Il giudice di legittimità controlla che il materiale probatorio sia stato valutato in modo prognostico

L’unico controllo della motivazione della sentenza di non luogo a procedere consentito in sede di legittimità concerne la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione degli elementi acquisiti dal p.m

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 44835, depositata il 9 novembre. Il fatto. Il gip del Tribunale di Udine dichiarava non doversi procedere nei confronti di due medici cardiologi per non aver commesso il fatto a loro ascritto omicidio colposo , osservando che ad essi non potesse ascriversi alcuna colpa, per non aver disposto un consulto chirurgico-vascolare, atteso che al momento del loro intervento si versava in una fase ancora precoce del decorso che ha portato alla morte della paziente. Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica, denunciando con un unico motivo violazione di legge e vizio motivazionale, rilevando che il gip, con la sentenza impugnata, ha superato i limiti cognitivi propri dell’udienza preliminare. L’ambito funzionale dell’udienza preliminare. I giudici di legittimità, nel valutare il ricorso, ritengono che il giudice ha posto a fondamento della decisione valutazioni che risultano conferenti rispetto alla regola di valutazione propria dell’udienza preliminare, come delineata dal diritto vivente. Nell’affermare ciò, i giudici ricordano come la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di chiarire l’ambito funzionale dell’udienza preliminare sostenendo che la regola di valutazione che deve osservare il giudice consiste nella prognosi di non evoluzione del materiale probatorio lo scrutinio del merito demandata al giudice dell’udienza preliminare, cioè, volgendo a soddisfare un ruolo processuale deve raccordarsi con l’implausibilità di connotazioni evolutive del materiale di prova raccolto. In questo modo, il giudice dell’udienza preliminare deve effettuare un apprezzamento critico del compendio probatorio, nella prospettiva di una valutazione prognostica circa la possibile evoluzione del materiale di prova raccolto, tale da giustificare il rinvio a giudizio dell’imputato. Controllo della motivazione della sentenza di non luogo a procedere in sede di legittimità. Aggiungono, poi, che l’unico controllo della motivazione della sentenza di non luogo a procedere consentito in sede di legittimità concerne la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione degli elementi acquisiti dal p.m Nel caso di specie, dunque, dall’esame della sentenza impugnata discende che il gip si è correttamente attenuto ai principi sopra riportati in merito alla posizione dei due medici. L’analisi del materiale probatorio e l’esposizione dei motivi che hanno indotto il giudice al proscioglimento degli imputati, impedisce di prender conto degli argomenti svolti dal ricorrente perché risultano formulati con richiesta di rivisitare il contenuto degli atti. Per tali ragioni, la S.C. ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 ottobre – 9 novembre 2015, n. 44835 Presidente Romis – Relatore Montagni Ritenuto in fatto 1. Il G.i.p. presso il Tribunale di Udine, con sentenza ex art. 425 cod. proc. pen., resa in data 24.02.2015, dichiarava non doversi procedere nei confronti di D.M. e T.S. , per non aver commesso il fatto. Ai prevenuti si contesta, quali medici cardiologi in servizio nel pomeriggio del giorno 23.10.2012, presso il reparto Cardiologia dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine, in cooperazione con B.G. , medico ecografista e F.C. , medico di guardia nella notte tra il omissis , presso la predetta Azienda Ospedaliera, ovvero mediante condotte indipendenti, di aver cagionato per colpa la morte della paziente I.V. , avvenuta alle 19.55 del omissis . In particolare, secondo l'assunto accusatorio, allorché I.V. , dopo essere stata sottoposta ad esame coronarografico, nella mattina del omissis , ed essere stata ricondotta nel reparto di Cardiologia alle ore 12.00, manifestava il progressivo peggioramento delle sue condizioni, a partire dalle ore 16.00, con importante anemizzazione rilevabile già dai primo controllo ematochimico eseguito sei ore dopo la coronarografia, omettevano - ciascuno nell'esercizio delle rispettive funzioni - di interpretare correttamente il