Condizioni precarie nelle patrie galere, ma si registrano miglioramenti: ‘via libera’ all’estradizione

Respinte le obiezioni mosse da un cittadino colombiano, condannato nel suo Paese d’origine a quasi trentacinque anni di carcere per omicidio volontario. Confermata l’estradizione in Colombia. Decisiva la documentazione che certifica i passi avanti compiuti nella gestione delle strutture penitenziarie.

Situazione precaria nelle carceri colombiane. Ma, pian piano, si stanno attenuando i problemi provocati dalla situazione di sovraffollamento e dalle carenti condizioni igieniche. Ciò legittima il ‘via libera’ alla estradizione dall’Italia del cittadino colombiano, condannato in patria per omicidio Cass., sentenza n. 43957/2015, Sesta Sezione Penale, depositata oggi . Carcere. Condanna pesantissima, nel Paese d’origine, per il cittadino colombiano attualmente collocatosi in Italia trentaquattro anni e cinque mesi di reclusione per omicidio volontario e porto abusivo di armi . Consequenziale è la richiesta di estradizione da parte delle autorità della Colombia. Richiesta ritenuta legittima dai giudici della Corte d’Appello. Inevitabile, quindi, l’approdo alle patrie galere per l’uomo. Che, però, contesta la decisione, richiamando le precarie condizioni delle carceri colombiane. Su questo punto, in particolare, l’uomo fa riferimento a sovraffollamento, carenze sanitarie e, allo stesso tempo, alla possibilità che i penitenziari siano ‘gestiti’ da ex terroristi delle ‘Farc’ attualmente detenuti. Estradizione. Chiara la linea di pensiero proposta dal cittadino colombiano egli, una volta estradato, potrebbe essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, o, comunque, ad atti costituenti violazione dei diritti umani fondamentali . Tale pessimistico quadro, però, viene ritenuto non corretto dai giudici della Cassazione. Riferimento decisivo è il ‘Rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America sulle pratiche in materia di diritti umani in Colombia . Dalla documentazione emerge che la situazione di sovraffollamento e di carenti condizioni igieniche è in costante miglioramento , grazie all’ impegno delle autorità colombiane . Allo stesso tempo, lo stato delle carceri è sottoposto a monitoraggio indipendente e i detenuti hanno libero e costante accesso all’autorità giudiziaria a cui possono presentare agevolmente denunce coll’assistenza del difensore civico e di associazioni non governative . E, peraltro, è operativo e regolarmente aggiornato un sistema di registrazione elettronica dei detenuti , che possono ricevere visite da familiari e conoscenti . Tutto ciò, concludono i giudici tirando le somme, permette di valutare il sistema carcerario colombiano come non affetto da disfunzioni tali da far ritenere fondato il rischio di trattamenti inumani e di violazioni dei diritti fondamentali della persona . Consequenziale è la conferma del ‘via libera’ all’estradizione del cittadino colombiano dall’Italia.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 settembre – 30 ottobre 2015, n. 43957 Presidente Agrò - Relatore Mogini Ritenuto in fatto 1. R.E.W. ricorre per mezzo dei proprio difensore avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte d'Appello di Bologna ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per l'estradizione del ricorrente verso la Colombia. La richiesta di estradizione colombiana riguarda l'esecuzione della sentenza di condanna definitiva pronunciata nei confronti dei ricorrente dal Tribunale di Medellin per il reato di omicidio volontario e porto abusivo di armi alla pena di anni trentaquattro e mesi cinque di reclusione. 