Sanzioni prossime al minimo edittale: attenuazione dell'obbligo di motivazione

La Cassazione sostiene la legittimità costituzionale del c.d. concorso anomalo, ribadendo l'attenuazione dell'obbligo di motivazione per sanzioni prossime al minimo edittale.

Con la sentenza n. 44359/15, depositata il 3 novembre, gli Ermellini si esprimono su uno tra i più complessi istituti di diritto penale sostanziale. In dettaglio, approfondiscono – stimolati dalla quaestio costituzionale sottoposta alla loro attenzione – la natura della responsabilità del concorrente che, in principio, contribuiva alla realizzazione di diverso e meno grave delitto, non volendo portare a consumazione, sul piano soggettivo, quello effettivamente commesso. La Cassazione coglie l'occasione, incidentalmente, per ribadire indirizzi consolidati anche rispetto all'onere di motivazione che grava il giudicante quando s'attesti sull'irrogazione di una pena – o sull'applicazione di una diminuzione o di un aumento, per effetto di una circostanza – prossima al più favorevole estremo edittale. Il caso. L'inchiesta riguardava un omicidio, commesso da un sodalizio composto da tre soggetti, di giovane età, che avevano prestato un contributo differente all'evento il primo, quale unico esecutore materiale il secondo che, pur partecipandovi, avrebbe voluto commettere un reato meno grave e, infine, il terzo – ricorrente del caso di specie – che, pur connotando la propria azione con il medesimo elemento psicologico del secondo, risultava aver fornito all'omicida la pistola utilizzata per il crimine. Il processo, dinanzi alla Corte d'Assise d'Appello di Roma, si concludeva, nel giudizio di rinvio seguito all'annullamento della sentenza di seconde cure, con la rideterminazione della pena finale in senso più mite, per la concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 116, comma 2, c.p. già in precedenza, peraltro, i Giudici del gravame avevano riformato la prima decisione, escludendo l'aggravante della premeditazione ed assolvendo l'imputato per il delitto di occultamento di cadavere. Costui ricorre per Cassazione quindi, tramite il proprio difensore di fiducia, sollecitando, in primis, la rimessione alla Corte costituzionale del dubbio di legittimità dell'art. 116 c.p., utilizzando come parametro l'art. 27 della Carta secondariamente, lamenta vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento, con la massima ampiezza, del beneficio delle attenuanti generiche e, per altro verso, carenze motivazionali ed erronea applicazione dell'art. 133 c.p., per la stima della pena base in misura non coincidente con il minimo edittale. La Corte – su parere conforme del Procuratore generale – rigetta integralmente il ricorso, ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale ipotizzata e condannando l'imputato al pagamento delle spese processuali, con rifusione di quelle di lite in favore della parte civile costituita. In parte motiva, dopo aver riepilogato l'articolata concatenazione dei diversi gradi del processo, la V Sezione esamina, principalmente, la struttura dell'art. 116 del codice penale, ritenendo la disposizione, anche sotto il profilo dell'elemento psicologico, perfettamente conforme a Costituzione. Spende molte meno righe, in proporzione, per giungere al rigetto dell'impugnazione, giustificando in modo chiaro e lineare, tuttavia, le ragioni che rendono infondate le doglianze riguardanti il trattamento sanzionatorio. Il c.d. concorso anomalo. Ed infatti, il perno della decisione – da un punto di vista dei principi di diritto esposti, se non altro – ruota attorno alla natura della responsabilità del concorrente, che si trovi ad essere punito malgrado non abbia voluto la consumazione del delitto che gli viene contestato. Orbene, ad avviso del Supremo Collegio, non può dirsi che la norma contrasti con il principio di personalità della responsabilità penale, posto che si tratta di reato ascritto, al concorrente che non avrebbe inteso commetterlo, a titolo di colpa, in base a 1 la mancanza di volontà del fatto diverso o più grave, che non deve essere voluto, nemmeno a titolo di dolo indiretto [] 2 l'inosservanza di regole di prudenza, consistente in una culpa in eligendo o, comunque, nell'affidarsi, per l'esecuzione del reato, anche alla condotta altrui, che sfugge al proprio dominio finalistico [] 3 la previsione o prevedibilità ed evitabilità dell'evento, accertabili in concreto, tenuto conto di tutte le circostanze [] col parametro dell' homo eiusdem professionis et condicionis . In buona sostanza, pertanto, i numerosi parametri enucleati negli anni dalla giurisprudenza di legittimità allontanano dal panorama interpretativo il rischio di configurare una vera e propria responsabilità oggettiva, confinando con sufficiente precisione la posizione del concorrente, dal punto di vista soggettivo, nel campo dell'imprudenza penalmente rilevante. Il trattamento sanzionatorio e l'onere di