E’ ricusazione se il giudice manifesta indebitamente il proprio convincimento sui fatti della causa

Il carattere indebito della manifestazione del convincimento del giudice sui fatti oggetto dell’imputazione richiede che l’esternazione venga espressa senza alcuna necessità funzionale e al di fuori di ogni collegamento con l’esercizio delle funzioni espletate nella specifica fase procedimentale.

Lo ha ricordato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 43965, depositata il 30 ottobre 2015. Il fatto. Viene proposto ricorso in Cassazione contro la sentenza con cui la Corte territoriale dichiarava inammissibile la richiesta di ricusazione del Presidente del Collegio sul presupposto che egli avesse indebitamente manifestato il proprio convincimento su fatti di causa nel corso dell’esame dei testimoni. Indebita manifestazione del giudice. La Corte di legittimità, nel giudicare il ricorso, riprende un principio ormai consolidato in giurisprudenza, in base al quale l’indebita manifestazione del convincimento da parte del giudice espressa con la delibazione incidentale di una questione procedurale rileva come causa di ricusazione solo se il giudice abbia anticipato la valutazione sul merito della cosa giudicata, ovvero sulla colpevolezza dell’imputato, senza che tale valutazione sia imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali, nonché quando essa anticipi in tutto o in parte gli esiti della decisione di merito, senza che vi sia necessità e nesso funzionale con il provvedimento incidentale adottato . L’avverbio indebitamente. Precisa, poi la Corte che, l’art. 37, comma 1, lett. B c.p.p. richiede, per la ricusazione, che il giudice abbia manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione l’avverbio indebitamente , ritiene la Corte, è stato inserito dal legislatore per caratterizzare non solo un comportamento non dovuto, ma anche ingiusto o comunque contrario alla legge. Tale avverbio richiede, in altre parole, che l’opinione sulla colpevolezza o meno dell’imputato si stata espressa dal giudice senza che vi fosse una necessità ai fini della decisione adottata e fuori da ogni collegamento o legame con l’esercizio delle sue funzioni nella specifica fase procedimentale. Nessuna ricusazione. Quindi, per la Corte i giudici dell’appello, sulla scorta di correte considerazioni, hanno giustamente escluso la configurabilità di una ipotesi di ricusazione. Nella condotta processuale del giudice, infatti, non è ravvisabile alcuna indebita manifestazione del convincimento essendosi egli limitato a svolgere le sue indagini, seppur con domande ripetute ed incalzanti, al fine di far emergere la verità dei fatti, relativi ad una complessa e delicata vicenda processuale. Per tali motivi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 settembre – 30 ottobre 2015, n. 43965 Presidente Milo – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con separati provvedimenti del 21 aprile 2015, la Corte d'appello di Potenza ha dichiarato l'inammissibilità per manifesta infondatezza delle richieste di ricusazione ai sensi dell'articolo 37, comma 1 lett. b , cod. proc. pen., presentate da P.R. e F.R. nei confronti del Presidente del Collegio del Tribunale di Potenza, sul presupposto che questi avesse indebitamente manifestato il proprio convincimento sui fatti di concussione consumata e tentata oggetto dell'imputazione sub capo D , nel corso dell'esame dei testi D.L.A. e L.D.M 2. Avverso detti provvedimenti ha presentato ricorso l'Avv. Maurizio Bellacosa, difensore di fiducia di P.R. e F.R., e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge processuale, per avere la Corte d'appello dichiarato inammissibile la richiesta di ricusazione del Presidente del Collegio in relazione alla impropria conduzione delle deposizioni testimoniali di D.L.A. e L.D.M., argomentando in relazione al solo esame della teste L. - nel corso del quale erano in effetti emerse palesi discordanze rispetto a quanto già dichiarato in indagini -, e non anche con riguardo all'esame del teste D.L., al quale non veniva fatta alcuna contestazione. 2.2. Manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all'articolo 37, comma 1 lett. a cod. proc. pen., per avere la Corte ritenuto insussistenti i presupposti per la ricusazione, sebbene il Presidente, nella conduzione dell'esame, avesse rivolto al teste D.L. ben quindici volte la stessa domanda, con ciò condizionandone le dichiarazioni e anticipando le proprie valutazioni. 2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 127 e 41, comma 1, cod. proc. pen., per omessa celebrazione dell'udienza in camera di consiglio in assenza dei presupposti per ritenere le dichiarazioni prima facie infondate. 3. Nella requisitoria scritta, il Procuratore generale Dott. Massimo Galli ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. 4. Nella memoria depositata in Cancelleria in data 24 settembre 2015, l'Avv. Maurizio Bellacosa ha insistito per l'accoglimento del ricorso presentato nell'interesse di P.R. e F.R Considerato in diritto 1. I ricorsi sono infondati in relazione a tutte le deduzioni e devono pertanto essere rigettati. 2. In linea generale, occorre porre in evidenza che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, l'indebita manifestazione del convincimento da parte del giudice espressa con la delibazione incidentale di una questione procedurale, anche nell'ambito di un diverso procedimento, rileva come causa di ricusazione solo se il giudice abbia anticipato la valutazione sul merito della res iudicanda , ovvero sulla colpevolezza dell'imputato, senza che tale valutazione sia imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali, nonché quando essa anticipi in tutto o in parte gli esiti della decisione di merito, senza che vi sia necessità e nesso funzionale con il provvedimento incidentale adottato Sez. U, n. 41263 del 27/09/2005 - dep. 15/11/2005, Falzone ed altro, Rv. 232067 . In particolare, si è precisato che l'articolo 37, comma 1, lett. b cod. proc. pen. richiede, per la ricusazione, che il giudice abbia manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione l'avverbio indebitamente non può stare semplicemente a definire un comportamento non dovuto perché, se così fosse, sarebbe superfluo è ovvio che solo i comportamenti non dovuti possono essere sanzionati , sicché deve ritenersi che tale avverbio sia stato inserito dal legislatore per caratterizzare un comportamento non solo non dovuto, ma anche ingiusto o illecito o comunque contrario alla legge Sez. 1, n. 3009 del 24/06/1993 - dep. 29/07/1993, Mellini, Rv. 195821 . L'avverbio indebitamente , che compare nella formulazione della norma di cui all'articolo 37 cod. proc. pen., richiede che l'opinione sulla colpevolezza o sull'innocenza dell'imputato sia espressa senza che ne esista necessità ai fini della decisione adottata e fuori da ogni collegamento o legame con l'esercizio delle funzioni giurisdizionali inerenti al fatto esaminato Sez. 5, n. 7792 del 16/12/2005 - dep. 06/03/2006, Assinnata, Rv. 233394 . In altri termini, il carattere indebito della manifestazione del convincimento del giudice sui fatti oggetto dell'imputazione richiede che l'esternazione venga espressa senza alcuna necessità funzionale e al di fuori di ogni collegamento con l'esercizio delle funzioni esercitate nella specifica fase procedimentale Sez. 3, n. 17868 del 17/03/2009 - dep. 29/04/2009, Nicolasi e altro, Rv. 243713 . 3. Tanto premesso in linea generale, del tutto correttamente i giudici d'appello hanno escluso la configurabilità di un'ipotesi di ricusazione. In relazione al primo ed al secondo motivo di ricorso, mette conto precisare che, pur essendo formulata la richiesta di ricusazione in relazione alle modalità di conduzione dell'esame dei testi D.L.A. e L.D.M. da parte del Presidente del Collegio d'appello, in effetti le doglianze concernono l'esame del solo D.L., rispetto al quale - ad avviso dei ricorrenti - le reiterate domande del magistrato non troverebbero giustificazione alcuna, in assenza di una qualunque contestazione delle precedenti dichiarazioni rese in indagini. 4. Così circoscritte le censure, ritiene il Collegio che non siano fondate le dedotte violazione di legge processuale e vizio di motivazione. Come congruamente rilevato dalla Corte nelle pagine 2 e 3 del provvedimento in verifica , in aderenza a quanto si legge negli estratti dei verbali di udienza riportati negli atti di ricorso, il potere presidenziale è stato esercitato correttamente, seppure con domande ripetute ed incalzanti, al fine di far emergere la verità dei fatti, relativi ad una complessa e delicata vicenda processuale, avente ad oggetto imputazioni di notevole gravità. I decidenti d'appello hanno invero evidenziato, con considerazioni puntuali ed adeguate, come il Presidente del Collegio si sia in effetti limitato ad indagare, con un puntiglio non eccessivo ma necessario - trattandosi di aspetto assolutamente fondamentale ai fini del corretto inquadramento della fattispecie -, sul reale significato e portata della frase con la quale il pubblico ufficiale si era rivolto al teste guarda che se non accetti questa offerta con l'esproprio ti daranno di meno , così da verificare la fondatezza della contestata concussione, che vede quale elemento costitutivo la minaccia nella formulazione ante riforma con L. n. 190/2012 . 5. Sulla scorta delle corrette considerazioni sviluppate dalla Corte distrettuale, risulta evidente l'infondatezza della doglianza, laddove nella condotta processuale serbata dal giudicante non è ravvisabile un'indebita manifestazione del convincimento, e ciò sotto un duplice profilo per un verso, non può ritenersi che il Presidente del Collegio, nel formulare le pur reiterate domande, abbia manifestato la propria opinione sulla colpevolezza o sull'innocenza dell'imputato o comunque operato un'esternazione sui fatti di causa anticipando in tutto o in parte gli esiti della decisione per altro verso, non può dirsi che la modalità di conduzione dell'esame da parte del magistrato fosse priva di necessità funzionale ed estranea all'esercizio delle funzioni esercitate nella specifica fase procedimentale, trovando - di contro - una specifica giustificazione nella necessità di acclarare un aspetto assolutamente determinante ai fini della decisione della causa. 6. Infine, quanto all'ultima doglianza, occorre richiamare i principi già affermati da questo Supremo Collegio secondo cui, in tema di ricusazione, solo quando la dichiarazione ricusatoria risulti prima facie infondata, si giustifica la dichiarazione di inammissibilità con la procedura de plano e senza ritardo, occorrendo, in caso diverso, e cioè ove appaia un fumus boni juris che ne giustifichi il passaggio all'esame del merito, l'adozione della procedura prevista dall'articolo 127 cod. proc. pen. Sez. 6, n. 9678 del 03/02/2003 - dep. 03/03/2003, Cortina ed altri, Rv. 223974 . Le argomentazioni sviluppate dalla Corte a sostegno della ritenuta manifesta infondatezza delle richiesta di ricusazione del Presidente del Collegio d'appello, come sopra disaminate, rendono pertanto del tutto legittimo il rigetto de plano. 7. Dal rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.