Non basta il dato aritmetico: per determinare l’indennità vanno valutate anche le contingenze concrete

Il Supremo Collegio è tornato a pronunciarsi sul tema della riparazione per ingiusta detenzione e, in particolare, sui criteri per la quantificazione della relativa indennità.

Se ne è occupata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44831/15, depositata il 9 novembre. Il caso. La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla correttezza del quantum liquidato a seguito di una domanda di riparazione per ingiusta detenzione presentata in relazione alla detenzione carceraria patita dal ricorrente per il reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, dal quale era poi stato assolto dal gip con formula piena. Il criterio aritmetico va contemperato con la valutazione equitativa del giudice. In primis , gli Ermellini hanno ricordato che in relazione alla liquidazione del quantum relativo alla riparazione per ingiusta detenzione, la consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio ha affermato la necessità di contemperare il parametro aritmetico – dato dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo art. 315, comma 2, c.p.p. e il termine massimo della custodia cautelare art. 303, comma 4, lett. c , c.p.p. , espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita – con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto, che, peraltro, non può mai comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito. In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, quindi, ribadiscono da Piazza Cavour, nel liquidare l’indennità il giudice è vincolato solamente al tetto massimo normativamente stabilito, ma non anche al parametro aritmetico fondato su tale limite, individuato dalla giurisprudenza per determinare la somma dovuta per ogni giorno di detenzione sofferto. Tale meccanismo , pertanto, offre solamente una base di calcolo, che deve essere maggiorata o diminuita con riguardo alle contingenze proprie del caso concreto, pur restando ferma la natura indennitaria e non risarcitoria dell’istituto . Il giudice deve motivare la sua decisione. Infine, i Giudici del Palazzaccio si sono soffermati sull’obbligo di motivazione gravante sul giudice è, infatti, principio consolidato della giurisprudenza di legittimità che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice, nel far ricorso alla liquidazione equitativa, debba sintetizzare i fattori di analisi presi in esame ed esternare la valutazione che ne ha fatto ai fini della decisione, non potendo il giudizio di equità risolversi nel merum arbitrium , ma dovendo invece essere sorretto da una giustificazione adeguata e logicamente congrua , per poter essere controllato dai destinatari ed in generale dai consociati. Se questo è il quadro giurisprudenziale di riferimento, conclude il Collegio, il provvedimento impugnato ne ha fatto buon uso e pertanto non può essere censurato.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 ottobre – 9 novembre 2015, n. 44831 Presidente Romis – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Catanzaro, con ordinanza del 7.11.2014 accoglieva la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata dall'odierno ricorrente N.D. in relazione alla detenzione carceraria patita, dal 26.11.2009 al 1.7.2011, per il di cui all'articolo 74 DPR 309/90 dal quale veniva assolto dal GIP del Tribunale di Catanzaro con sentenza emessa in data 1.7.2011 di assoluzione con formula piena per mancanza di condizione di procedibilità articolo 416 bis cod. pen. , liquidando, in favore dell'istante, la somma di Euro 137.253,00, con compensazione delle spese. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, N.D. , deducendo, i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. - Annullamento dell'ordinanza ex articolo 606, lett. b ed e cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125 e 314 cod. pen., apparenza, contraddittorietà ed illogicità motivazionale. Il ricorrente deduce che la corte di appello avrebbe liquidato la riparazione adottando il criterio aritmetico secco , inteso come standard riparatorio a scopo indennitario, non ritenendo di commisurare la stessa riparazione al caso concreto. Riporta una serie di precedenti di questa Corte secondo cui la valutazione va eseguita con equità, tenendo