato. Sulla base di tali valutazioni veniva ribaltata l'assoluzione pronunciata in primo grado. 3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando 3.1. l'erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione in ordine alla mancata valutazione della presenza di una colpa lieve, scriminante ai sensi dell'art. 3 della c.d. legge Balduzzi . Invero la normativa disciplinante l'attività del medico di continuità non prevede il loro intervento in casi di urgenza, compito questo affidato al servizio dei 118 , pertanto l'addebito di imprudenza ed imperizia formulato a carico del dott. C. ben poteva essere connotato da colpa lieve, come peraltro indirettamente si poteva ricavare dalle conclusioni del perito d'ufficio che aveva definito l'atteggiamento tenuto dall'imputato come prudente e quindi in assonanza con le buone pratiche mediche non esistono linee guida per i medici di continuità . 3.2. II difetto di motivazione sulla necessaria valutazione dei grado della colpa. 3.3. La contraddittorietà della motivazione laddove, dopo avere affermato che la valutazione della colpa dell'imputato doveva essere effettuata considerando la sua condotta in piena autonomia, aveva sviluppato la motivazione su una linea di costante comparazione con quanto accertato nel corso dei ricovero della vittima in ospedale. A questo punto era illogico ritenere che il medico di continuità non avrebbe dovuto tenere conto delle risultanze degli esami svolti pochi giorni prima in ospedale, delle conclusioni diagnostiche e della stessa sintomatologia rammentata dal paziente, analoga a quella percepita il 26 settembre. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Va premesso che la legge 8\11\2012, nr. 189, c.d. legge Balduzzi , nel convertire il D.L. 158 del 2012, ha stabilito nell'art. 3 che L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve . Tale disposizione ha introdotto nel nostro ordinamento una rilevante novità in quanto è stato attribuito al grado della colpa non più solo il ruolo di parametro per la determinazione della pena art. 133 c.p. , ma anche una diretta incidenza sulla tipicità del fatto. 3. Sebbene gli orientamenti non si siano ancora consolidati in ordine alla portata della novella, la più recente giurisprudenza di questa Corte, che questo collegio condivide, estende la rilevanza della colpa lieve anche ad addebiti diversi dall'imprudenza. E' stato, infatti, di recente affermato che, premesso che in tema di responsabilità medica, l'osservanza delle linee guida accreditate dalla comunità scientifica esclude la rilevanza della colpa lieve, la novella pur trovando terreno d'elezione nell'ambito dell'imperizia, può tuttavia venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell'agente sia quello della diligenza cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 47289 del 09/10/2014 Ud. dep. 17/11/2014 , Rv. 260739 Cass. Sez. 4, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013 Ud. dep. 09/04/2013 , Rv. 255105 . Si è osservato in tali pronunce come alla stregua della nuova legge, le linee guida accreditate operano come direttiva scientifica per l'esercente le professioni sanitarie e la loro osservanza costituisce uno scudo protettivo contro istanze punitive che non trovino la loro giustificazione nella necessità di sanzionare penalmente errori gravi commessi nel processo di adeguamento del sapere codificato alle peculiarità contingenti. Inoltre che, sebbene la nuova disciplina trovi il suo terreno d'elezione nell'ambito dell'imperizia, non può tuttavia escludersi che le linee guida pongano regole rispetto alle quali il parametro valutativo della condotta dell'agente sia quello della diligenza come nel caso in cui siano richieste prestazioni che riguardino più la sfera della accuratezza di compiti magari particolarmente qualificanti, che quella della adeguatezza professionale. 4. Ciò premesso, la carenza motivazionale della sentenza impugnata sta nel fatto che essa non si è confrontata esplicitamente con la novità normativa introdotta dalla legge Balduzzi sebbene oramai la valutazione del rispetto delle linee guida e della buone pratiche, unitamente al grado della colpa, costituiscano le premesse per discernere l'ambito del penalmente rilevante in ambito di responsabilità del medico. 5. II giudice di primo grado, in sede di rito abbreviato, nell'assolvere l'imputato per difetto dell'elemento soggettivo sebbene la legge 189 non fosse ancora in vigore , ha fatto ampio riferimento agli esiti della perizia svolta in udienza. Il perito del G.i.p. con diffusa motivazione, ha richiamato le parti dell'elaborato laddove è stato affermato che l'imputato, operante nel Servizio di Continuità Assistenziale, si era conformato ai principi della scienza medica rapportati agli elementi ed alle risorse disponibili e che pertanto, l'iniziativa di avviare il paziente ad un nuovo ricovero in Pronto Soccorso, avrebbe costituito un eccesso di prudenza . Nella sentenza dei primo giudice si è inoltre collegata la valutazione diagnostica dei C. alla recente diagnosi di dimissioni dall'Ospedale, laddove i medici del Pronto Soccorso non aveva rilevato patologie cardiache ma solo una verosimile colica addominale . Il G.i.p. ha ritenuto che tale errata diagnosi, effettuata da sanitari che avevano avuto in osservazione il paziente dal 26 al 28 settembre, aveva avuto un'incidenza rilevante sulla errata diagnosi dell'imputato, a fronte di un paziente che presentava sintomi analoghi a quelli evidenziatisi all'atto del ricovero ospedaliero. 6. La Corte di merito, nel riformare la sentenza di primo grado, ha censurato l'approccio metodologico del G.i.p. e del perito laddove avevano posto in correlazione la condotta dell'imputato con quella tenuta dai medici del pronto soccorso alcuni giorni prima. Il medico di continuità, infatti, era tenuto a svolgere una sua autonoma valutazione in base alla sintomatologia che presentava il paziente e che ben poteva indicare la sussistenza di una patologia cardiaca. La gravità della imprudenza ed imperizia giustificavano la riforma della sentenza e la condanna. 7. Orbene le osservazioni della Corte di merito appaiono manifestamente illogiche laddove fondano la ritenuta colpevolezza dell'imputato sulla errata diagnosi dovuta ad imperizia nella autonoma valutazione della sintomatologia che presentava lo Z., senza però tener conto che il processo diagnostico parte da un'attività di anamnesi che comprende anche la conoscenza della storia clinica del paziente e, quindi, le precedenti terapie e ricoveri a cui è stato sottoposto. Pertanto correttamente il giudice di primo grado aveva effettuato una valutazione della possibile incidenza delle valutazioni dei medici del pronto soccorso sulla errata diagnosi effettuata dal C Il vizio motivazionale in cui è incorsa la Corte di merito ha determinato, di conseguenza, un difetto di motivazione sulla valutazione del grado della colpa, affidata ad aggettivazioni di gravità, che però non si confrontano con le specifiche argomentazioni del giudice di primo grado e con quelle del perito d'ufficio e, soprattutto non affrontano esplicitamente la possibilità della applicazione, nel caso in esame, della depenalizzazione introdotta dalla legge Balduzzi . Va ricordato che, con costante giurisprudenza, questa Corte regolatrice ha stabilito che quando la sentenza di appello riforma in modo totale il giudizio assolutorio di primo grado, deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della sua decisione, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalle parti nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati ex plurimis, Cass. VI, 6221\2006, imp. Aglieri, rv. 233083 Cass. Sez. Un., 33748\2005, imp. Mannino, rv. 231679 Cass. Sez. VI, 10130\2015, imp. Marsili, Rv. 262907 . Al rilievo della carenza motivazionale della sentenza impugnata consegue il suo l'annullamento con rinvio, rimettendosi al giudice di rinvio anche il regolamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino