Quando la coltivazione di piante di cannabis è inoffensiva?

La coltivazione può ritenersi inoffensiva soltanto quando la sostanza ricavabile dalla coltivazione non sia idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 44807, depositata il 9 novembre 2015. Il fatto. Viene proposto ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte d’appello che ha riconosciuto il ricorrente colpevole del reato di coltivazione illecita di piante da stupefacente. La differenza tra coltivazione e detenzione. I giudici di legittimità, nel valutare il ricorso, ripropone la posizione delle Sezioni Unite in base alla quale la condotta di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, sia essa svolta a livello industriale o domestico, è penalmente rilevante anche quando essa sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale . Questo è ciò che distingue la coltivazione dalla detenzione. L’offensività della condotta. Il tema, nel caso di coltivazione, è quello della verifica in concreto dell’offensività della condotta di coltivazione. Infatti, quando le oggettive circostanze del fatto e la modestia dell’attività di coltivazione posta in essere portano ad escludere ogni lesione dei beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice, spetterà al giudice di merito l’apprezzamento della eventuale inoffensività in concreto della condotta. L’inoffensività della condotta. Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite affermando che la coltivazione può ritenersi inoffensiva soltanto quando la sostanza ricavabile dalla coltivazione non sia idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile . In altre parole, si deve escludere la punibilità quando la condotta dimostra tale lieve entità da essere irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcuna ulteriore diffusione della sostanza. Nel caso di specie, conclude la S.C., i giudici di merito hanno affrontato il tema della offensività o meno della condotta in maniera troppo superficiale. Pertanto, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello per un approfondimento della questione.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 ottobre – 9 novembre 2015, n. 44807 Presidente Romis – Relatore Piccialli Ritenuto in fatto F.F. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, in accoglimento del ricorso del Procuratore generale ha riformato la sentenza assolutoria di primo grado e l'ha riconosciuto colpevole del reato di coltivazione illecita di piante da stupefacente [trattavasi per quanto interessa di 7 piante di cannabis indica , nelle quali era stata rintracciata all'analisi qualitativa sostanza stupefacente Delta 9 THC e di sostanza essiccata 72 grammi e 5 grammi frutto della coltivazione, in cui la sostanza stupefacente era stata misurata nella misura dello 0,5%], ritenuta configurabile l'ipotesi di cui all'art. 73, quinto comma, del d.P.R. n. 309/90. La Corte di merito, in primo luogo, riteneva inammissibile l'istanza dell'imputato di accesso all'istituto della sospensione del processo con messa alla prova, introdotto dall'articolo 168 bis c.p., rilevandone l'intempestività e l'impossibilità di applicare retroattivamente il novum normativo. Riteneva poi, quanto al merito, la configurabilità dell'illecito penale, sul rilievo che, per scelta del legislatore, la condotta di coltivazione di piante di sostanze stupefacenti, era da considerare penalmente rilevante, a prescindere dalla destinazione in ipotesi pure per uso personale del prodotto della coltivazione, risultando, del resto, questo caratterizzato dalla effettiva presenza di principio attivo stupefacente. Sul punto, si richiamava la sentenza n. 360 del 1995 con cui la Corte costituzionale aveva escluso profili di incostituzionalità rispetto al diverso trattamento riservato alla condotta di detenzione, e si rilevava che i principi ivi affermati conservavano validità anche alla Juce del sistema sanzionatorio degli stupefacenti derivato a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della stessa Corte costituzionale. Con il ricorso, ampiamente argomentato, si prospetta, con il primo motivo, la questione di costituzionalità degli articoli 73 e 75 del dpr n. 309 del 1990, in riferimento agli articoli 3, 25 e 27 della Costituzione, nella parte in cui si prevede l'illiceità penale della condotta di coltivazione di piante da stupefacente, e non invece la mera rilevanza amministrativa di tale condotta se finalizzata all'uso personale della sostanza, come diversamente previsto, invece, per la condotta di mera detenzione. Si prospetta, con il secondo motivo, questione di costituzionalità dell'articolo 464 bis, comma 2, c.p.p., come introdotto dalla legge n. 67 del 2014, per l'assenza di una disciplina transitoria che consenta di applicare l'istituto della sospensione del processo con messa alla prova ai procedimenti in corso al momento dell'entrata in vigore del nuovo istituto, che abbiano già superato le fasi processuali entro le quali, ai sensi della richiamata disposizione codicistica, la sospensione con messa alla prova può essere chiesta dall'imputato. Con riguardo al merito della responsabilità, si propone, con il terzo motivo, la questione dell'inoffensività della condotta contestata