presente in maniera non marginale le conseguenze personali, familiari, patrimoniali dirette o mediate, che siano derivate dalla privazione della libertà. Richiama anche un precedente di questa Corte in materia civile, a suo dire applicabile al caso di specie, che stabilisce la risarcibilità integrale del danno da perdita della vita di relazione. Ritiene necessaria la disamina delle voci di danno relative - alla malattia del figlio del ricorrente che, a differenza di quanto dichiarato nell'ordinanza impugnata, non sarebbe indifferente ai fini dell'equità riparatoria - al titolo professionale del ricorrente, risultante dal documento di identità del ricorrente e, in particolare, alla sua qualifica di imprenditore - allo strepitus fori e alla pubblicizzazione della detenzione - al regime di alta sicurezza della detenzione, causa di danni sottostimati. La motivazione dell'ordinanza relativamente all'aspetto risarcitorio sarebbe incongrua, apodittica ed illogica. Chiede, pertanto, l'annullamento della ordinanza impugnata con le statuizioni consequenziali. Il P.G. presso questa Corte Suprema ha rassegnato ex articolo 611 cod. proc. pen. le proprie conclusioni scritte, evidenziando che la valutazione del giudice della riparazione è stata svolta con l'applicazione del criterio c.d. nummario di liquidazione, pervenendo ad un tetto aritmetico giornaliero per la ingiusta deten-zione carceraria pari a Euro 235,83. In tale quantificazione sarebbero ricomprese tutte le voci di danno essendo omnicomprensivo con esclusione di particolari circostanze se provate. La motivazione del provvedimento impugnato sarebbe ineccepibile per la richiesta di danno relativa alle circostanze per le quali non è stato documentato alcun danno ulteriore, precisamente lo strepitus fori , che non risulta aver assunto caratteristiche eccezionali, la qualifica di imprenditore, in quanto in relazione alla stessa non è stato documentato alcun danno specifico e il regime di massima sicurezza, la cui incidenza rientra nella somma liquidata non essendo stata provata un'incidenza particolare sullo stato di salute fisico o mentale. La motivazione risulterebbe invece illogica laddove, ritenuta provata la malattia del figlio ed il nesso con la detenzione del padre, la corte distrettuale ha ritenuto non previsto alcun indennizzo per malattia di terzi, mentre ciò che andava valutato era se lo stato di salute del figlio avesse inciso sullo stesso ricorrente in qualità di genitore impossibilitato ad assistere il proprio figlio. L'ordinanza avrebbe dato per scontato i punti, mentre avrebbe dovuto valutare se anche tale danno rientrasse in quello liquidato con il metodo nummario, oppure meritasse una valutazione separata quantificando l'ulteriore somma da corrispondere. Chiede, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza, nei limiti sopra esposti, con rinvio alla corte di appello di Catanzaro per nuovo esame. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato presentava tempestiva memoria chiedendo il rigetto del ricorso. Rileva che la corte di appello avrebbe liquidato il danno con l'applicazione del criterio nummario, evidenziando l'aspetto indennitario e non risarcitorio che ricomprenderebbe tutte le voci aventi un supporto specifico ed economicamente quantificabile. Ribadisce la necessità di applicare un criterio di tipo equitativo per non svalutare il carattere indennitario della riparazione per ingiusta detenzione. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. La giurisprudenza di questa Corte Suprema, in tema di liquidazione del quantum relativo alla riparazione per ingiusta detenzione, è ormai consolidata nell'affermare cfr. per tutte Sezioni unite, n. 24287 del 9.5.2001, rv. 218975 la necessità di contemperare il parametro aritmetico - costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo di cui all'articolo 315 cod. proc. pen. , comma 2, Euro 516.456,90 e il termine massimo della custodia cautelare di cui all'articolo 303 c.p.p., comma 4, lett. c , espresso in giorni sei anni ovvero 2190 giorni , moltiplicato per il periodo anch'esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita - con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto, che non può mai comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito. In più pronunce