motivare. Ulteriore aspetto esaminato dal Collegio riguarda l'iter motivo, censurato a più riprese per la sua supposta insufficienza in punto di dosimetria punitiva. A questo proposito, dopo aver precisato come non spetti necessariamente all'imputato – che, non beneficiandone, secondo il deducente ne ricaverebbe ingiustamente un interesse ad impugnare – una sanzione prossima al minimo in astratto, o, per quanto concerne eventuali circostanze attenuanti, ottenerne il massimo beneficio, la Corte chiarisce – citando una serie di precedenti a conforto di tale ricostruzione – come, rispetto alle pene principali, non sia necessaria una motivazione analitica ogni qual volta la scelta risulta contenuta in una fascia medio-bassa rispetto al compasso edittale e, riguardo le attenuanti, non sussiste alcun obbligo di argomentare la mancata operatività della massima diminuzione possibile. In concreto, d'altro canto, era presente uno specifico elemento fattuale – la disponibilità e la successiva consegna dell'arma – reputato sintomatico di una maggiore capacità a delinquere e tale da fornire una valida giustificazione, immune da vizi logici, dell'operato della Corte territoriale. Conclusioni. La decisione in commento, pur non caratterizzandosi per l'innovatività delle posizioni adottate, risulta decisamente interessante, per l'approfondita disamina di un tema ostico anche a chi abbia confidenza con il diritto penale. Sotto questo profilo, l'Estensore spiega in modo convincente le ragioni che la sostengono, fornendo una direttrice chiara per analizzare le più complesse fattispecie plurisoggettive ed una serie di indicazioni che potranno orientare, all'occorrenza, anche il giurista pratico.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 marzo – 3 novembre 2015, n. 44359 Presidente Bruno – Relatore Guardiano Fatto e diritto Con sentenza pronunciata il 13.3.2014 la corte di assise di appello di Roma, giudicando in sede di rinvio ex art. 627, c.p.p., in parziale riforma della sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Tivoli, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato S.M. alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia in relazione ai reati di omicidio aggravato dalla premeditazione in danno di O.S. , materialmente commesso da I.N., ma attribuito a titolo di concorso anche al ricorrente ed al correo D.N. di detenzione e porto di una pistola cal. 6,35 e di occultamento di cadavere, sentenza già riformata dalla prima sezione della corte di assise di appello di Roma che, in data 23.2.2012, aveva escluso l'aggravante della premeditazione ed aveva assolto l'imputato dal delitto di cui all'art. 412, c.p., rideterminava in senso più favorevole al reo il trattamento sanzionatorio, riconoscendo in suo favore la circostanza attenuante di cui all'art. 116, co. 2, c.p., confermando nel resto la sentenza impugnata. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, sollecitando, innanzitutto, la rimessione al Giudice delle leggi, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 116, c.p., in relazione all'art. 27 ed all'art. 3, Cost., ad avviso del ricorrente manifesta , in quanto cfr. pp. 1-2 del ricorso l'istituto del concorso anomalo viene inteso quale mera circostanza attenuante di un reato più grave nei confronti del quale manca qualsiasi apporto psicologico doloso diretto o indiretto a titolo di dolo eventuale . Il ricorrente, in particolare, attraverso una analitica ricostruzione della giurisprudenza di legittimità sull'art. 116, c.p., evidenzia come la ricostruzione dell'istituto offerta dalla interpretazione della Suprema Corte, contrasti con il principio per cui la responsabilità penale è personale, perché in definitiva, il concorrente nolente è chiamato a rispondere di un fatto altrui il cui verificarsi egli non ha voluto, né direttamente, né a titolo di dolo eventuale, ma a titolo di mancata previsione, cioè a titolo di colpa. Il ricorrente lamenta, inoltre, vizio di motivazione sulla determinazione del trattamento sanzionatorio con riferimento, in particolare, alla individuazione della pena-base per il reato più grave, ai fini dell'applicazione della disciplina del reato continuato, fissata nella misura di anni ventidue di reclusione, ed alla mancata considerazione di elementi favorevoli al reo, in violazione dell'art. 133, c.p., nonché con riferimento alla mancata applicazione della riduzione di pena conseguente alla concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione possibile, apparendo contraddittorio, sotto quest'ultimo profilo, ritenere che la posizione del S. sia simmetrica a quella del correo D.N., in ordine alla partecipazione fattuale e psichica all'omicidio, salvo poi reintrodurre una differenziazione della condotta, che si riverbera sull'entità della pena più grave di quella inflitta al D.N. , in base al presupposto che il S. abbia consegnato la pistola all'esecutore materiale, lo I. , trattandosi, invece, di un'arma di cui l'imputato aveva la materiale disponibilità solo perché casualmente rinvenuta, circostanza di cui aveva informato gli amici e che aveva fondato la richiesta dello I. di consegnargliela in vista dell'incontro con l'O. . 