2. II ricorrente censura la sentenza impugnata lamentando a violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla circostanza che egli non è mai venuto a conoscenza né del processo, né della sentenza di condanna emessa a suo carico in primo grado e non appellata dal difensore d'ufficio , se non successivamente alla domanda di estrazione avanzata dalle autorità colombiane. L'incertezza circa la sussistenza nell'ordinamento processuale colombiano di rimedi che consentano all'imputato, che non sia stato messo nelle condizioni di conoscere l'esistenza del processo a suo carico, di impugnare la sentenza definitiva imporrebbero il diniego dell'estradizione ai sensi degli artt. 705, comma 2, lett. a c.p.p., 111 Cost. e 6 CEDU. b violazione di legge e omessa o illogica motivazione in ordine all'esistenza di un fondato rischio che, ove estradato, il ricorrente verrà sottoposto a trattamenti inumani o degradanti o comunque ad atti costituenti violazione dei diritti umani fondamentali, con riferimento alla situazione delle carceri colombiane, caratterizzate da sovraffollamento, carenze sanitarie e in alcuni casi dalla gestione dei penitenziari da parte di ex terroristi delle FARC ivi detenuti. Considerato in diritto 3. II ricorso è infondato. 3.1. In particolare infondato è il primo motivo di ricorso. Risulta infatti dalla documentazione relativa alla domanda di estradizione che all'udienza pubblica di formulazione dell'imputazione tenutasi in data 20.2.2013 dinanzi al giudice 41 Penale Municipale con funzione di controllo di garanzie di Medellin, l'imputato - attuale ricorrente - era rappresentato dal proprio difensore di fiducia difensore contrattuale . Priva di fondamento è dunque la pretesa dei ricorrente di non essere stato a conoscenza del processo a suo carico e dell'imputazione formulata nei suoi confronti, sicché la sua posizione nel processo svoltosi in Colombia nei suoi confronti in nessun modo può essere equiparata a quella del contumace inconsapevole. Priva di un pur embrionale inizio di prova risulta dei resto l'allegazione secondo la quale il difensore di fiducia non avrebbe comunicato al R., tramite la sorella di quest'ultimo che era in contatto con il legale, la contestazione dell'accusa e il conseguente rinvio a giudizio. Ne consegue che non pertinente - e non necessario - risulta nel caso di specie ogni eventuale accertamento circa l'esistenza nell'ordinamento processuale colombiano di mezzi di impugnazione straordinari riservati al condannato ignaro senza sua colpa dell'esistenza del processo a suo carico, tale non potendosi ritenere l'attuale ricorrente. 3.2. Il secondo motivo di ricorso è pure infondato. Infatti, in tema di estradizione per l'estero, il divieto per il giudice italiano di pronunciarsi favorevolmente sull'istanza per il pericolo che l'estradando subisca la violazione dei diritti fondamentali consegue non solo al regime normativo dello Stato richiedente, ma anche alla scelta di fatto delle sue Autorità, la quale ricorre quando queste si limitano ad assumere l'impegno di intraprendere le dovute iniziative per assicurare ai detenuti le condizioni necessarie a salvaguardare le minime esigenze di rispetto della dignità umana, senza però approntare in concreto misure idonee, nonostante l'ufficiale conoscenza dello stato di degrado in cui versano le strutture carcerarie del Paese Sez. 6, n. 46212 del 15.10.2013, Rv. 258082 . Risulta peraltro dal recente Rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d'America sulle Pratiche in materia di diritti umani in Colombia nel 2014 che la situazione di sovraffollamento e di carenti condizioni igieniche riscontrabile nelle carceri colombiane è in costante miglioramento per l'impegno delle autorità colombiane. Inoltre lo stato delle carceri è sottoposto a monitoraggio indipendente e i detenuti hanno libero e costante accesso all'autorità giudiziaria, alla quale possono presentare agevolmente denunce, e possono essere assistiti a loro richiesta dall'Ombudsman e da associazioni non governative. Il sistema di registrazione elettronica dei detenuti è regolarmente aggiornato e i detenuti possono ricevere visite da familiari e conoscenti. Il sistema carcerario colombiano non appare dunque affetto da disfunzioni tali da far ritenere il fondato rischio che il ricorrente verrà sottoposto, ove estradato, a trattamenti inumani o degradanti o ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona. Al rigetto dei ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. c.p.p.