Il giudice deve indicare con esattezza i criteri che determinano lo scostamento dal minimo edittale

La Cassazione si sofferma sulla possibilità per il giudice di merito di discostarsi dal minimo edittale evidenziando i limiti entro cui compiere la propria valutazione.

Potere discrezionale del giudice. Con la sentenza n. 39753 depositata il 1° ottobre 2015, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione si sofferma sulla possibilità per il giudice di merito di discostarsi dal minimo edittale evidenziando i limiti entro cui compiere la propria valutazione. In particolare, secondo gli Ermellini quanto più il giudice intenda allontanarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente quali tra i criteri, oggettivi e soggettivi, enunciati nell’art. 133 c.p., siano ritenuti rilevanti ai fini di questo giudizio. Infatti – proseguono nel loro ragionamento i giudici di Piazza Cavour -, soltanto nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen Al riguardo, come risulta pacifico in giurisprudenza, è necessario osservare che il diniego delle circostanze attenuanti generiche, che costituiscono uno strumento affidato al giudice per meglio adeguare la pena al caso concreto, in base ad una valutazione che sfugge ad una casistica predeterminata, deve essere sorretto da congrua motivazione. Peculato del notaio. Nel caso di specie, il ricorrente era stato condannato, con conferma in sede di appello, in ordine al delitto di cui all’art. 314 c.p. in quanto, in qualità di notati delegato dal giudice dell’esecuzione, avendo per ragione del suo ufficio, la disponibilità della somma complessiva di € 3.372.495, 59, se ne appropriava o comunque si appropriava degli interessi depositando le somme con notevole ritardo, anche di anni, e solo dietro diffida del giudice dell’esecuzione. Inoltre, lo stesso, in qualità di notaio delegato nell’ambito di una curatela fallimentare, avendo, per ragioni d’ufficio, la disponibilità di € 199.514, 95, provento della vendita di alcuni cespiti, se ne appropriava o comunque si appropriava degli interessi per un anno. In sede di ricorso per cassazione la difesa si doleva, tra l’altro, della dosimetria della pena, della eccessività dell’aumento per la continuazione e del diniego della concessone delle attenuanti generiche, nonostante l’incensuratezza, l’avanzata età e l’integerrima condotta professionale pregressa del ricorrente. Mancata concessione delle attenuanti generiche. Sul punto, osservano i giudici del Palazzaccio, la Corte di Appello territoriale, per quanto attiene in particolare al diniego delle attenuanti ex art. 62 bis. Cod. pen., si è limitata ad un generico riferimento alla sistematicità delle condotte, alla molteplicità delle procedure esecutive e all’entità del danno e del profitto conseguito, tacendo in ordine agli elementi che pur risultano indicati dal difensore e che avrebbero dovuto essere presi in considerazione, nell’ottica di una valutazione globale della personalità dell’imputato. Inoltre, secondo i giudici della Corte di Cassazione, per quanto concerne il quantum della pena-base, l’apparato giustificativo del decisum si esaurisce in un’apodittica quanto sommaria affermazione, secondo cui esso non appare esorbitante e non sussistono ragioni per ricondurlo al minimo edittale, senza indicare gli elementi alla base di questa valutazione. Infine, il giudice di merito nulla dice – erroneamente – sui parametri a fondamento della quantificazione dell’aumento per la continuazione. Trattamento sanzionatorio. Risulta perciò indispensabile rideterminare il trattamento sanzionatorio, anche alla luce della possibilità che gli episodi più risalenti nel tempo siano prescritti alla data della pronuncia della Corte di Cassazione. Da qui l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello territoriale.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 24 giugno – 1 ottobre 2015, n. 39753 Presidente Milo – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. L.G.ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro, in data 27-3-2014, con la quale è stata confermata la sentenza di condanna emessa in primo grado, in ordine al delitto di cui all'art. 314 cod. pen. perché A in qualità di notaio delegato dal giudice dell'esecuzione, avendo, per ragione dei suo ufficio, la disponibilità della somma complessiva di euro 3.372.495,59, se ne appropriava o comunque si appropriava degli interessi, depositando le somme con notevole ritardo, anche di anni, e solo dietro diffida del giudice dell'esecuzione B in qualità di notaio delegato nell'ambito di una curatela fallimentare, avendo, per ragioni di ufficio, la disponibilità di euro 199.514,95, provento della vendita di alcuni cespiti, se ne appropriava o comunque si appropriava degli interessi, per il periodo dal marzo 2008 al marzo 2009, mese nel quale depositava la somma, a seguito di diffida da parte dei giudice delegato. 