Dichiarazioni dei collaboratori di giustizia: quando possono rappresentare “gravi indizi di colpevolezza”?

Ai fini dell’applicazione degli arresti domiciliari, i gravi inizi di colpevolezza possano fondarsi sulle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia nei soli limiti in cui queste risultino precise, coerenti e circostanziate e siano accompagnate da riscontro in elementi esterni, anche di natura logica, tali da rendere verosimile il contenuto della dichiarazione.

Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 39534, depositata il 1° ottobre 2015. Accordo collusivo sul ritrovamento del carico di droga. Nel caso di specie un assistente capo di polizia è stato sottoposto a procedimento penale per i reati di favoreggiamento e corruzione propria successiva. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’indagato – durante un’operazione di polizia – avrebbe nascosto ai suoi colleghi la fuga di droga manovrata dai trafficanti, per poi accordarsi con quest’ultimi sui termini di una successiva ispezione a colpo sicuro rectius a ritrovamento sicuro della quale avrebbe assunto e speso i meriti davanti ai superiori gerarchici. Detta dinamica dei fatti è stata vieppiù ricostruita in base alle deposizioni di due collaboratori di giustizia, delle quali si è servito il Giudice per le indagini preliminari per disporre la misura degli arresti domiciliari, successivamente confermata dal Tribunale della Libertà. La cedevolezza dell’impianto indiziario. A fronte del provvedimento confermativo dell’ordinanza, l’indagato si è visto costretto a rivolgersi ai giudici della Suprema Corte censurando la legittimità, sul piano motivazione, dell’apprezzamento operato dal Tribunale. In particolare, la difesa ha contestato la bontà delle dichiarazioni rese dai pentiti e l’arbitrarietà del ritenere indicativo della contiguità con gli ambienti malavitosi l’esistenza di altri procedimenti penali pendenti a carico dell’indagato. Sotto altro versante, è stata contestata l’effettiva ricorrenza del pericolo di reiterazione del reato così come l’ipotesi di inquinamento probatorio, stante da un lato, la ridetta assenza di connivenza malavitosa e, dall’altro, il trasferimento dell’indagato in altra questura. I requisiti imprescindibili delle dichiarazioni dei collaboratori. Ebbene, nel pronunciarsi sulla vicenda, gli Ermellini hanno ritenuto di accogliere le doglianze prospettate dall’indagato, per l’effetto disponendo l’annullamento dell’ordinanza cautelare impugnata. Nella succinta quanto incisiva motivazione confezionata dalla Corte, è stata rilevata la cedevolezza dell’impianto indiziario sul quale si è retta la disposta misura. Le dichiarazione dei collaboratori - secondo la Corte - non potevano assumersi da sole sufficienti a giustificare la limitazione della libertà personale. Sul punto, la Corte ha rimarcato come nella fase delle indagini preliminari, i gravi inizi di colpevolezza richiesti ai fini dell’applicazione della misura cautelare - tali da lasciar desumere la qualificata probabilità di attribuzione all’indagato del reato - possano fondarsi sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia nei soli limiti in cui queste risultino intrinsecamente caratterizzate dall’essere precise, coerenti e circostanziate , ed abbiano altresì trovato riscontro in elementi esterni, anche di natura logica, tali da rendere verosimile il contenuto della dichiarazione . Nel caso di specie, la non ricorrenza del requisito della intrinseca coerenza, precisione e completezza delle dichiarazioni, è stata tratta dall’incompletezza e imprecisione delle indagini e, soprattutto, dalla contraddittorietà stessa delle deposizioni. Colchè ordinanza da dimenticare” e rimessa in libertà dell’indagato in attesa di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 febbraio – 1 ottobre 2015, n. 39534 Presidente Mannino – Relatore Gentili Ritenuto in fatto II Gip del Tribunale di Salerno ha disposto la applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di P.B. e di quella degli arresti domiciliari nei confronti di D.B.A., Di M.R. e D.M., essendo i primi tre indagati per reati connessi alla detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti ed il quarto, oltre che per il reato di favoreggiamento nei confronti dei precedenti indagati, anche per quello di corruzione propria successiva. Sarebbe, infatti, emerso, nel corso di un'operazione di polizia consistente nella effettuazione di talune perquisizioni domiciliari eseguite, nel dicembre dei 2012, all'interno di una palazzina in Battipaglia, che, mentre alcuni operanti erano impegnati nella perquisizione di un appartamento, dal balcone di altro appartamento, ove era effettivamente custodita della droga di vario genere, il Di M., onde sottrarre lo stupefacente alla attività di ricerca della Pg, lo avrebbe calato all'interno di un borsone legato ad una corda, consegnandolo alla D.B., che si trovava in basso all'esterno della palazzina, la quale, una volta preso il borsone contenente lo stupefacente, lo avrebbe portato via. Di ciò si sarebbe avveduto, in quanto si sarebbe trovato in uno dei balconi dell'appartamento oggetto in quel momento di perquisizione, il D., assistente capo della Polizia di Stato, il quale, invece di segnalare il fatto ai suoi colleghi, avrebbe, poco dopo, preso contatto che gli appartenenti agli ambienti ove la droga era detenuta accordandosi con costoro nel senso che egli avrebbe taciuto su quanto da lui visto ed in cambio questi gli avrebbero fatto trovare dell'altro stupefacente, cosicché egli avrebbe potuto sfruttare presso i suoi superiori il positivo svolgimento di un'altra operazione di polizia. Tale ricostruzione dei fatti, é precisato dalla ordinanza applicativa della misura, risulta dalle dichiarazioni rese da tali P.P. e P. C., fratelli fra di loro, collaboratori di giustizia. Adito dagli indagati