evidenziando che, comunque, il quantitativo rinvenuto non poteva ritenersi concretamente offensivo ciò in ragione del quantitativo di principio attivo prossimo allo zero del prodotto essiccato [0,5%] e per l'assenza di indicazioni in sentenza di un quantitativo precisato di principio attivo ricavabili dalle piante. Ancora rispetto al diniego relativo alla sollecitata applicazione dell'istituto della sospensione con messa alla prova si contesta, con il quarto motivo, la correttezza della declaratoria di inammissibilità, riproponendo il tema della carenza di disciplina transitoria e invocando la tesi dell'applicabilità allora dell'istituto nei confronti di un imputato che non aveva potuto proporre l'applicazione dell'istituto nei termini di legge ratione temporis. Rispetto al tema della coltivazione, insta, infine, in via subordinata, per la rimessione del ricorso alle Sezioni unite. Considerato in diritto Non può condividersi il ricorso con riguardo alle censure afferenti l'applicabilità dell'istituto della sospensione del processo con messa alla prova. In realtà, non è dubbio che, nell'assenza di una disciplina transitoria, la nuova normativa sulla sospensione con messa alla prova, anche per i processi pendenti al momento dell'entrata in vigore della legge 28 aprile 2014 n. 67, non può applicarsi allorquando già sia decorso il termine di decadenza previsto ordinariamente dall'articolo 464 bis, comma 2, c.p.p In questo senso è univoca la giurisprudenza della Corte di legittimità, a partire dalla sentenza della Sezione feriale, 31 luglio 2014, Cesaroni, secondo cui la sospensione del procedimento con messa alla prova non può essere richiesta dall'imputato nel giudizio di cassazione, né invocandone l'applicazione in detto giudizio, né sollecitando l'annullamento con rinvio al giudice di merito. Infatti, sì è sostenuto, il beneficio dell'estinzione del reato, connesso all'esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un iter procedurale, alternativo alla celebrazione del giudizio, introdotto da nuove disposizioni normative, per le quali, in mancanza di una specifica disciplina transitoria, vige il principio tempus regit actum. In tale occasione, questa Corte, nel non accogliere la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova presentata dal ricorrente, ha precisato che l'istituto della messa alla prova previa sospensione del procedimento è stato costruito dal legislatore come opportunità possibile esclusivamente in radicale alternativa alla celebrazione di ogni tipologia di giudizio di merito, già dal primo grado , trattandosi, quindi, di procedura ed opportunità assolutamente incompatibile con alcun giudizio di impugnazione [appello e cassazione] ciò che si spiega anche con il fatto che l'istituto è assolutamente incompatibile con alcun giudizio [anche solo di primo grado] che si concluda con l'applicazione di una sanzione, tale non essendo la mera valutazione preliminare ex articolo 129 c.p.p. prevista dall'articolo 464 quater, comma 1, dello stesso codice e si spiega anche con la ratio deflattiva dell'istituto, che impedisce ogni efficacia del beneficio al di fuori del peculiare rito costruito dal legislatore. In termini, successivamente, Sezione V, 17 dicembre 2014, La Franca Sezione II, 15 gennaio 2015, Capardoni nonché Sezione III, 14 aprile 2015, Zheng e Sezione IV, 24 aprile 2015, Frasca. Tale conclusione va qui ribadita, perché convincente. Infatti, l'assenza di una disciplina transitoria non è casuale e non è quindi tale da consentire di evocare la possibile applicabilità dell'articolo 2, comma 4, c.p La soluzione va trovata, invece, nell'articolo 464 bis, comma 2, c.p.p., che fissa specifici termini di decadenza per la proposizione della richiesta e spiega per quale motivo non sia stata prevista una norma transitoria. Proprio tale disposizione induce a ritenere che l'aver individuato, da parte del legislatore, uno sbarramento temporale per la presentazione della richiesta, oltre il quale il beneficio non è più applicabile, corrisponde ad una scelta precisa con la quale il legislatore stesso ha voluto dettare una disciplina applicabile a tutti i procedimenti pendenti, individuando tra essi quelli in cui la disciplina sostanziale può trovare applicazione e, per converso, quelli ai quali la disciplina non è ormai più applicabile . Sono da escludere i profili di incostituzionalità, perché trattasi di una soluzione che costituisce espressione di una discrezionalità legislativa che si giustifica con l'opportunità di ancorare ad un preciso momento procedurale la possibilità di proporre l'istanza sul punto, cfr. la citata Sezione III, 24 aprile 2015, Franca, ma anche Sezione VI, 22 ottobre 2014, Calamo, che, sul punto, ha dichiarato manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità prospettati evocando un preteso contrasto con l'articolo 3 della Costituzione . Corretta è quindi la decisione della Corte di merito. Quanto al tema della rilevanza penale della coltivazione di sostanze stupefacenti, va osservato che non ricorrono argomenti innovativi per proporre la ipotizzata questione di costituzionalità, su cui la Corte costituzionale, con la sentenza n. 360 del 1995, è già intervenuta, non emergendo