successive si è poi affermato che la liquidazione dell'indennizzo per la riparazione dell'ingiusta detenzione è svincolata da parametri aritmetici o comunque da criteri rigidi, e si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà, così sez. 4, n. 40906 del 6.10.2009, Mazzarotto, rv. 245369, che, in applicazione di detto principio, ha confermato la legittimità della liquidazione dell'indennizzo per l'ingiusta detenzione effettuata tenendo conto non soltanto dei parametri aritmetici, ma anche delle sofferenze morali patite e della lesione della reputazione conseguente allo strepitus fori conf. sez. 4 n. 34857 del 17.6.2011, Giordano, rv. 251429 sez. 4, n. 46772 del 24.10.2013, Marinkovic, rv. 257635 . In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, nel liquidare l'indennità, dunque, il giudice è vincolato esclusivamente al tetto massimo normativamente stabilito, che non può essere superato, ma non anche al parametro aritmetico fondato su tale limite, individuato dalla giurisprudenza per determinare la somma dovuta per ogni giorno di detenzione sofferto. Tale meccanismo offre, perciò, solo una base di calcolo, che deve essere maggiorata o diminuita con riguardo alle contingenze proprie del caso concreto, pur restando ferma la natura indennitaria e non risarcitoria dell'istituto sez. 4, n. 23319 del 13.5.2008, Zaccagni, rv. 240302 . In altra pronuncia di questa Corte Suprema si è, perciò, precisato che il riferimento al criterio aritmetico - che risponde all'esigenza di garantire un trattamento tendenzialmente uniforme, nei diversi contesti territoriali - non esime il giudice dall'obbligo di valutare le specificità, positive o negative, di ciascun caso e, quindi, dall'integrare opportunamente tale criterio, innalzando ovvero riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione più equa possibile e rispondente alle diverse situazioni sottoposte al suo esame sez. 4, n. 34857 del 17.6.2011, Giordano, rv. 251429 . È stata, a titolo esemplificativo, ritenuta inadeguata la liquidazione dell'indennità per la riparazione dell'ingiusta detenzione di breve durata, patita da soggetto incensurato, che si era fondata esclusivamente sul mero ragguaglio tra i giorni di privazione della libertà e il parametro medio giornaliero, potendo quest'ultimo essere integrato mediante il ricorso a parametri sensibilmente superiori a quelli standard purché non si sfondi il tetto massimo della somma erogabile sez. 4, n. 10123 del 17.11.2011, Amato, rv. 252026 . Dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto presente, è costituito, pertanto, dal parametro aritmetico individuato, alla luce dei criteri sopra indicati, nella somma di Euro 235,82 per ogni giorno di detenzione in carcere ed in quella di Euro 120, 00 per ogni giorno di arresti domiciliari, in ragione della ritenuta minore afflittività della pena . Siffatto parametro non è vincolante in assoluto ma, raccordando il pregiudizio che scaturisce dalla libertà personale a dati certi, costituisce certamente il criterio base della valutazione del giudice della riparazione, il quale, comunque, potrà derogarvi in senso ampliativo purché nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge oppure restrittivo, a condizione però che, nell'uno o nell'altro caso, fornisca congrua e logica motivazione della valutazione dei relativi parametri di riferimento. 3. È peraltro consolidata anche la giurisprudenza secondo cui, in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, il giudice, nel far ricorso alla liquidazione equitativa, deve sintetizzare i fattori di analisi presi in esame ed esprimere la valutazione fattane ai fini della decisione, non potendo il giudizio di equità risolversi nel merum arbitrium , ma dovendo invece essere sorretto da una giustificazione adeguata e logicamente congrua, così assoggettandosi alla possibilità del controllo da parte dei destinatari e dei consociati, sez. 4, n. 1744 del 3.6.1998, Laci, rv. 211646, fattispecie di annullamento con rinvio dell'ordinanza che aveva determinato l'equo indennizzo per 11 giorni di detenzione in lire 400.000, senza dar in alcun modo conto di tale determinazione conf. sez. 4, n. 2826 del 14.10.1998 dep. 21.1.1999, Min. Tesoro in proc. Bosco, rv. 212303 . Ebbene, se questo è l'univoco quadro giurisprudenziale di