2. II ricorrente deduce, con il primo motivo, nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio in appello, notificato mediante consegna al difensore, a norma dell'art. 161 comma 4, cod. proc. pen. in assenza dei presupposti di legge, atteso che l'imputato aveva indicato la propria residenza in Rossano , v. L. 52, e il proprio domicilio alla C/da M., 2. L'ufficiale giudiziario si è evidentemente recato in un luogo diverso, poiché ha indicato, nella relata di notifica, una sorella, in realtà estranea al nucleo familiare del ricorrente. Anche relativamente all'indicata residenza anagrafica risulta soltanto una generica informativa di un soggetto non identificato, circa l'assenza dell'imputato, che non ha pertanto avuto conoscenza dell'atto, allo stesso mai notificato. 2.1.Con il secondo motivo, si rappresenta che l'imputato era stato ammesso al rito abbreviato condizionato all'acquisizione di una serie di documenti e all'espletamento di perizia. Intervenuto un mutamento della persona fisica del giudice, il nuovo giudicante ha ammesso immotivatamente soltanto la perizia, mentre la norma consente solo l'accoglimento o il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato, senza possibilità alcuna di una ammissione parziale delle prove richieste. Nè può ritenersi giustificata l'omessa acquisizione dei documenti, stante la mancata richiesta, da parte dei ricorrente, di assunzione della prova pretermessa mediante rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello, non essendovene i presupposti. 2.2.Con il terzo motivo, si deduce errore esimente , ex art. 47, comma 3, cod. pen., poiché le somme corrisposte dai partecipanti o dagli aggiudicatari delle procedure non venivano versate al notaio in forma di deposito giudiziario ma venivano indistintamente depositate su un conto corrente bancario sul quale confluivano anche proventi privati, da parcelle od altro, e dal quale venivano effettuati pagamenti estranei alle procedure esecutive. D'altronde non erano mai stati formulati rilievi in ordine alle modalità di gestione delle deleghe da parte del notaio, che si era così convinto della liceità di esse, onde difettava la coscienza e volontà di far proprio il denaro riscosso e destinato al soddisfacimento dei creditori, a conclusione delle procedure. Analoghe considerazioni valgono per i proventi delle vendite effettuate in sede fallimentare, di cui al capo B . 2.3.Con l'ultimo motivo di ricorso, il ricorrente censura la dosimetria della pena, l'eccessività dell'aumento per la continuazione e il diniego della concessione delle attenuanti generiche, nonostante l'incensuratezza, l'avanzata età e l'integerrima condotta professionale pregressa del ricorrente, che, per anni, ha collaborato con l'autorità giudiziaria nonostante l'esiguità dei compensi, le difficoltà di lavoro e le notevoli responsabilità. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1.I1 primo motivo di ricorso è infondato. La Corte d'appello, nell'ordinanza in data 27-3 2014, con la quale è stata respinta l'eccezione, ha infatti evidenziato che l'ufficiale giudiziario ha provato ad effettuare la notificazione nel domicilio dichiarato dall'imputato, in Rossano C.da M. 2 , dove ha rinvenuto la sorella del L., la quale ha riferito che il fratello si era trasferito in luogo sconosciuto. L'ufficiale giudiziario ha allora provato ad effettuare la notifica anche presso il luogo di residenza, V. L. , 52, Rossano. Qui gli è stato riferito che l'imputato si era trasferito in C.da M Correttamente pertanto, a questo punto, la notifica è stata effettuata presso il difensore, non essendo essa risultata possibile presso il domicilio dichiarato dall'imputato. I dati riportati dalla Corte d'appello sono del tutto conformi a quanto risulta dalle relate di notifica, l'accesso alle quali è consentito al giudice di legittimità, poiché la censura si inscrive nell'ottica delineata dall'art. 606 comma i lett. c cod. proc. pen. Sez. U. 31-10-2001 , Policastro , Rv. 220092 Sez. U. 19-7-2012 n 21 , Bell'Arte . 2. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso. Correttamente, infatti, la Corte d'appello ha evidenziato che la mancata formulazione di apposita eccezione, da parte della difesa, in ordine all'omessa acquisizione dei documenti, a cui era stata subordinata la scelta del giudizio abbreviato,entro il termine della discussione finale, assume l'univoco significato di accettazione della definizione della regiudicanda allo stato degli atti fino a quel momento acquisiti o compiuti, con rinuncia a tutte le altre acquisizioni. Peraltro, rilevante è anche quanto sottolineato dal giudice a quo a proposito della mancata specificazione, nei motivi di appello, del pregiudizio al diritto di difesa derivante dalla lamentata, omessa acquisizione. Nè l'imputato ha chiesto al giudice di appello la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per acquisire la prova pretermessa. La doglianza va pertanto respinta. 