3. Il ricorso non può trovare accoglimento. 4. Con particolare riferimento alla questione di legittimità costituzionale di cui si sollecita la rimessione, prescindendo dal rilevare che la richiesta del ricorrente appare priva dei requisiti minimi di determinatezza, con particolare riferimento ai profili in cui consisterebbe la violazione del parametro costituzionale di cui all'art. 3, Cost., ed agli esatti termini in cui il quesito di legittimità dovrebbe essere articolato cfr. Cass., sez. I, 15.12.1999, n. 1712, rv. 215289 , essa appare manifestamente infondata. Come rilevato dallo stesso ricorrente la Corte Costituzionale, già con la sentenza n. 42 del 13 maggio del 1965, nel ritenere infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 116, c.p., in riferimento all'art. 27, primo comma, della Costituzione, ha affermato il principio secondo cui la responsabilità del compartecipe per fatto diverso o più grave di quello voluto, sancita dall'art. 116, c.p., si fonda non solo su un rapporto di causalità materiale, ma anche su un rapporto di causalità psichica, nel senso che il reato diverso o più grave commesso del concorrente deve rappresentarsi alla psiche dell'agente come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto. Alla luce di tale principio, che esclude l'imputazione al concorrente del reato diverso e più grave a titolo di responsabilità oggettiva per fatto altrui, va letta l'elaborazione interpretativa della giurisprudenza di legittimità, che, ormai, risulta stabilmente attestata nella ricostruzione della responsabilità del compartecipe per il fatto diverso o più grave rispetto a quello concordato, materialmente commesso da un altro concorrente, a titolo di concorso anomalo ex art. 116, c.p., quando l'agente, pur non avendo in concreto previsto e accettato il rischio della commissione del fatto diverso o più grave in qual caso egli ne risponderà a titolo di concorso ordinario di persone nel reato ex art. 110, c.p. , avrebbe potuto rappresentarselo come sviluppo logicamente prevedibile dell'azione convenuta facendo uso, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, della dovuta diligenza, dovendosi effettuare la prognosi postuma sulla prevedibilità del diverso reato commesso dal concorrente in concreto, valutando la personalità dell'imputato e le circostanze ambientali nelle quali si è svolta l'azione cfr, ex plurimis, Cass., sez. I, 15.11.2011, n. 4330, rv. 251849 Cass., sez. II, 14.11.2014, n. 49486, rv. 261003 Cass., sez. V, 18.6.2013, n. 34036, rv. 257251 Cass., sez. Ili, 3.4.2013, n. 44266, rv. 257614 Cass., sez. V, 8.7.2009, n. 39339, rv. 245152 . In questa condivisibile prospettiva la causalità psichica individuata dalla Corte Costituzionale come elemento costitutivo della responsabilità ex art. 116, c.p., va ricondotta al paradigma della colpa, di cui, come è stato opportunamente evidenziato dai contributi della dottrina, sussistono tutti i requisiti ed, in particolare 1 la mancanza di volontà del fatto diverso o più grave, che non deve essere voluto, nemmeno a titolo di dolo indiretto indeterminato, alternativo o eventuale cfr. Cass., sez. II, 14.11.2014, n. 49486, rv. 261003 2 l'inosservanza di regole di prudenza, consistente in una culpa in eligendo o, comunque, nell'affidarsi, per l'esecuzione del reato, anche alla condotta altrui, che sfugge al proprio dominio finalistico e sulla quale non si può esercitare quel controllo che, invece, è possibile esercitare sulla propria condotta, per evitare, almeno entro certi limiti, la causazione di fatti offensivi non voluti 3 la previsione o prevedibilità ed evitabilità dell'evento, accertabili in concreto, tenuto conto di tutte le circostanze che accompagnano l'azione dei concorrenti e col parametro dell' homo elusdem professionis et condicionis. Così configurata la responsabilità ex art. 116, co. 1, c.p., appare manifesta l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente, posto che la responsabilità a titolo di colpa non può certo ritenersi una responsabilità per fatto altrui e, quindi, in contrasto con la previsione dell'art. 27, co. 1, Cost 5. Del pari non colgono nel segno gli ulteriori rilievi difensivi volti a contestare l'entità del trattamento sanzionatorio. La corte territoriale, nel qualificare come anomalo, ai sensi dell'art. 116, c.p., il concorso del S. nell'omicidio dell'O. , materialmente commesso dallo I. , al pari del contributo fornito dal coimputato D.N. , in ciò adempiendo al dictum della sentenza di annullamento con rinvio pronunciata sul punto dalla Suprema Corte, ha rideterminato in senso più favorevole al reo il trattamento sanzionatorio, partendo da una pena base di ventidue anni di