riferimento, ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato ne abbia fatto buon governo e pertanto sia immune da censure. Ancorché con motivazione sintetica il giudice della riparazione motiva sul fatto che, quanto alle voci aggiuntive di danno, del tutto genericamente dedotte, le stesse sono da intendersi ricomprese nel normale standard riparatorio. Corretto è l'enunciato del provvedimento impugnato ove si rileva che l'intera riflessione della difesa - svolta tutta sul piano teorico - sul danno esistenziale non tiene conto dei recenti approdi negativi sul tema da parte della più accreditata giurisprudenza civile di questa Corte di legittimità, che nega spazio alla parcellizzazione delle voci di danno, invitando ad effettuare una valutazione il più possibile unitaria. Viene rilevato sul punto come non sia specificato il tipo di ripercussione sulla vita di relazione, su cui fondare pretese ulteriori di indennizzo e come, in ogni caso — a parte il fatto che nei giudizi di riparazione dell'ingiusta detenzione non è in rilievo l'aspetto risarcitorio puro, essendo stato più volte ribadito trattarsi di mera riparazione indennitaria, la difesa si fosse prodigata in affermazioni di principio, senza preoccuparsi affatto di dimostrare in concreto quali ulteriori aspetti meritassero attenzione nell'esame della specifica posizione del proprio assistito, facendo riferimento a dati astratti e generici, quali a le possibilità lavorative sfumate rispetto alle quali il giudice della riparazione evidenzia che non sono specificate e nemmeno documentata la precedente attività lavorativa svolta dal N. , né il titolo professionale posseduto b la detenzione in regime di alta sicurezza impeditivo di facilitazioni dato irrilevante, nel caso di custodia cautelare, rispetto al c.d. definitivo c lo strepitus fori condizione priva di autonoma rilevanza, normalmente ricompresa nello standard riparatorio . 4. Ritiene il Collegio che un'attenzione particolare vada riservata alla questione oggi riproposta ove si denuncia vizio motivazionale del provvedimento impugnato in relazione alle sofferenze del padre detenuto in relazione alla malattia del figlio. Ebbene, va rilevato che alla pur sintetica motivazione offerta dal giudice della riparazione sul punto fa da riscontro in atti a l'assenza di una specifica richiesta nella domanda di riparazione che, in larga parte, è un collage di giurisprudenza di questa Corte, e a cui il ricorrente si limita ad allegare la relazione psicologica di cui si dirà b l'assenza di una vera e propria malattia in capo al figlio di 8 anni del N. . Ed invero, dalla relazione psicologica della psicologa psicoterapeuta dr.sssa P.L. del 29.5.2013, allegata all'istanza di equa riparazione emerge soltanto un generico disagio del bambino - che viene descritto come distratto a scuola e a disagio quando la madre si allontana. Sul versante del genitore sottoposto a misura cautelare - la cui conoscenza di questi disagi del figlio non è stata nemmeno documentata - si tratta, evidentemente, di qualcosa che non può essere assimilata ad una malattia tale da ingenerare una sofferenza autonomamente indennizzabile. E nemmeno pare esservi un chiaro nesso con la carcerazione del padre. Né sarebbe stata richiedibile - come correttamente evidenziato dal giudice della riparazione - l'indennizzo per l'allegata esistenza di conseguenze lesive della salute subite direttamente dal figlio, risultando preliminare e assorbente il rilievo della carenza di legittimazione attiva in capo al ricorrente rispetto ai danni subiti da terzi estranei al procedimento cfr. sez. 4 n. 17013 del 07/11/2007, dep. 2008, Pinnelli, non massimata sez. 4, n. 4654/2015 DE Caro Nicola, non massimata . Va ribadito, tuttavia, che, in ogni caso, sia sul versante del padre che su quello del figlio, tali danni risultano sprovvisti di alcun supporto probatorio che consenta di apprezzarne, oltre che la natura e l'entità, anche la riconducibilità causale alla detenzione del ricorrente. 5. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Ritiene il Collegio che giusti motivi, tenuto conto della genericità delle argomentazioni svolte nella depositata memoria, inducano a compensare le spese di giudizio nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali spese compensate tra le parti.