Hamburger comprati freschi e surgelati, ma senza ‘abbattitore termico’: sanzionata la titolare del bar

Confermata l’ammenda nei confronti della proprietaria dell’esercizio commerciale. Evidente la violazione del cosiddetto ‘ordine alimentare’, che mira a garantire ai consumatori sostanze integre.

Operazione raffazzonata, quella realizzata dalla proprietaria di un bar, la quale ha pensato bene di surgelare ben 50 chilogrammi di hamburger, acquistati freschi, però non ricorrendo allo strumento necessario, cioè l’abbattitore termico. Evidente la violazione compiuta, tale da non garantire l’offerta al consumatore di prodotti alimentari in condizioni adeguate. Consequenziale, e legittima, l’ammenda decisa nei confronti della titolare dell’esercizio commerciale Cass., sentenza n. 40772/2015, Terza Sezione Penale, depositata oggi . Conservazione. Contestazioni, da parte della donna, per la decisione assunta in Tribunale, laddove è stata ritenuta acclarata la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione , ossia 50 chilogrammi di hamburger acquistati freschi all’origine e sottoposto irregolarmente a surgelazione, in assenza di abbattitore termico . Più precisamente, la titolare del bar sostiene non vi siano stati rischi concreti per la salute pubblica , ossia dei clienti dell’esercizio commerciale. Ma tale obiezione viene ritenuta non plausibile dai giudici della Cassazione, i quali ricordano che non vi è la necessità di un cattivo stato di conservazione, riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari , essendo sufficiente, invece, il riferimento al mancato rispetto delle prescrizioni normative o delle regole di comune esperienza . Ebbene, in questa vicenda è stata verificata la mancanza di un piano di controllo, di un abbattitore di temperatura e di un termometro esterno ciò è sufficiente per ritenere che gli alimenti sono stati ritenuti in cattivo stato di conservazione , proprio perché detenuti in violazione delle norme tecniche di buona conservazione . Di conseguenza, è lapalissiana, concludono i giudici, la violazione del cosiddetto ‘ordine alimentare’, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura , e tale violazione è sufficiente per sanzionare, in questo caso, la titolare dell’esercizio commerciale, non essendo necessario un concreto danno alla salute .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 maggio – 12 ottobre 2015, n. 40772 Presidente teresi – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 14 marzo 2014, il Tribunale di Torino ha - per quanto qui rileva - condannato l'imputata alla pena dell'ammenda, per il reato di cui agli artt. 5, lettera b , e 6 della legge n. 283 del 1962, perché, quale titolare di un bar, deteneva per la vendita sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione e, in particolare, 50 kg di hamburger acquistati freschi all'origine e sottoposti irregolarmente a surgelazione in assenza di abbattitore termico, con l'uso della medesima attrezzatura destinata alla conservazione il 12 febbraio 2011 . 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, un'impugnazione qualificata come appello, deducendo l'insussistenza del fatto di reato. Nel caso di specie non sarebbe stato accertato che le modalità di conservazione fossero in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o di un deterioramento. Il Tribunale avrebbe, invece, considerato il reato in oggetto come un reato di mero pericolo. Considerato in diritto 3. - L'impugnazione - trasmessa a questa Corte con ordinanza della Corte d'appello di Torino del 2 dicembre 2014 e che deve essere qualificata come ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., perché proposta contro sentenza non appellabile, ai sensi dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., in quanto recante condanna alla sola pena dell'ammenda - è infondata. La ricorrente non contesta di aver posto in essere il fatto oggetto dell'imputazione. Contesta, invece, l'affermazione del Tribunale secondo cui la fattispecie sarebbe un reato di pericolo astratto e contesta l'ulteriore affermazione secondo cui essa dovrebbe essere ritenuta sussistente anche in mancanza di rischi concreti per la salute pubblica. 3.1. - Non vi è dubbio che la prima delle affermazioni del Tribunale sia, in punto di diritto, erronea. Come è noto, la contravvenzione di cui all'art. 5, lettera b , della legge n. 283 del 1962 vieta l'impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione. Secondo le sezioni Unite di questa Corte sentenza 9 gennaio 2002, n. 443 si tratta di un reato di danno, perché la disposizione è finalizzata, non tanto a prevenire mutazioni che nelle altre parti della legge n. 283 dei 1962, art. 5, sono prese in considerazione come evento dannoso, quanto, piuttosto, a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata all'interesse del consumatore affinché il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura. Conseguentemente, si è escluso che la contravvenzione si inserisca nella previsione di una progressione criminosa che contempla fatti gradualmente più gravi in relazione alle successive lettere indicate dall'art. 5, perché, rispetto ad essi, è figura autonoma di reato, cosicché, ove ne ricorrano le condizioni, può anche configurarsi il concorso sez. 3, 17 gennaio 2014, n. 6108, rv. 258861 . 3.2. - Il secondo assunto del Tribunale - secondo cui il reato previsto dalla lettera b dell'art. 5 della legge n. 283 del 1962 può essere ritenuto sussistente anche in mancanza di rischi concreti per la salute pubblica - è invece corretto. Infatti, le sezioni unite, sempre nella decisione in precedenza richiamata, hanno anche precisato che, ai fini della configurabilità del reato, non vi è la necessità di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realìzza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza in senso conforme, sez. 3, 20 aprile 2010, n. 15094 sez. 3, 21 settembre 2007, n. 35234 sez. 3, 10 giugno 2004, n. 26108 sez. 3, 24 marzo 2003, n. 123124 sez. 4, 18 novembre 2002, n. 38513 sez. 3, 8 novembre 2002, n. 37568 sez. 3, 3 gennaio 2002, n. 5 . Più in particolare, sez. 3, 2 settembre 2004, n. 35828 ha chiarito che la natura di reato di danno attribuita dalle sezioni unite alla contravvenzione in esame non richiede la produzione di un danno alla salute, poiché l'interesse protetto dalla norma è quello del rispetto del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura. Si è inoltre affermato che è comunque necessario accertare che le modalità di conservazione siano in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento delle sostanze sez. 3, 11 gennaio 2012, n. 439 sez. 3, 13 aprile 2007, n. 15049 escludendo, tuttavia, la necessità di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile da una semplice ispezione Sez. 3^ n. 35234, 21 settembre 2007, cit. . 3.3. - Venendo al caso di specie deve rilevarsi che il Tribunale - pur non avendo espressamente richiamato tali principi giurisprudenziali e, anzi, essendosi basato sull'erronea affermazione secondo cui il reato in questione sarebbe un reato di pericolo astratto - ha però verificato in concreto la mancanza di un piano di autocontrollo, dell'abbattitore di temperatura e del termometro esterno, cosicché gli alimenti sono stati ritenuti in cattivo stato di conservazione perché detenuti in violazione delle norme tecniche di buona conservazione. E si tratta di un accertamento di fatto che - lo si ripete - non è stato oggetto di sostanziale contestazione da parte della ricorrente. Vi è stata, dunque, una violazione del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura. E tale violazione è sufficiente ad integrare il reato di danno in questione, perché - come sopra visto e come correttamente rilevato dallo stesso Tribunale - non è necessario a tal fine che vi sia un danno alla salute. 4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.