reclusione, che venivano ridotti, prima, per effetto delle circostanze attenuanti generiche, ad anni quindici di reclusione e, poi, ex art. 116, co. 2, c.p., ad anni dieci di reclusione, per essere aumentata, in applicazione della disciplina del reato continuato, alla pena di anni dodici di reclusione, e definitivamente ridotta, per la scelta del giudizio abbreviato, alla pena finale di anni otto di reclusione. La corte di assise di appello ha motivato la scelta del trattamento sanzionatorio, facendo riferimento ai criteri indicati nell'art. 133, c.p., ed ha esplicitato, altresì, le ragioni per cui ha ritenuto di non applicare in favore del S. la massima riduzione di pena consentita in conseguenza del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, individuandole nella circostanza che a consegnare allo I. la pistola con cui quest'ultimo uccise l'O. , fu proprio il ricorrente, che ne aveva la materiale disponibilità. Orbene siffatto argomentare è immune da censure. Al riguardo si osserva, innanzitutto, che, come affermato dalla consolidata e prevalente giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittali rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, qualora il giudice abbia adempiuto all'obbligo di motivazione, il quale, però, si attenua nel caso in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor di più, nel caso in cui, come quello in esame, la pena sia applicata in misura prossima al minimo, in tal caso bastando anche il richiamo a criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., tanto più se si consideri che l'applicazione del minimo edittale non è correlata a un diritto assoluto dell'imputato, cfr. Cass., sez. IV, 25/09/2007, n. 44766, G. . Pertanto non è nemmeno necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta, in una fascia medio-bassa rispetto alla pena edittale cfr. Cass., sez. IV, 14/07/2010, n. 36358, T.V. Cass., sez. IV, 05/11/2009, n. 6687, C. e altro Cass., sez. III, 08/10/2009, n. 42314, E. . A tali principi appare conforme la decisione della corte territoriale, che, nell'individuare come pena-base per il delitto di omicidio volontario quella di ventidue anni di reclusione, non si è discostata in misura eccessiva dal minimo edittale, previsto dall'art. 575, c.p., nella misura di ventuno anni di reclusione, per cui il relativo onere motivazionale può ritenersi adempiuto con il semplice riferimento operato dalla corte alla effettuata valutazione dei criteri indicati nell'art. 133, c.p. . Infondata è anche la censura relativa all'entità della diminuzione applicata in conseguenza del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Premesso che, per costante insegnamento della Suprema Corte, da cui questo Collegio non intende discostarsi, allorché il giudice, concessa un'attenuante, diminuisca la pena in una misura prossima al massimo consentito dalla legge, come nel caso in esame, non ha l'obbligo di motivare espressamente le ragioni per le quali la pena non è stata diminuita nella misura massima cfr. Cass., sez. II, 11/02/2010, n. 18159 Cass., sez. II, 22/11/1995, n. 1490 , non può non rilevarsi che, comunque, la corte di assise di appello ha individuato in uno specifico elemento fattuale la disponibilità dell'arma in capo al S. , che la consegnava, su sua richiesta, all'autore materiale dell'omicidio l'ostacolo all'applicazione della riduzione massima di pena conseguente al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in quanto sintomo di una apprezzabile capacita a delinquere dell'imputato, che, dunque, differenziando, sotto questo profilo, la sua personalità da quella del correo D.N. , giustifica in maniera non irrazionale, né contraddittoria, la determinazione, in misura inferiore a quella massima consentita dalla legge, della riduzione di pena cfr. Cass., sez. V, 06/10/2004, n. 45423 . Le censure difensive sull'entità del trattamento sanzionatorio, che, peraltro, a ben vedere, appaiono in realtà soprattutto concentrate su profili di merito, di cui non è consentito lo scrutinio in sede di legittimità, con particolare riferimento agli elementi favorevoli al reo come, ad esempio, l'incensuratezza , che, ad avviso del ricorrente, la corte territoriale avrebbe dovuto adeguatamente considerare, vanno, pertanto, tutte rigettate. 6. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell'interesse del S. va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, giusto il disposto dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonché alla rifusione, in favore della parte civile costituita delle spese del presente giudizio di legittimità, che, ai sensi del decreto del Ministro della Giustizia 20 luglio 2012 n. 140, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, si fissano in complessivi Euro 2000,00, oltre accessori come per legge. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore della parte civile, liquidate in complessivi Euro 2000,00, oltre accessori di legge.