in sede di riesame, il Tribunale di Salerno, con ordinanza del 27 ottobre 2014, ha rigettato la richiesta di annullamento della ordinanza applicativa delle misure presentata dai quattro indagati. Ha proposto ricorso per cassazione avverso la ordinanza del Tribunale dei riesame il D., deducendo il vizio di motivazione della ordinanza impugnata. Le dichiarazioni accusatorie dei due collaboranti non sarebbero, infatti, riscontrate da alcun elemento, posto che lo stesso P.P. ha affermato di avere incontrato da solo il D. per stringere con lui l'accordo corruttivo. II ricorrente ha, quindi, evidenziato quelle che egli ha ritenuto essere le altre incongruenze logiche riscontrabili nella ricostruzione dei fatti operata nella ordinanza impugnata, tali da minarne il complessivo assetto argomentativo, nonché la vera e propria erroneità di talune circostanze ritenute, invece, costituenti indizi a suo carico fra queste il fatto, non rispondente al vero, che le analisi sullo stupefacente da lui rinvenuto non furono fatte eseguire a Salerno il fatto, erroneamente supposto, della esistenza di altri procedimenti penali pendenti a suo carico, ritenuto indicativo di una sua contiguità con gli ambienti della malavita e dell'asservimento ad essi della sua carica di funzionario della Polizia di Stato. Quanto alla sussistenza delle esigenze cautelare, riconducibile oltre che al pericolo di reiterazione delle condotte criminose anche a quello dell'inquinamento probatorio, il Tribunale non avrebbe considerato che non è emersa alcuna connivenza fra lui e gli ambienti della malavita tale da fare ritenere concreto il pericolo della reiterazione delle condotte mentre, per ciò che concerne l'inquinamento probatorio, osserva il ricorrente da un lato che la fonte accusatoria già si è cristallizzata nelle dichiarazioni rese dai due ricordati collaboranti e, d'altra parte, egli, trasferito alla Questura di Matera, non avendo più contatti con le forze dell'ordine interessate alle indagini sul caso in questione, non potrebbe in alcun modo incidere su di esse. Considerato in diritto Deve preliminarmente darsi atto della circostanza che avverso la medesima ordinanza ora impugnata ha presentato ricorso per cassazione anche il P.B., di tal che gli argomenti utilizzati per la decisione dell'un ricorso potranno essere oggetto di unitaria valutazione, stante la stretta connessione che caratterizza le due vicende processuali, anche in relazione alla decisione relativa al ricorso presentato dal coindagato. Essendo risultato fondato il ricorso, il medesimo deve essere accolto, col conseguente annullamento della ordinanza impugnata. Osserva, infatti, la Corte che l'intero impalcato probatorio a carico del ricorrente si sostiene esclusivamente sulle dichiarazioni accusatorie rese dai due collaboranti P.P. e P. C Al riguardo va ribadita la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale nella fase delle indagini preliminari, i gravi indizi di colpevolezza richiesti per l'applicazione di una misura cautelare, che devono essere tali da lasciar desumere la qualificata probabilità di attribuzione all'indagato del reato per cui si procede, possono fondarsi sulle dichiarazioni di collaboranti, purché queste, intrinsecamente caratterizzate dall'essere precise, coerenti e circostanziate, abbiano trovato riscontro in elementi esterni, anche di natura logica, tali da rendere verosimile il contenuto della dichiarazione Corte di cassazione, Sezione I penale, 3 maggio 2010, n. 16792 idem Sezione I penale, 14 novembre 2001, n. 40523 . Nel caso che ora interessa il Tribunale di Salerno, disattendendo i principi or ora ricordati, ha viceversa, confermato la misura cautelare disposta nei confronti dell'attuale ricorrente, non soltanto senza compiere alcuna seria verifica sulla esistenza sia dei requisito della intrinseca coerenza, precisione e completezza delle dichiarazioni accusatorie rese dai due citati collaboranti, ma, principalmente, ritenendo riscontrate le loro dichiarazioni, sebbene gli indicati riscontri fossero o smentiti come nel caso delle pretese dichiarazioni rese dalla Palladino Maria al P. e da questo riferite, ritenute confermative di quanto dichiarato da P. C. ma dalla stessa Palladino, mai sentita dagli organi inquirenti, smentite nel loro contenuto in sede di investigazioni difensive , o privi di significato effettivamente indiziario come nel caso dei rinvenimento dello stupefacente da parte dei D., ritenuto, ma sulla esclusiva base delle dichiarazioni di P.P., originato dall'esistenza di un accordo corruttivo fra questo e il D. , o, infine, frutto di una erronea percezione degli elementi investigativi come nel caso della affermazione relativa all'analisi dello stupefacente rinvenuto dal D. in data 20 gennaio 2012 e da questo sequestrato, fatta eseguire, secondo il Tribunale, non presso i laboratori di Salerno ma presso quelli di Potenza al fine di non far risultare la identità di composizione della sostanza con altra già in precedenza oggetto di attività investigativa, circostanza smentita, con il suo movente, dal fatto che, diversamente da quanto sostenuto nella ordinanza impugnata, su tale sostanza furono effettuati accertamenti analitici da parte del personale del Gabinetto provinciale della Polizia scientifica presso la Questura di Salerno . Tutti gli elementi che sono stati esposti evidenziano le severe carenze motivazionali della ordinanza impugnata in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dei ricorrente, di tal che la stessa deve, conseguentemente, essere annullata, rimanendo assorbite le censure in ordine alla sussistenza delle esigenze cauteaarì ed alla adeguatezza della misura disposta, con rinvio al Tribunale di Salerno che, in diversa composizione, riesaminerà il caso alla luce dei rilievi precedentemente esposti. P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Salerno.