quadro clinico della paziente, indicativo di una emorragia conseguente alla lesione della arteria femorale comune di destra, quale complicanza della coronarografia e pure omettevano di ricorrere alle necessarie misure diagnostico-terapeutiche che, se adottate tempestivamente, avrebbero evitato lo shock metaemorragico intervenuto alle ore 7.00 del omissis e salvato la vita della paziente. Il giudicante, soffermandosi sulla successione temporale degli eventi clinici ora descritti, osservava che la condotta del cardiologo D. non presentava alcun profilo di colpa, giacché il predetto cardiologo era intervenuto nella fase iniziale e di prima manifestazione dei sintomi dell'emorragia interna, cagionata da un foro costituitosi nell'arteria femorale destra durante la procedura coronarografica. Ciò in quanto D. , nel momento in cui smontava dal turno, provvedeva ad illustrare al T. , medico che gli succedeva, la situazione clinica della I. e posto mente al fatto che gli esiti del controllo emocromo, dirimenti per l'effettuazione della diagnosi differenziale, come chiarito dalla consulenza tecnica del pubblico ministero, si resero disponibili solo dopo che D. era smontato dal turno. Analoghe conclusioni vengono svolte in sentenza, rispetto alla posizione del cardiologo T. , cardiologo di guardia con turno dalle ore 16.00 alle ore 20.30 del omissis . Con specifico riferimento al cardiologo T. , il G.i.p. osserva che, una volta acquisito il risultato dell'esame del sangue, tre le ore 19.00 e le ore 20.00, il T. dispose l'effettuazione di una ecografia urgente dell'addome, come risulta dal diario clinico. A margine di tali rilievi, il giudicante sottolinea che il comportamento del medico T. non risulta censurabile, avendo disposto correttamente un accertamento radiologico urgente ed essendo quindi smontato dal turno di guardia alle ore 20.30. Il G.i.p. considera poi che agli odierni imputati non può ascriversi alcuna colpa, per non aver disposto un consulto chirurgico-vascolare, atteso che al momento dell'intervento dei cardiologi D. e T. , si versava in una fase ancora precoce del decorso ha portato all'evento morte. 2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica di Trieste. Con unico motivo viene denunciata la violazione di legge ed il vizio motivazionale. La parte rileva che il G.i.p., con la sentenza che occupa, ha superato i limiti cognitivi propri dell'udienza preliminare, come delineati dal diritto vivente. Ciò posto, il ricorrente si sofferma dettagliatamente sui termini di fatto della vicenda clinica in esame ed osserva che nessuno dei medici che si sono occupati della I. identificò l'emorragia interna in tempo utile per salvare la vita della paziente, stimato in circa quindici ore, decorrenti dalle ore 16 del giorno omissis . Osserva che il fattore di innesco causale dell'emorragia, dato dal foro nell'arteria femorale, era agevolmente ipotizzabile e considera che erroneamente il G.i.p. ha parcellizzato la valutazione dell'operato dei sanitari, non considerando il fenomeno della successione delle posizioni di garanzia. Il Procuratore Generale ritiene che nel pomeriggio e nella serata del omissis i predetti medici omisero di effettuare la valutazione del polso all'estremità dell'arto inferiore o di verificare la presenza di soffi femorali, in modo da accertare nel più breve tempo possibile, le cause dei disturbi presentati dalla Paziente. D.M. , a mezzo del difensore, ha depositato memoria, chiedendo il rigetto del ricorso proposto dal Procuratore Generale. T.S. , a ministero del difensore, ha del pari depositato memoria chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso della parte pubblica, o comunque il rigetto. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. Deve considerarsi che il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Udine ha posto a fondamento della decisione oggi impugnata valutazioni sulla conducenza del compendio probatorio a sostenere l'accusa nel giudizio di merito, che risultano conferenti rispetto alla regola di valutazione propria dell'udienza preliminare, come delineata dal diritto vivente. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito l'ambito funzionale dell'udienza preliminare, affermando che la regola di valutazione che deve osservare il giudice consiste nella prognosi di non evoluzione del materiale probatorio lo scrutinio del merito demandato al giudice della udienza preliminare, cioè, volgendo a soddisfare un ruolo processuale - tale essendo, infatti, la natura dell'epilogo decisorio sentenza che, per l'appunto, si definisce di non luogo a procedere , ovvero decreto che dispone il giudizio che contrassegna l'esito al quale tende l'udienza preliminare - deve raccordarsi con l'implausibilità di connotazioni evolutive del materiale di prova raccolto Cass., Sez. 2, sentenza n. 14034 del 18 marzo 2008, Rv. n. 239514 conforme Cass. Sez. 2, sentenza n. 45046 del 3.12.2008 . In tale ambito ricostruttivo, il giudice dell'udienza preliminare deve effettuare un apprezzamento critico del compendio probatorio, nella prospettiva di una valutazione prognostica circa la possibile evoluzione del materiale di prova raccolto, tale da giustificare il rinvio a giudizio dell'imputato. Si è pure chiarito che, in sede di legittimità, il controllo sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere, ex art. 606, comma primo, lett. d o lett. e , cod. proc. pen., non può avere per oggetto gli elementi acquisiti dal P.M., ma solo la giustificazione adottata dal giudice nel valutarli, e quindi la riconoscibilità del criterio prognostico adottato per escludere che l'accusa sia sostenibile in giudizio Cass. Sez. 6, Sentenza n. 35668 del 28/03/2013, dep. 28/08/2013, Rv. 256605 . L'unico controllo della motivazione della decisione negativa del processo, qual è la sentenza di non luogo a procedere , ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e , consentito in sede di legittimità, concerne, cioè, la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d'insieme degli elementi acquisiti dal pubblico ministero. Diversamente opinando, infatti, si giungerebbe ad attribuire al giudice di legittimità uno scrutinio attinente - in realtà - al merito, in quanto anticipatorio delle valutazioni sulle prove da assumere. 2. E bene, nel caso di specie, l'esame della sentenza impugnata dimostra che il G.i.p., in riferimento alla posizione dei medici cardiologi D. e T. , si è attenuto ai principi di diritto sopra indicati. In particolare, l'analisi del materiale probatorio e l'esposizione dei motivi che hanno indotto il G.i.p. al proscioglimento degli imputati per non aver commesso il fatto, impedisce di prender conto degli argomenti svolti dal ricorrente, che risultano formulati in termini di eccezione di fatto, a sostegno delle tesi accusatorie, con richiesta di rivisitare il contenuto degli atti. Ed invero, le censure in esame concernono questioni di stretto merito, attraverso le quali si intende sollecitare in sede di legittimità una inammissibile rilettura del materiale probatorio, in senso favorevole alle attese dell'accusa, mentre nessuna delle doglianze riesce a intaccare la coerenza del percorso motivazionale adottato dal giudice dell'udienza preliminare. Al riguardo, preme evidenziare che nella sentenza impugnata il giudicante ha richiamato, in termini aderenti al contenuto degli addebiti, l'oggetto della specifica contestazione elevata a carico dei cardiologi, in riferimento allo spettro di conoscenze disponibili nell'arco temporale che delimita i rispettivi turni di servizio. Sulla scorta di tali rilievi, il G.i.p. ha quindi considerato - formulando una insindacabile prognosi negativa, rispetto all'espletamento del dibattimento - che doveva escludersi alcun profilo di ascrivibilità colposa, nella condotta dei due cardiologi. Del resto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che in caso di successione di posizioni di garanzia, il principio dell'equivalenza delle cause, in riferimento alle condotte dei diversi garanti, opera nel caso in cui già il primo garante abbia violato una norma precauzionale cfr. Cass Sez. 4, Sentenza n. 27959 del 05/06/2008, dep. 09/07/2008, Rv. 240519 e come chiarito, nel caso di specie il giudicante ha escluso la sussistenza di alcun profilo di ascrivibilità colposa della condotta, posta in essere da ciascuno dei medici che presero in cura la paziente, nel pomeriggio del 23.10.2012, giacché costoro disposero i controlli e gli accertamenti doverosi, ai fini di una corretta formulazione della diagnosi. 3. Si impone, per quanto detto, il rigetto del ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso.