Precarietà lavorativa e reddito incostante: ciò non giustifica l’omesso mantenimento a moglie e figli

Confermata la condanna nei confronti dell’uomo tre mesi di reclusione, 260 euro di multa e risarcimento a favore della coniuge. La difficile situazione economica, testimoniata dalle difficoltà lavorative, non rende meno grave la condotta dell’uomo, che per diversi mesi ha omesso di versare l’assegno di mantenimento alla moglie e ai figli minori.

Lavoro precario, e reddito, di conseguenza, ‘a singhiozzo’. Situazione economica difficile per l’uomo. Ciò, però, non rende meno grave il fatto che egli non abbia regolarmente provveduto a versare – per ben nove mesi – l’assegno di mantenimento alla coniuge e ai figli minori. Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 39851/15 depositata oggi Mantenimento. Vicenda di facile lettura, per i giudici di merito, i quali ritengono evidente la violazione , da parte dell’uomo, degli obblighi di assistenza familiare . Egli, difatti, ha omesso di fornire il mantenimento alla coniuge e, soprattutto, ai figli minori. Ciò comporta, ovviamente, una condanna. Pena fissata in tre mesi di reclusione , con annessa multa da 260 euro . E, per chiudere il cerchio, viene anche deciso un risarcimento dei danni arrecati alla parte civile . Lavoro precario. Secondo l’uomo, però, i giudici hanno trascurato un particolare non secondario, cioè la sua difficile situazione economica. Egli spiega, nel contesto della Cassazione, di non aver voluto sottrarsi all’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento , bensì di essersi trovato nella oggettiva impossibilità di provvedervi , a causa della precarietà delle proprie condizioni di lavoro e della conseguente indisponibilità di un reddito costante nel tempo . Per completare il quadro difensivo, poi, l’uomo ricorda anche di avere provveduto all’acquisto di generi di prima necessità per la famiglia e di un mezzo di trasporto per consentire gli spostamenti dei figli . Ogni obiezione, però, si rivela inutile. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, alla luce della vicenda, è evidente la responsabilità dell’uomo. Decisivo il dato obiettivo del mancato versamento dell’assegno di mantenimento dell’importo di 600 euro mensili nell’intero arco temporale ricompreso fra l’agosto 2008 e l’aprile 2009, fatto salvo un parziale adempimento per la somma di 640 euro . Irrilevante, invece, il richiamo fatto dall’uomo allo svolgimento di attività lavorativa saltuaria . Indiscutibile il fatto che egli abbia fatto mancare, con la sua condotta, i mezzi di sussistenza alla coniuge e ai figli minorenni , non essendo la donna in grado di provvedere alle molteplici esigenze di un nucleo familiare, composto di quattro unità, con la somma di circa 400 euro, che ella riusciva a ricavare dalla propria attività lavorativa, unitamente all’importo di circa 1.600 euro complessivamente corrispostole dal Comune . Tutto ciò conduce alla conferma della condanna dell’uomo come detto, tre mesi di reclusione, 260 euro di multa e risarcimento a favore della moglie.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 settembre – 2 ottobre 2015, n. 39851 Presidente Milo – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 26 novembre 2013 la Corte d'appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza emessa l'11 gennaio 2011 dal Tribunale monocratico di Enna, che dichiarava S. G. colpevole del reato di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p., per avere omesso la prestazione dei mezzi di sussistenza al coniuge D.V. A. ed ai figli minori V., N. e S. sino all'aprile del 2009, condannandolo alla pena di mesi tre di reclusione ed euro 260,00 di multa, con il risarcimento dei danni arrecati alla parte civile. 2. Avverso la su indicata sentenza ha personalmente proposto ricorso per cassazione l'imputato, deducendo il vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p., e quello di inosservanza delle norme processuali ex art. 606, comma 1, lett. c , c.p.p., per violazione dell'art. 649 C.P.P. . Si lamenta, in particolare, che la penale responsabilità dei ricorrente è stata fondata sulle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa nel giudizio di primo grado, da considerare quali semplici illazioni non provate e non veritiere non v'è stata, infatti, alcuna volontà di sottrarsi all'obbligo di versamento dell'assegno di mantenimento, ma la oggettiva impossibilità di provvedervi in ragione della precarietà delle condizioni di lavoro e della indisponibilità di un reddito costante nel tempo. In ogni caso, il ricorrente afferma di aver provveduto all'acquisto di generi di prima necessità e di un mezzo di trasporto per consentire gli spostamenti dei propri figli. Nessun rilievo, inoltre, è stato dato alla riscontrata capacità economica della persona offesa ed alla mancanza di mezzi di sussistenza per quanto attiene ai figli minori, oltre che all'elemento soggettivo del dolo richiesto ai fini della configurabilità del reato in esame. Si afferma, infine, che i fatti in contestazione sono stati già esaminati nell'ambito di un altro procedimento penale iscritto presso il Tribunale di Enna e la Corte d'appello di Caltanissetta, avente ad oggetto una identica contestazione, ma con riferimento ad un arco temporale più ampio ricompreso fra il 30 maggio 2008 ed il 28 ottobre 2010 rispetto ai fatti per cui è processo violazione contestata sino all'aprile 2009 , con la conseguente improcedibilità ex art. 649 C.P.P. . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, in quanto sostanzialmente orientato a riprodurre un quadro di argomentazioni già ampiamente vagliate e correttamente disattese dai Giudici di merito, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, in tal guisa richiedendo, sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell'impugnata decisione. Il ricorso, dunque, non è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, né a sviluppare un adeguato confronto criticoargomentativo rispetto all'ordito motivazionale, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha linearmente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d'accusa. 2. Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza di primo grado, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella d'appello, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte distrettuale ha congruamente ed esaustivamente vagliato l'intero quadro probatorio, confutando le obiezioni mosse dalla difesa ed offrendo piena ragione giustificativa dei giudizio di attendibilità, intrinseca ed estrinseca, dei puntuale contributo narrativo offerto dalla persona offesa, non smentito da contrari elementi di prova, riguardo al dato obiettivo del mancato versamento dell'assegno di mantenimento dell'importo di euro seicento mensili dall'imputato dovuto nell'intero arco temporale ricompreso fra l'agosto 2008 e l'aprile 2009, fatto salvo un parziale adempimento per la somma di euro 640,00. Nelle loro conformi decisioni, inoltre, i Giudici di merito hanno posto in rilievo il dato oggettivo che l'imputato, benchè svolgesse attività lavorativa, sia pure in modo saltuario, ha fatto mancare con la sua condotta i mezzi di sussistenza alla coniuge ed ai tre figli minorenni, non essendo la persona offesa in grado di provvedere alle molteplici esigenze di un nucleo familiare composto di quattro unità, con la somma di circa quattrocento euro che la stessa riusciva a ricavare dalla propria attività lavorativa, unitamente all'importo di circa milleseicento euro complessivamente corrispostole dal Comune di Calascibetta nel periodo di tempo sopra considerato. 3. Sulla stregua delle rappresentate emergenze probatorie, dunque, deve ritenersi che l'impugnata pronuncia abbia fatto buon governo del quadro di principii che regolano la materia in esame, mostrandosi le notazioni dei ricorrente meramente assertive e all'evidenza infondate, ove si consideri che, in caso di mancato pagamento di quell'assegno, la tutela penale prescinde dalla prova dello stato di bisogno dell'avente diritto Sez. 6, n. 3426 del 05/11/2008, dep. 26/01/2009, Rv. 242680 e che l'incapacità economica dell'obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti fissati in sede civile, deve essere assoluta, integrando una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti Sez. 6, n. 41362 del 21/10/2010, dep. 23/11/2010, Rv. 248955 , laddove nel caso in esame, come concordemente osservato dai Giudici di merito, l'imputato non ha offerto alcuna dimostrazione di versare in una situazione di assoluta ed incolpevole indigenza, sì da rendere materialmente impossibile l'ottemperanza alle relative statuizioni civili. In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, d'altronde, incombe sull'interessato l'onere - nel caso in esame non soddisfatto - di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l'impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione, del tutto inidonee dovendosi ritenere, a tal fine, la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà Sez. 6, n. 8063 del 08/02/2012, dep. 01/03/2012, Rv. 252427 Sez. 6, n. 5751 dei 14/12/2010, dep. 15/02/2011, Rv. 249339 , così come la mera documentazione formale dello stato di disoccupazione Sez. 6, n. 7372 del 29/01/2013, dep. 14/02/2013, Rv. 254515 . 4. Conclusivamente, deve ritenersi che la Corte d'appello ha compiutamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione dei delitti oggetto dei correlativi temi d'accusa, ed ha evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto la conclusione che la ricostruzione proposta dalla difesa si poneva solo quale mera ipotesi alternativa, peraltro smentita dal complesso degli elementi di prova processualmente acquisiti. La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro probatorio linearmente rappresentato come completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logico-argomentativa. In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ed esaustiva ricostruzione del compendio storico-fattuale oggetto della regiudicanda, non può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti accertati nelle pronunzie dei Giudici di merito, dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l'iter argomentativo ivi tracciato, ed a verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle correlative acquisizioni processuali. 5. Inammissibile deve infine ritenersi, così come formulata, la su indicata eccezione di improcedibilità, che è stata per la prima volta dedotta, peraltro solo genericamente, in questa Sede, senza documentare compiutamente l'esistenza dei presupposti formali e sostanziali dell'esistenza di un precedente giudicato, laddove, come è noto, l'onere di provare il fatto processuale dal quale dipende l'accoglimento, o meno, dell'eccezione procedurale, grava proprio sulla parte che ha sollevato l'eccezione Sez. 5, n. 1915 del 18/11/2010, dep. 21/01/2011, Rv. 249048 . Deve al riguardo ribadirsi, pertanto, il principio secondo cui, in tema di ne bis in idem , la parte che eccepisce l'improcedibilità dell'azione penale per precedente giudicato ha l'onere, nel caso di specie non adempiuto, di fornire la prova della asserita identità del fatto, al fine di permettere al giudice di verificare la sussistenza delle condizioni necessarie per l'accoglimento dell'eccezione Sez. 3, n. 3217 del 23/10/2014, dep. 23/01/2015, Rv. 262012 . 6. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di euro mille. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.