cambiamenti del quadro normativo di riferimento tali da riproporre nuovi e diversi dubbi. In tema, non si può non partire dalla presa di posizione delle Sezioni unite cfr. la sentenza 24 aprile 2008, Di Salvia, ma anche la coeva sentenza 24 aprile 2008, Valletta , laddove si è osservato che la condotta di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, sia essa svolta a livello industriale o domestico, è penalmente rilevante anche quando essa sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale. Per scelta consapevole del legislatore, infatti, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, è stata considerata penalmente rilevante ex articolo 73 del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 anche qualora realizzata per destinazione del prodotto ad uso personale. Ciò distingue la coltivazione dalla detenzione, rispetto alla quale la sanzione penale è riservata alle ipotesi in cui risulti dimostrata la destinazione a terzi, mentre è applicabile la sola sanzione amministrativa [articolo 75 del dpr n. 309 del 1990] in caso di destinazione all'uso personale. E tale distinzione, basata sulla diversa pericolosità della condotta [che aumenta il quantitativo dello stupefacente, oggetto della attività incriminata], ha trovato giustificazione, come detto, anche nella richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 360 del 1995, che ha ritenuto la scelta della legislatore legittima e compatibile con i principi costituzionali. Il tema, su cui si sono soffermate sia le Sezioni unite che la Corte costituzionale, è piuttosto quello della verifica in concreto dell'offensività della condotta di coltivazione. Il principio di offensività ha rilievo costituzionale e, quindi, spetta comunque al giudice, in presenza di una condotta pur formalmente tipica [di coltivazione], il potere-dovere di verificare se tale condotta, avuto riguardo alla ratio della fattispecie incriminatrice, sia, in concreto , palesemente priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati. Compete quindi al giudice di merito l'apprezzamento della eventuale inoffensività in concreto della condotta, quando le oggettive circostanze del fatto e la modestia dell'attività di coltivazione posta in essere portino ad escludere, in fatto, ogni lesione dei beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice. Il tema che va affrontato è così quello del significato concreto da attribuire al principio di offensività ossia, quando possa affermarsi che la specifica condotta di coltivazione possa essere ritenuta inoffensiva e quindi non meritevole di sanzione penale. Sotto questo profilo, le Sezioni unite, nelle sentenze Di Salvia e Valletta, affermano che la coltivazione può ritenersi inoffensiva soltanto quando la sostanza ricavabile dalla coltivazione non sia idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile . La giurisprudenza prevalente è in linea con questa impostazione, sostenendosi in proposito che l'inoffensività della coltivazione potrebbe ricorrere solo allorquando la sostanza ricavabile dalla coltivazione non sia idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile cfr., da ultimo, cfr. Sezione III, 7 luglio 2015, Di Salvia Sezione VI, 20 marzo 2014, Murgeri ed altri nonché, Sezione VI, 2 maggio 2013, Proc. Rep. Trib. Vicenza in proc. Capuano . Vero è che si rinvengono decisioni che interpretano in termini più ampi il concetto di inoffensività della condotta. Si è così affermato doversi escludere la punibilità quando la condotta dimostri tale lievità da essere sostanzialmente irrilevante l'aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcuna ulteriore diffusione della sostanza Sezione VI, 8 aprile 2014, Proc. gen. App. Sassari in proc. Piredda cfr. anche Sezione IV, 17 febbraio 2011, Proc. gen. App. Catanzaro in proc. Marino, laddove si è ritenuta penalmente irrilevante la coltivazione, anche se la piantina sequestrata conteneva pur sempre un quantitativo di principio attivo idoneo a produrre effetto stupefacente . Nella stessa prospettiva, la sentenza della Sezione IV, 11 dicembre 2014, Spanu, in una fattispecie in cui il reato di coltivazione era stato ravvisato a carico dell'imputato che risultava avere coltivato domesticamente solo cinque piantine di cannabis , dalle quali erano risultati estraibili solo 0,1048 grammi di sostanza stupefacente, di cui neppure era stato indicato il principio attivo nella circostanza, in accoglimento del ricorso, è stata annullata senza rinvio la sentenza per insussistenza del fatto. Nel caso in esame, alla luce dei principi sopra enunciati, la vicenda esaminata va risolta considerando che il giudice di merito ha affrontato in modo superficiale il tema della offensività/inoffensività della condotta, neppure chiarendo rispetto alle piante il quantitativo di principio attivo presente mentre per il prodotto essiccato della coltivazione si è riferito di un quantitativo così modesto, da indurre il dubbio sulla inidoneità in concreto dello stesso a produrre effetto stupefacente. Si impone, pertanto, un annullamento con rinvio per un approfondimento della questione afferente l’offensività/inoffensività della condotta. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d'Appello di Brescia.