3.Infondato è anche il terzo motivo di ricorso. L'errore sul precetto può assumere rilevanza sotto un duplice profilo o come errore sulla legge extrapenale, nell'ottica delineata dall'art. 47, comma 3, cod. pen. o come ignoranza inevitabile della norma penale , ai sensi dell'art 5 cod. pen. , nel testo risultante da C.Cost. 24 -3-1988 n 364 . La prima ipotesi esula dal caso di specie. In ordine all'art 47 co 3 cod. pen. , infatti , la giurisprudenza , come è noto , distingue fra norme extrapenali integratrici dei precetto che , essendo in esso incorporate , sono da considerarsi legge penale , per cui l'errore su di esse non scusa , ai sensi dell'art 5 cod. pen. e norme extrapenali non integratrici del precetto , ossia disposizioni destinate, ab origine, a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, non richiamate, neppure implicitamente, dalla norma penale. L'errore che cade su di esse esclude il dolo , generando un errore sul fatto , a norma dell'art. 47, comma 3, cod. pen. ex plurimis, Cass., Sez V 20 - 2-2001 , Martini Cass, Sez. VI , 18-11-1998 , Benanti .Orbene, le disposizioni legislative che disciplinano l'operato e i doveri dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio non hanno natura di norme extrapenali, poiché l'art. 314 cod. pen. obbligando al rispetto delle leggi e dei regolamenti, nel l'esercizio dei pubblico ufficio, recepisce le regole riguardanti l'attività dei singoli pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. Ne deriva che l'errore circa la liceità degli atti compiuti dal pubblico ufficiale non può scriminare la condotta di quest'ultimo, allorché esso si risolva in ignoranza di legge, che, pur non avendo carattere penale, sia richiamata e recepita dalla legge penale Cass., Sez 6., 16-11-1978, Bonaccorsi Sez. 6, 13-5-1975, Angeli . Nemmeno può ritenersi che , attesa anche la mancanza di rilievi da parte dei competenti organi giurisdizionali, durante un lungo lasso di tempo, si versi in un'ipotesi di ignoranza inevitabile della legge penale, giacché, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l'errore sulle norme che disciplinano l'attività dei pubblici ufficiali, in considerazione della professionalità e della preparazione che l'esplicazione della funzione di pubblico ufficiale, in generale, e di notaio, in particolare, richiede , non ha efficacia esimente Cass. 7-6-1984, Mainieri, Rv. 166703 Cass. 17 10-1997, Vitarelli . 4.Fondato è invece l'ultimo motivo di ricorso. Infatti , quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio dei proprio potere discrezionale, indicando specificamente quali tra i criteri, oggettivi e soggettivi, enunciati dall'art. 133 cod. pen., siano ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio. Solo nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art 133 cod. pen. Cass. n. 2925 del 1999, Rv. 217333 n. 28852 del 2013, Rv. 256464 . In questa prospettiva , occorre osservare come anche il diniego delle circostanze attenuanti generiche, che costituiscono uno strumento affidato al giudice per meglio adeguare la pena al caso concreto, in base a una valutazione che sfugge ad una casistica predeterminata Cass. Sez. 6,n. 10412 del 13-3-1987 Rv. 176791 , debba essere sorretto da congrua motivazione. Nel caso di specie, la Corte d'appello, per quanto attiene al diniego delle attenuanti ex art 62 bis cod. pen., si è limitata ad un generico riferimento alla sistematicità delle condotte, alla molteplicità delle procedure esecutive e all'entità del danno e del profitto conseguito, tacendo in ordine agli elementi indicati dal difensore, che pure avrebbero dovuto essere presi in considerazione, nell'ottica di una equilibrata valutazione globale della personalità dell'imputato. Per quanto concerne invece il quantum della pena-base , l'apparato giustificativo dei decisum si esaurisce nell'apodittica quanto sommaria affermazione secondo cui esso non appare esorbitante e non sussistono ragioni per ricondurlo al minimo edittale, senza indicare gli elementi alla base di tale valutazione . Nulla si dice poi in merito ai parametri a fondamento della quantificazione dell'aumento per la continuazione. Occorre infine rideterminare il trattamento sanzionatoriojanche alla luce della possibilità che gli episodi più risalenti nel tempo siano prescritti alla data della presente pronuncia, esulando dalla cognizione di questa Corte una verifica in fatto al riguardo . Tutto ciò impone una pronuncia rescindente sul punto. S.La sentenza impugnata va dunque annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro. Il ricorso va rigettato nel resto. Il ricorrente va inoltre condannato alla rifusione delle spese sostenute, in questo grado, dalle parti civili, AA.VV. , che si ritiene congruo liquidare in euro 2300 per ciascuna di esse, oltre IVA e CPA P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della corte d'appello di Catanzaro. rigetta nel resto il ricorso. condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili aa.vv. per s.a.s. mbdc , dfd, castello finance srl rappresentata da i.a. , spese che liquida per ciascuna di esse in e. 2.300,00, oltre IVA e CPA.